Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31728 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 31728 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 30082/2021 proposto da:
COGNOME NOME, nato a Catania l’ 8.3.1969 (C.F.: CODICE_FISCALE, e COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), nata a Pachino il 7.6.1939, quali eredi di COGNOME NOME, nato a Acireale il 6.4.1940 (C.F.: CNN SVT CODICE_FISCALE), e COGNOME Salvatore, nato ad Acireale (CT) il 6.4.1940, ed ivi residente, alla INDIRIZZO (C.F.: CNN CODICE_FISCALE), rappresentati e difesi, giusta procura speciale alle liti, conferita su supporto cartaceo ed autenticata dal difensore con firma digitale, ai sensi dell’art. 83, comma 3, c.p.c., dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME (indirizzo di posta elettronica: PEC EMAIL;
-ricorrenti –
contro
Comune di Riposto, con sede in Riposto, alla INDIRIZZO (C.F.:
Avviso accertamento Ici -Imprenditore agricolo
P_IVA), in persona del Sindaco pro tempore , dott. NOME COGNOME rappresentato e difeso, come da procura in calce al controricors o, dall’Avv. NOME COGNOME del foro di Catania (C .F: CODICE_FISCALE; pec: EMAIL), con studio in Giarre, alla INDIRIZZO ove elegge domicilio;
– controricorrente –
-avverso la sentenza 3544/13/2021 emessa dalla CTR Sicilia il 19/04/2021 e non notificata;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Rilevato che
NOME COGNOME impugnava dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Catania un avviso di accertamento ICI del Comune di Riposto relativamente all’anno 2006 per l’ammontare di euro 6.052,00, compresi sanzioni e interessi, a titolo di maggiore imposta sul terreno ritenuto fabbricabile al f. 7 part.lle 120, 122, 124 e 180, invocando, tra l’altro, la natura agricola del terreno in questione, in quanto egli esercitava su di esso attività di imprenditore agricolo (come si evinceva dalla certificazione prodotta), persistendo quindi l’utilizzazione agro-silvo-pastorale, incompatibile con la possibilità di sfruttamento edilizio dell’area.
Con sentenza n. 2432/15/2018, la CTP rigettava il ricorso.
Sull’impugnazione del contribuente, la CTR della Sicilia rigettava il gravame, affermando che rappresentava una domanda nuova e, come tale, inammissibile in appello, quella con la quale il Cannavò aveva denunciato di non avere conosciuto la comunicazione di destinazione urbanistica del terreno, che il terreno era indubbiamente stato qualificato come destinato alla edificazione, in base al nuovo P.R.G., giusta la delibera n. 106 del 2010, aggiornata con la delibera n. 62 del 2011, delibere mai impugnate dal ricorrente, e che, essendo atti di carattere generale, dovevano intendersi come conosciute dal ricorrente, che il ricorrente non aveva fornito alcuna prova circa la coltivazione agricola o silvo-pastorale del terreno in questione e che il criterio di calcolo del valore del terreno risultava nella delibera n. 106 del 2010.
Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione NOME COGNOME sulla base di cinque motivi. Il Comune di Riposto resisteva con controricorso.
Considerato che
Con il primo motivo il ricorrente deduce la illegittimità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 324 c.p.c., per non aver la CTR considerato che Commissione Tributaria Provinciale di Catania, dapprima con la sentenza 29/6/2018 n. 988/7/18 e poi con altra sentenza, entrambe passate in giudicato, aveva affermato che ‘il Cannavò ha dato prova di esercitare attività di imprenditore agricolo come da certificazione Coldiretti, è titolare di Partita Iva ed ha dichiarato un reddito per tale attività, considerato che il volume d’affari è superiore alla metà del reddito complessivo’.
1.1. Il motivo è inammissibile e, comunque, infondato.
In primo luogo, il ricorrente ha omesso, da un lato, di indicare il numero della seconda sentenza che sarebbe passata in giudicato e, dall’altro, con valenza pregnante, almeno i passaggi salienti delle due sentenze.
In ogni caso, anche a voler tacer del fatto che non vengono indicate con precisione neppure le annualità cui le dette sentenze si riferirebbero, sembrerebbe (cfr. fine pag. 8 del ricorso) che le stesse abbiano ad oggetto anni di imposta successivi al 2011.
Orbene, in tema d’ICI, il giudicato esterno, formatosi tra le stesse parti, relativamente alla qualità d’imprenditore agricolo del contribuente, così consentendogli di beneficiare della prevista agevolazione, investe un elemento costitutivo della fattispecie a carattere tendenzialmente permanente e comune ai vari periodi d’imposta, sicché i suoi effetti si estendono, con riguardo al tributo riferito al medesimo bene, alle altre annualità, cronologicamente ed immediatamente successive, dovendosi presumere anche per esse, salvo prova contraria, la sussistenza della medesima qualità (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 23032 del 11/11/2015). Ragion per cui, se, come sembra, i giudicati si riferissero ad annualità successive a quella in esame (il 2006), non assumerebbe alcune rilevanza
diretta ai fini del decidere.
Senza tralasciare che, qualora, come sembrerebbe, il giudicato esterno si fosse formato prima della decisione della CTR qui impugnata (vale a dire, prima del 19.4.2021), il contribuente avrebbe dovuto farlo valere in quella sede e, sul punto, l’odierno ricorrente non ha allegato alcunchè, non potendosi a tal fine ritenere sufficiente l’esposizione, contenuta nella sentenza, del quarto motivo di gravame (<>), in cui non si opera inevitabilmente alcun riferimento alle sentenze passate in giudicato (tenuto conto che l’atto di appello n. 7980/2018 risulta depositato in data 2/11/2018).
Qualora, del resto, il giudicato esterno si fosse formato nel corso del giudizio di secondo grado e la sua esistenza non fosse stata eccepita nel corso dello stesso dalla parte interessata, la sentenza di appello che si fosse pronunciata in difformità da tale giudicato sarebbe stata impugnabile con il ricorso per revocazione e non con quello per cassazione (Cass., Sez. U, Sentenza n. 21493 del 20/10/2010; conf. Cass., Sez. 5, Sentenza n. 22506 del 04/11/2015). Invero, solo quando il contrasto con un precedente giudicato si riferisce ad una sentenza pronunciata nell’ambito dello stesso giudizio, il rimedio contro la violazione del giudicato interno è quello del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 155 del 08/01/2014).
D’altra parte la doglianza viene riferita alla sentenza di primo grado, senza che però risulti che la relativa eccezione sia stata riproposta in appello.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la illegittimità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c. e 57 d.lgs. n. 546/1992, per non aver la CTR considerato che in appello aveva rilevato che il Comune, nel costituirsi in giudizio, aveva fatto riferimento ad una comunicazione spedita contenente l’indicazione della delibera di modifica della destinazione del proprio terreno, che non era stata prodotta in atti.
2.1. Il motivo è inammissibile, atteso che non attinge la ratio decidendi
sottesa alla pronuncia impugnata.
Nel ricorso introduttivo di primo grado, per sua stessa ammissione, parte ricorrente si era limitata a dedurre l’illegittimità dell’avviso impugnato per carenza di motivazione, non avendo dedotto di non aver ricevuto comunicazione dell’avvenuta modifica della destinazione urbanistica. Ne consegue che la censura formulata per la prima volta in sede di appello è stata correttamente ritenuta dalla CTR inammissibile, in quanto sollevata in violazione del principio di cui all’art. 57 d.lgs. n. 546/1992.
Viceversa, la censura del contribuente si è concentrata sull’assenza del deposito della comunicazione della delibera, sull’onere della parte che agisce in giudizio di indicare e provare specificamente i fatti posti a base delle pretese avanzate e sull’onere della parte di dedurre l’incolpevole mancanza di un documento nel proprio fascicolo.
Del resto, in tema di ICI, l’omessa comunicazione del provvedimento di attribuzione della natura di area edificabile ad un terreno, ove non sia dimostrato un conseguente pregiudizio per l’esercizio del diritto di difesa del contribuente, non incide sulla validità dell’atto, in quanto non ne è specificamente sanzionata l’inosservanza da parte dell’art. 31, comma 20, della l. n. 289 del 2002, che prevede detto obbligo di comunicazione (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 20124 del 25/07/2019).
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., per non aver la CTR considerato che la pubblica amministrazione, quale attore in senso sostanziale, avrebbe dovuto procedere a provare la correttezza della propria pretesa, laddove l’ufficio aveva fatto riferimento a provvedimenti e delibere mai allegati.
3.1. Il motivo è, per la sua genericità, inammissibile, essendosi il contribuente limitato a sostenere che <>.
Inoltre, la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non
anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poichè in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c.
Infine, il ricorrente incorre in una evidente sovrapposizione del piano della prova con quello della motivazione dell’avviso.
Con il quarto motivo il ricorrente si duole della violazione e/ o falsa applicazione degli artt. 11 d.lgs. n. 507/1992 e 7 l. n. 210/2000, per aver la CTR erroneamente, a suo dire, ritenuto soddisfatto il requisito della motivazione dell’avviso di accer tamento impugnato.
4.1. Il motivo è inammissibile e, comunque, infondato.
Anche a voler tacer del fatto che il contribuente, in violazione del principio di autosufficienza, ha omesso di riportare l’avviso di accertamento impugnato, la censura sollecita, a ben vedere, una rivalutazione delle risultanze istruttorie, preclusa nella presente sede di legittimità.
In ogni caso, la CTR, con argomentazioni congrue dal punto di vista logico e corrette sul piano giuridico, ha evidenziato che: a) <>; b) <>; c) <>.
Da ultimo (e sul punto la sentenza non risulta censurata), rappresenta un principio ormai consolidato quello secondo cui le delibere comunali relative all’applicazione del tributo ed alla determinazione delle relative tariffe non rientrano tra i documenti che devono essere allegati agli avvisi di accertamento ai sensi dell’art. 7 della l. n. 212 del 2000, in quanto detto obbligo è limitato agli atti richiamati nella motivazione che non siano conosciuti o altrimenti conoscibili dal contribuente, ma non anche gli atti generali come le delibere del consiglio comunale che, essendo soggette a pubblicità legale, si presumono conoscibili (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 30052 del 21/11/2018; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 9601 del 13/06/2012 e Cass., Sez. 5, Sentenza n. 5755 del 16/03/2005, proprio in tema di ICI).
Con il quinto motivo il ricorrente denunzia l’illegittimità e/o erroneità dell’impugnata sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2 d.lgs. n. 504/1992, per non aver la CTR considerato che sussistevano le ragioni di esenzione dall’applicazione dell’ICI, atteso che il terreno oggetto di ricorso poteva certamente essere considerato agricolo in quanto egli esercitava attività di imprenditore agricolo, come si evinceva dalla certificazione rilasciata dalla C.N.C.D. Coldiretti di Acireale, era titolare della Partita Iva n. P_IVA e regolarmente iscritto alla Camera di Commercio ed aveva dichiarato un reddito derivante dalla propria attività per l’anno 2006 pari ad euro 16.452,00 e, dunque, superiore alla metà del suo reddito complessivo.
5.1. Il motivo è inammissibile e, comunque, infondato per le stesse ragioni esposte nell’analizzare il precedente motivo, le quali quindi si intendono qui per integralmente richiamate.
Va qui aggiunto che, in tema di ICI, l’agevolazione fiscale prevista dall’art. 9 d.lgs. n. 504 del 1992, per i terreni agricoli posseduti dai soggetti di cui all’art. 58 d.lgs. n. 446 del 1997, è subordinata al possesso della qualifica di coltivatore diretto oppure di imprenditore agricolo a titolo principale, desumibile dall’iscrizione negli appositi elenchi di cui all’art. 11 della l. n. 9 del 1963; nondimeno, la sostituzione della figura dell’imprenditore agricolo a titolo principale con quella dell’imprenditore agricolo professionale (IAP)
implica che non è più esigibile l’iscrizione nei suddetti elenchi comunali, bensì quella negli elenchi o albi delle Regioni, alle quali, in base alla sopravvenuta disciplina del d.lgs. n. 99 del 2004, è stato demandato il compito di verificare il possesso, in capo all’imprenditore agricolo richiedente, dei requisiti soggettivi per l’attribuzione della qualifica di professionalità, da cui dipendono le agevolazioni fiscali (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 1121 del 16/01/2023).
In quest’ottica, non può reputarsi sufficiente la mera iscrizione alla Camera di Commercio e, men che meno, la certificazione rilasciata dalla Coldiretti o la semplice partita IVA, non potendo siffatti documenti surrogare l’iscrizione alla gestione previdenziale ed assistenziale.
Senza dimenticare che, ai fini ICI, non sono sufficienti le risultanze formali, occorrendo la prova effettiva della coltivazione diretta.
Invero, mentre l’iscrizione di cui all’art. 58 del d.lgs. n. 446 del 1997 è idonea a provare, al contempo, la sussistenza dei primi due requisiti, atteso che chi viene iscritto in quell’elenco svolge normalmente a titolo principale quell’attività (di coltivatore diretto o di imprenditore agricolo) legata all’agricoltura, il terzo requisito, relativo alla conduzione diretta dei terreni, va provato in via autonoma, potendo ben accadere che un soggetto iscritto nel detto elenco poi non conduca direttamente il fondo per il quale chiede l’agevolazione, la quale, pertanto, non compete (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 214 del 07/01/2005).
Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso non merita accoglimento. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio, che si liquidano in € 2.400,00 per compensi ed € 200,00 per spese, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, Iva e Cap.
v.to l’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla L. n. 228 del 2012;
dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenutasi in data 3.12.2024.