Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1884 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 1884 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 25751-2020 proposto da:
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME
elettivamente domiciliati in Roma, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che li rappresenta e difende assieme all’AVV_NOTAIO COGNOME giusta procura speciale allegata al ricorso
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, presso lo RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO giusta procura speciale in calce al controricorso
-controricorrente-
avverso la sentenza n. 23 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE dell ‘EMILIA ROMAGNA , depositata il 7/1/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 10/1/2024 dal Consigliere Relatore AVV_NOTAIO NOME COGNOME
RILEVATO CHE
NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME propongono ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione tributaria regionale del l’Emilia Romagna aveva respinto l’appello dei contribuenti avverso la sentenza n. 297/2016 emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Forlì in rigetto del ricorso proposto avverso avvisi di accertamento ICI 2009 -2011, emessi dal Comune di Bertinoro, notificati agli odierni ricorrenti in qualità di eredi di NOME COGNOME;
il Comune resiste con controricorso, illustrato con memoria
CONSIDERATO CHE
1.1. con il primo motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4), nullità della sentenza impugnata in relazione alla sua motivazione «estremamente succinta», che non avrebbe consentito di «individuare il thema decidendum delle ragioni poste a fondamento del dispositivo»;
1.2. la censura va disattesa;
1.3. per costante giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le molte, Cass. 26 giugno 2017, n. 15883; Cass. 7 aprile 2017, n. 9105; Cass. sez. unite 3 novembre 2016, n.22232; Cass. 6 giugno 2012, n. 9113; Cass. 27 luglio 2007, n. 16736), ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorché il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, ovvero li indichi senza
un’approfondita disamina logica o giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento;
1.4. nella fattispecie in esame (a differenza del precedente tra le stesse parti, di cui all’ordinanza di questa Corte n. 7096/2020, relativamente alle annualità 2006-2007), la sentenza impugnata, seppure in modo sintetico, esplicita in maniera sufficiente la ratio decidendi relativamente alla mancata concessione, sull’immobile, dell’esenzione fiscale prevista per i fabbricati rurali e della riduzione d’imposta per i fabbricati inagibili, consentendo il controllo del percorso logico -giuridico che ha portato alla decisione, tant’è che, con il secondo motivo, i ricorrenti hanno potuto censurare compiutamente gli errori di diritto che, secondo i contribuenti, giustificano comunque la richiesta cassazione dell’impugnata sentenza;
1.5. con riguardo invece alla censura circa l’omessa pronuncia sul motivo di appello relativo alla lamentata carenza di motivazione degli atti impositivi impugnati, riportata anche nelle premesse della sentenza impugnata, va in primo luogo richiamato l’insegnamento di questa Corte secondo cui, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111, comma secondo, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c. ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto posta con il suddetto motivo risulti infondata, di modo che la pronuncia da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto (cfr. Cass. nn. 16171/2017, 2313/2010);
1.6. la questione posta con il primo motivo dell’odierno ricorso, dianzi indicata, va quindi esaminata per verificare se possa essere decisa in astratto, prescindendo da riscontri fattuali, in quanto ove la risposta alla questione, posta nei motivi non esaminati dal Giudice d’appello, sia
negativa, si potrebbe pervenire senz’altro alla definizione del giudizio in sede di legittimità, mentre la risposta positiva dovrebbe invece portare alla cassazione con rinvio, affinché il Giudice di merito verifichi in primo luogo la sussistenza o meno delle indicazioni necessarie a pena di nullità;
1.7. nella specie, la questione va risolta nel primo dei due sensi sulla base delle considerazioni che seguono;
1.8. i ricorrenti lamentano che il Comune si sarebbe limitato a motivare gli avvisi di accertamento indicando che «dal controllo eseguito …(era)… stata rilevata la mancanza della denuncia e del versamento per l’anno 2009, 2010 e 2011 degli immobili di cui al … prospetto», mentre solo in sede di costituzione nel giudizio di merito avrebbe precisato che gli immobili non risultavano accatastati nelle categorie C/6 e D/10, con conseguente loro tassazione;
1.9. ciò posto, va evidenziato che in tema di ICI, l’art. 11, comma 2-bis, del d.lgs. n. 504 del 1992 (applicabile ratione temporis ), disponendo che gli avvisi di liquidazione e accertamento devono essere motivati in relazione ai presupposti di fatto e alle ragioni giuridiche che li hanno determinati, non comporta l’obbligo di indicare anche l’esposizione delle ragioni giuridiche relative al mancato riconoscimento di ogni possibile esenzione prevista dalla legge ed astrattamente applicabile, poiché è onere del contribuente dedurre e provare l’eventuale ricorrenza di una causa di esclusione dell’imposta (cfr. Cass. n. 1694 del 24/01/2018, Cass. n. 14094 del 11/06/2010);
1.10. nella specie, pertanto, devono ritenersi sufficientemente motivati gli avvisi di accertamento, nei quali non è in contestazione che fossero stati indicati i dati identificativi dell’immobile, il soggetto tenuto al pagamento e l’ammontare dell’imposta, non essendo al contrario tenuto l’ente impositore ad esplicitare nell’accertamento le ragioni della mancata applicazione dell ‘ esenzione prevista per i fabbricati rurali;
1.11. ne consegue l’infondatezza, in ogni caso, della censura in esame;
2.1. con il secondo motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione degli artt. 2697 e 2729 cod. civ. e «del Decreto dell’Economia del 26 luglio 2012» per avere la
Commissione tributaria regionale erroneamente riconosciuto «il diritto del Comune di assoggettare ad ICI i fabbricati de quibus» in quanto non accatastati nelle Categorie A/6 e D/10 e poiché l’agevolazione per l’inagibilità dell’immobile era stata richiesta nell’anno 2014, successiva alle annualità in contestazione (2009 -2011), da NOME COGNOME, già deceduto, e quando la proprietà dell’immobile era già stata trasferita (il 10.7.2012) a terzi («Canestri Trotti»);
2.2. la censura va disattesa;
2.3. invero, come correttamente ritenuto dalla Commissione tributaria regionale, non ha alcuna rilevanza, nel caso in esame, la questione dello svolgimento o meno, nel fabbricato di cui trattasi, di attività diretta alla manipolazione, trasformazione, conservazione, valorizzazione o commercializzazione dei prodotti agricoli in quanto l’esenzione dall’ICI per i fabbricati di tipo rurale segue il criterio della determinazione catastale, nel senso che per la dimostrazione della ruralità dei fabbricati, ai fini del trattamento esonerativo, è rilevante l’oggettiva classificazione catastale con attribuzione della relativa categoria (A/6 o D/10), e solo l’immobile che sia stato iscritto come rurale, in conseguenza della riconosciuta ricorrenza dei requisiti previsti dal D.L. 30 dicembre 1993, n. 557, art. 9 del (convertito, con modificazioni, dalla L. 26 febbraio 1994, n. 133), non è soggetto all’imposta, ai sensi del D.L. 30 dicembre 2008, n. 207, art. 23, comma 1-bis, (convertito, con modificazioni, dalla L. 27 febbraio 2009, n. 14) e del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, comma 1, lett. a), al che consegue che, qualora l’immobile sia iscritto in una diversa categoria catastale, è onere del contribuente, che pretenda l’esenzione dall’imposta, impugnare l’atto di classamento per la ritenuta ruralità del fabbricato, quest’ultimo restandovi, altrimenti, assoggettato (cfr. Cass. Sez. Un. n. 18565/2009, cui adde , secondo un orientamento del tutto consolidato, Cass., nn. 10283/2019, 11588/2017, 16737/2015, 5167/2014, 19872/2012);
2.4. il punto decisivo allora è che risulta dalla sentenza di primo grado (trascritta in parte qua nel ricorso) e dalle stesse argomentazioni difensive della contribuente che l’immobile di cui è causa non era annoverato nelle
categorie catastali sopra mentovate nelle annualità in contestazione, né risulta sia stata successivamente proposta domanda di variazione catastale ai sensi dell’art. 7, comma 2-bis, del D.L. 13 maggio 2011 n. 70, convertito, con modificazioni, dalla Legge 12 luglio 2011 n. 106, che ha previsto che, ai fini del riconoscimento della ruralità degli immobili, i contribuenti avessero la facoltà (esercitabile entro il termine del 30 settembre 2011, poi prorogato al 30 settembre 2012) di presentare all’allora RAGIONE_SOCIALE una domanda di variazione della categoria catastale per l’attribuzione delle categoria A/6 e D/10, a seconda della destinazione, abitativa o strumentale dell’immobile, sulla base di un’autocertificazione attestante la presenza nell’immobile dei requisiti di ruralità di cui all’art. 9 del D.L. 30 dicembre 1993 n. 557, convertito, con modificazioni, dalla Legge 26 novembre 1994 n. 134, e modificato dall’art. 42-bis del D.L. 1 ottobre 2007 n. 159, convertito, con modificazioni, dalla Legge 29 novembre 2007 n. 222, «in via continuativa a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda»;
2.5. va peraltro evidenziato che, in seguito, l’art. 13, comma 14-bis, del D.L. 6 dicembre 2011 n. 201, convertito, con modificazioni, dalla Legge 22 dicembre 2011 n. 214 ha stabilito che le domande di variazione di cui al predetto D.L. 13 maggio 2011 n. 70, convertito, con modificazioni, dalla Legge 12 luglio 2011 n. 106, producessero «gli effetti previsti in relazione al riconoscimento del requisito della ruralità fermo restando il classamento originario degli immobili ad uso abitativo»;
2.7. altresì, l’art. 1 del D.M. 26 luglio 2012 ha disposto quanto segue: «Ai fabbricati rurali destinati ad abitazione ed ai fabbricati strumentali all’esercizio dell’attività agricola è attribuito il classamento, in base alle regole ordinarie, in una delle categorie catastali previste nel quadro generale di qualificazione. Ai fini dell’iscrizione negli atti del catasto della sussistenza del requisito di ruralità in capo ai fabbricati rurali di cui al comma 1, diversi da quelli censibili nella categoria D/10 (Fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività agricole), è apposta una specifica annotazione. Per il riconoscimento del requisito di ruralità, si applicano le
disposizioni richiamate all’art. 9 del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133»;
2.8. l’art. 2, comma 5-ter, del D.L. 31 agosto 2013 n. 102, convertito, con modificazioni, dalla Legge 28 ottobre 2013 n. 124, ha stabilito altresì quanto segue: «Ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’articolo 3, comma 14 bis, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, deve intendersi nel senso che le domande di variazione catastale presentate ai sensi dell’articolo 7, comma 2-bis, del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 maggio 2011, n. 106, e l’inserimento dell’annotazione negli atti catastali, producono gli effetti previsti per il requisito di ruralità di cui all’articolo 9 del decreto legge 30 dicembre n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994 n. 133, e successive modificazioni, a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda»;
2.9. si tratta, infatti di disposizioni che disciplinano le modalità (di variazione-annotazione) attraverso le quali è possibile pervenire alla classificazione della ruralità dei fabbricati, anche retroattivamente, onde beneficiare dell’esenzione da ICI, sulla base di una procedura ad hoc , che non avrebbe avuto ragion d’essere qualora la natura esonerativa della ruralità fosse dipesa dal solo fatto di essere gli immobili concretamente strumentali all’attività agricola, a prescindere dalla loro classificazione catastale conforme (cfr. Cass. 30 dicembre 2020, n. 29864; Cass., 21 ottobre 2021, n. 29283);
2.9. ciò posto, considerando che non risulta neppure proposta la domanda ex art. 7, comma 2-bis, del D.L. 13 maggio 2011 n. 70, convertito, con modificazioni, dalla Legge 12 luglio 2011 n. 106, ne consegue che, in conformità ai suddetti principi, il giudice di appello ha correttamente escluso che l’esenzione dall’IMU potesse venire riconosciuta in ragione del solo carattere di ruralità concretamente rivestito dall’immobile (nel senso, ricordato, di strumentalità all’esercizio dell’attività agricola), a prescindere dal suo classamento catastale;
2.10. a seguire, va altresì rilevato che in tema di ICI e nell ‘ ipotesi di immobile inagibile, inabitabile e comunque di fatto inutilizzato, l’imposta va ridotta al 50 per cento, ai sensi dell’art. 8, primo comma, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, e, qualora dette condizioni di inagibilità o inabitabilità – accertabili dall’ente locale o comunque autocertificabili dal contribuente – permangano per l’intero anno, il trattamento agevolato deve estendersi a tutto il relativo arco temporale, nonché per i periodi successivi, ove sussistano le medesime condizioni di fatto (cfr. Cass. n. 19665 del 11/07/2023; Cass. n. 13230 del 20/06/2005);
2.11. va in ogni caso escluso, dunque, che la riduzione d’imposta si applichi anche alle annualità precedenti la richiesta del contribuente, come invece sostenuto dagli odierni ricorrenti e correttamente affermato dalla Commissione tributaria regionale;
per quanto fin qui osservato il ricorso va integralmente rigettato;
le spese della presente fase di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti, in solido, a pagare le spese del giudizio in favore del Comune controricorrente, liquidandole in Euro 1.800,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, se dovuti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater, del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma del comma 1bis dello stesso art.13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, tenutasi in modalità da