Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13110 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13110 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: PAOLITTO LIBERATO
Data pubblicazione: 13/05/2024
ICI IMU Accertamento
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27395/2017 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, in persona del suo legale rappresentante p.t. , con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO e dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresentano e difendono unitamente all’avvocato NOME COGNOME ;
-ricorrente –
contro
Comune di Castelfranco Emilia, in persona del suo Sindaco p.t. , con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME ;
-controricorrente – avverso la sentenza n. 1296/2/17, depositata il 12 aprile 2017, della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna ;
udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 10 gennaio 2024, dal AVV_NOTAIO.
Rilevato che:
-con sentenza n. 1296/2/17, depositata il 12 aprile 2017, la Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna ha rigettato l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso la decisione di prime cure che, a sua volta, aveva disatteso l’impugnazione di un avviso di accertamento emesso dal Comune di Castelfranco Emilia in relazione all’ICI dovuta dalla contribuente per l’anno 2009, e per il possesso di n. 8 unità immobiliari;
1.1 – premessi gli enunciati di pronunce della giurisprudenza di legittimità, il giudice del gravame ha rilevato che, nella fattispecie, andava accertato se la contribuente avesse presentato, o meno, la domanda di variazione catastale prevista dal d.l. 13 maggio 2011, n. 70, art. 7, comma 2bis , conv. in l. 12 luglio 2011, n. 106 -con gli effetti previsti dal d.l. 31 agosto 2013, n. 102, art. 2, comma 5ter , conv. in l. 28 ottobre 2013, n. 124 -ed ha, quindi, ritenuto che la domanda di variazione presentata dalla RAGIONE_SOCIALE «non riguarda gli immobili oggetto dell’avviso impugnato, bensì altr immobili con riferimenti catastali diversi», tenuto conto della deduzione svolta dalla stessa contribuente in ordine alla ristrutturazione degli «immobili oggetto dell’avviso», così che «all’epoca della stesura della domanda esisteva solo un unico immobile già accatastato nella categoria D10»; ne conseguiva, pertanto, che «la domanda che avrebbe potuto esentare gli immobili oggetto dell’avviso in effetti non è mai stata presentata, di conseguenza tali immobili non potevano godere della esenzione richiesta.»;
– RAGIONE_SOCIALE ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di tre motivi, ed ha depositato memoria;
resiste con controricorso il Comune di Castelfranco Emilia che anch’esso ha depositato memoria .
Considerato che:
-il ricorso è articolato sui seguenti motivi:
1.1 – col primo motivo, non meglio rubricato, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di legge con riferimento all’art. 2697 cod. civ., al d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, comma 1, ed all’art. 115 cod. proc. civ., assumendo che:
già nel corso del primo grado di giudizio era stata presentata (in data 29 settembre 2011) domanda di variazione catastale ai sensi del d.l. n. 70 del 2011, art. 7, comma 2bis , cit.;
da detta domanda poteva desumersi che le preesistenti unità immobiliari – già censite in catasto (in D/1, D/7 e D/8) al fol. 79, mapp. 14, sub 4, 11, 14, 15 e 16 -erano tutte confluite nell’unità derivata censita al medesimo fol. 79, mapp. 14, quale subalterno 18;
difatti, a seguito di dichiarazione presentata con procedura Docfa il 14 settembre 2010, dette preesistenti unità immobiliari erano state soppresse per fusione nell’unica unità immobiliare derivata;
le circostanze in discorso -dedotte in corso di giudizio, con i relativi referenti documentali -non avevano formato oggetto di specifica contestazione da parte dell’Ente impositore che, per di più, aveva riconosciuto espressamente l’avvenuta fusione ca tastale;
il giudice del gravame, pertanto, non aveva posto a fondamento della decisione i dati probatori che, così, conseguivano dalle non contestate deduzioni di essa esponente e, per converso, aveva valorizzato una circostanza (quella relativa alla ristrutturazione delle unità immobiliari) del tutto inconferente perché l’intervento edilizio in questione eseguito nell’anno 2013 (a fronte di imposta dovuta per l’anno 2009);
1.2 -il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., espone la denuncia violazione e falsa applicazione di legge con riferimento al d.l. 30 dicembre 1993, n. 557, art. 9, comma 3bis , conv. in l. 26 febbraio 1994, n. 133, al d.l. 13 maggio 2011, n. 70, art. 7, comma 2bis , conv. in l. 12 luglio 2011, n. 106, al d.m. 14 settembre 2011, artt. 2 e 4, al d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, art. 13, comma 14bis , conv. in l. 22 dicembre 2011, n. 214, al d.m. 26 luglio 2012, artt. 2 e 4, al d.l. 31 agosto 2013, n. 102, art. 2, comma 5ter , conv. in l. 28 ottobre 2013, n. 124, ed al d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, artt. 46, 47, 48 e 71;
assume, in sintesi, la ricorrente che, in forza delle citate disposizioni, il riscontro della ruralità delle unità immobiliari -affidato ad autocertificazioni dei soggetti interessati sottoposte a verifica da parte dell’amministrazione -consegue dalla corrispondente annotazione apposta in catasto, indipendentemente, dunque, dalla effettiva variazione della categoria catastale, così che, nella fattispecie, il giudice del gravame avrebbe dovuto rilevare la sussistenza del requisito di ruralità -con l’effetto retroattività di cui all’art. 2, comma 5ter , cit. -in difetto di un accertamento contrario da parte dell’RAGIONE_SOCIALE del territorio;
1.3 -col terzo motivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia nullità della gravata sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. deducendo, in sintesi, che il giudice del gravame illegittimamente aveva ritenuto assorbita ogni ulteriore questione (pur) controversa tra le parti, atteso che rimaneva per l’appunto in contestazione (anche) l’Ici dovuta per le tre unità immobiliari strumentali ad uso abitativo e, ciò non di meno, di natura rurale, rispetto alle quali, peraltro, la stessa controparte aveva riconosciuto la non dovutezza del tributo (con memoria depositata nel grado di appello);
-il secondo ed il terzo motivo di ricorso -dal cui esame consegue l’assorbimento del primo motivo sono fondati, e vanno accolti;
-in termini generali, occorre premettere, non è controverso tra le parti che l’avviso di accertamento in contestazione avesse ad oggetto unità immobiliari censite in catasto nelle categorie A, C e D e che -per usare la stessa deduzione del controricorrente «… i fabbricati strumentali …erano sta ti soppressi nel 2010 e dalla loro soppressione era sorto un nuovo e diverso fabbricato censito in categoria D/10 non oggetto di accertamento … » (così al controricorso, fol. 3; v., altresì, a fol. 13 s.);
3.1 – dalla motivazione della gravata sentenza, seppur piuttosto involuta nel suo argomentare, è poi dato desumere che il giudice del gravame:
nel rilevare il difetto di una domanda di variazione catastale, ai sensi del d.l. n. 70 del 2011, art. 7, comma 2bis , cit., si è riferito (solo) alle unità immobiliari censite in catasto nella categoria D -in quanto «all’epoca della stesura della domanda esisteva solo un unico immobile già accatastato nella categoria D10» – ed ha escluso che una siffatta domanda fosse stata presentata per «gli immobili oggetto dell’avviso impugnato» in quanto riguardava «altr immobili con riferimenti catastali diversi»;
pur dando atto delle difese svolte dallo stesso Ente impositore -secondo il quale «gli immobili erano diversi alcuni con categoria D altri con categoria A cioè di civile abitazione, quelli in categoria D non appartenenti alla categoria D10 non avevano diritto all’esenzione, mentre per gli altri di categoria A si pone il problema degli effetti retroattivi della domanda di variazione.» – alcuna pronuncia ha reso per le suddette unità immobiliari censite in catasto nella categoria A,
dopo aver pronunciato (solo) sugli immobili strumentali della categoria D;
-è, pertanto, fondato il terzo motivo di ricorso perché, come la Corte ha già avuto modo di statuire, l’erronea dichiarazione di assorbimento si traduce in una omessa pronunzia (Cass., 22 giugno 2020, n. 12193; Cass., 3 febbraio 2020, n. 2334: Cass., 19 dicembre 2019, n. 33764; Cass., 12 novembre 2018, n. 28995; Cass., 27 dicembre 2013, n. 28663);
-quanto, ora, al secondo motivo di ricorso, come anticipato, il giudice del gravame ha, in buona sostanza, recepito le difese svolte dal Comune RAGIONE_SOCIALE Castelfranco Emilia rilevando che alla data (settembre 2011) di presentazione della domanda di variazione catastale ( ex d.l. n. 70 del 2011, art. 7, comma 2bis , cit.) «esisteva solo un unico immobile già accatastato nella categoria D10», così che detta domanda «non riguarda gli immobili oggetto dell’avviso impugnato, bensì altr immobili con riferimenti catastali diversi»;
epperò quel giudice -così come denuncia, e documenta, parte ricorrente e, per vero, deduce lo stesso Ente impositore -non si è posto il problema della derivazione catastale di questo «unico immobile già accatastato nella categoria D10» ovvero (come deduce l’Ente) della soppressione delle preesistenti unità immobiliari autonomamente censite in catasto per loro fusione in una nuova unità immobiliare -e della rappresentazione di detta derivazione nella domanda presentata dalla contribuente ai sensi del d.l. n. 70 del 2011, art. 7, comma 2bis , cit.;
-in relazione alla disposizione di favore dettata dal d.l. 30 dicembre 2008, n. 207, art. 23, comma 1bis , conv. in l. 27 febbraio 2009, n. 14 alla cui stregua «… l’articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, deve intendersi nel senso che non si considerano fabbricati le unità immobiliari, anche iscritte o
iscrivibili nel catasto fabbricati, per le quali ricorrono i requisiti di ruralità di cui all’articolo 9 del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133, e successive modificazioni.» – e secondo un consolidato orientamento interpretativo, la Corte ha statuito che l’identificazione della ruralità dei fabbricati esclusi dall’imposizione ICI si correla al dato oggettivo delle emergenze catastali, essendosi rilevato che l’immobile già iscritto nel catasto dei fabbricati come rurale, con l’attribuzione della relativa categoria (A/6 o D/10), in conseguenza della riconosciuta ricorrenza dei requisiti previsti dal d.l. n. 557 del 1993, art. 9, cit., non è soggetto all’imposta, ai sensi del d.lgs. n. 504 del 1992, art. 2, c. 1, lett. a ), cit.; e si è soggiunto che, qualora l’immobile risulti iscritto in una diversa categoria catastale, sarà onere del contribuente, che pretenda l’esenzione dall’imposta, impugnare l’atto di classamento, restando, altrimenti, il fabbricato medesimo assoggettato ad ICI, così come, e inversamente, sarà il Comune a dover impugnare autonomamente l’attribuzione della categoria catastale A/6 o D/10, al fine di poter legittimamente pretendere l’assoggettamento del fabbricato all’imposta (così Cass. Sez. U., 21 agosto 2009, n. 18565 cui adde , ex plurimis , Cass., 9 marzo 2018, n. 5769; Cass., 31 ottobre 2017, n. 25936; Cass., 11 maggio 2017, n. 11588; Cass., 20 aprile 2016, n. 7930; Cass., 12 agosto 2015, n. 16737);
5.1 – la rilevanza regolativa del criterio identificativo in discorso e, dunque, la sua esclusiva attinenza al dato catastale – è stata, poi, ribadita dalla Corte (anche) a riguardo dello jus superveniens in tema di emersione catastale dei fabbricati rurali, e con riferimento, quindi all’art. 7, c omma 2bis , del d.l. 13 maggio 2011, n. 70, cit. all’art. 13, comma 14bis , del d.l. n. 201 del 2011 (ed al relativo d.m. 26 luglio 2012 di attuazione), a ll’art. 2, c omma 5ter , del d.l. 31 agosto 2013, n. 102, cit.; disposizioni, queste, rispetto alle quali si è, difatti,
osservato che «rafforzano l’orientamento esegetico già adottato dalle SSUU nel 2009, in quanto disciplinano le modalità (di variazioneannotazione) attraverso le quali è possibile pervenire alla classificazione della ruralità dei fabbricati, anche retroattivamente, onde beneficiare dell’esenzione Ici, sulla base di una procedura ad hoc che non avrebbe avuto ragion d’essere qualora la natura esonerativa della ruralità fosse dipesa dal solo fatto di essere gli immobili concretamente strumentali all’attività RAGIONE_SOCIALE, a prescindere dalla loro classificazione catastale conforme.» (così, ex plurimis , Cass., 24 agosto 2021, n. 23386; Cass., 23 giugno 2020, n. 12303; Cass., 9 marzo 2018, n. 5769; Cass., 30 giugno 2017, 16280; Cass., 20 aprile 2016, n. 7930);
e, in particolare, si è rimarcato che – ai fini della variazione catastale dei fabbricati disciplinata dalle sopra citate disposizioni – la relativa domanda di variazione, presentata dall’interessato, con la prevista autocertificazione, non determina ex se il riconoscimento della ruralità, a tal fine essendo necessaria l’annotazione in atti della sussistenza dei requisiti di ruralità qual prevista dall’art. 1, c omma 2, del d.m. 26 luglio 2012, cit. (cfr. Cass., 10 febbraio 2021, n. 3226; Cass., 19 dicembre 2018, n. 32787; Cass., 9 novembre 2017, n. 26617; v., altresì, Corte Cost., 18 giugno 2015, n. 115);
5.2 -l ‘assetto normativo oggetto di disamina deve, più specificamente, essere riassunto nei seguenti termini:
il d.l. 13 maggio 2011, n. 70, art. 7, commi 2bis e 2quater – nel prevedere che ai fini del riconoscimento della ruralità degli immobili (ai sensi del d.l. n. 557 del 1993, art. 9, conv. in l. n. 133 del 1994) gli interessati avrebbero dovuto presentare «una domanda di variazione della categoria catastale» (per «l’attribuzione» della categoria «A/6 per gli immobili rurali ad uso abitativo o … D/10 per gli immobili rurali ad uso strumentale») nonché che una siffatta domanda di variazione
doveva essere convalidata dall’RAGIONE_SOCIALE dietro « attribuzione della categoria catastale richiesta» – trovava attuazione nel d.m. 14 settembre 2011 che, per l’appunto, disciplinava espressamente – oltre alla istituzione di una classe «R», senza determinazione della rendita catastale, da attribuire alle unità immobiliari ad uso abitativo censite nella categoria A/6 (art. 1, comma 2) – le modalità di presentazione di una «domanda di variazione della categoria catastale» (con allegata autocertificazione; art. 2, comma 1) e lo svolgimento del relativo procedimento che, per quel che qui interessa, veniva definito (qualora di esito favorevole) «attribuendo la categoria A/6, classe «R», per le unità immobiliari a destinazione abitativa, e la categoria D/10, mantenendo la rendita in precedenza attribuita, per le unità aventi destinazione diversa da quella abitativa, strumentali all’attività RAGIONE_SOCIALE.» (art. 5);
il d.l. n. 201 del 2011, art. 13, cit. abrogava, però («a decorrere dal 1º gennaio 2012»), il d.l. n. 70 del 2011, art. 7, commi 2bis , 2ter e 2quater (comma 14) e disponeva (al comma 14 bis) che le domande di variazione della categoria catastale presentate ai sensi dell’art. 7, c omma 2bis , cit. («anche dopo la scadenza dei termini originariamente posti e fino alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto») producessero il (già) previsto riconoscimento della ruralità «fermo restando il classamento originario degli immobili rurali ad uso abitativo»; e (anche qui) rinviava ad apposito decreto ministeriale per la disciplina delle «modalità per l’inserimento negli atti catastali della sussistenza del requisito di ruralità, fermo restando il classamento originario degli immobili rurali ad uso abitativo.»;
ne conseguiva, quindi, il d.m. 26 luglio 2012, cit., che – nel disporre che, ai fini dell’iscrizione in catasto del requisito della ruralità di fabbricati («diversi da quelli censibili nella categoria D/10») doveva
essere «apposta una specifica annotazione» (art. 1, comma 2), – per quel che qui rileva ha previsto che: a) – la domanda volta al riconoscimento della ruralità – e dunque, alla relativa «specifica annotazione» -andava presentata con riferimento «alle unità immobiliari sia ad uso abitativo che strumentali all’esercizio dell’attività RAGIONE_SOCIALE, censite al catasto edilizio urbano, ad eccezione di quelle che risultano già accertate in categoria D/10» (art. 2, comma 3); b) – per le unità immobiliari, che («acquisendo o perdendo i requisiti di ruralità») necessitavano di «un nuovo classamento e rendita» rimaneva fermo l’obbligo di presentare la dichiarazione catastale ai sensi del r.d.l. n. 652 del 1939, e del d.m. n. 701 del 1994 (cd. procedura Docfa) mentre «ai soli fini della iscrizione o cancellazione di ogni annotazione riferita alla ruralità» andava presentata «apposita richiesta» (art. 2, comma 6); c) – anche il mancato riconoscimento della ruralità si risolveva nella registrazione («mediante specifica annotazione») del relativo «provvedimento motivato del direttore dell’Ufficio provinciale dell’RAGIONE_SOCIALE del territorio»;
– da ultimo il d.l. n. 102 del 2013, art. 2, comma 5ter , cit., ha disposto nei seguenti termini: «Ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’articolo 13, comma 14bis , del decretolegge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, deve intendersi nel senso che le domande di variazione catastale presentate ai sensi dell’articolo 7, comma 2bis , del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, e l’inserimento dell’annotazione negli atti catastali producono gli effetti previsti per il riconoscimento del requisito di ruralità di cui all’articolo 9 del decretolegge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133, e successive modificazioni, a decorrere
dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda.»;
5.3 -come, allora, reso esplicito dalla (convulsa) sequenza normativa, sopra ripercorsa, – e come, peraltro, già rilevato dalla Corte nei termini di cui sopra s’è dato riassuntivamente conto – a fronte dell’originaria previsione di «una domanda di variazione della categoria catastale» – e della conseguente «attribuzione della categoria catastale richiesta» (d.l. n. 70, cit., art. 7, comma 2 bis , e d.m. 14 settembre 2011) – la successiva evoluzione normativa della materia ha portato alla emersione – ai fini del riconoscimento della ruralità, e «fermo restando il classamento originario degli immobili rurali ad uso abitativo», dunque con soppressione della nuova categoria catastale (classe «R») che era stata prevista per le unità immobiliari rurali ad uso abitativo (A/6), – di una «specifica annotazione» quale modalità di «inserimento negli atti catastali della sussistenza del requisito di ruralità» (d.l. n. 201 del 2011, art. 13, comma 14 bis , e d.m. 26 luglio 2012, cit.); annotazione della quale è stata prevista, come anticipato, la pubblicità (su richiesta dell’interessato) nei casi di « iscrizione o cancellazione di ogni annotazione riferita alla ruralità», fermo restando l’obbligo dichiarativo (secondo procedura docfa) nelle diverse ipotesi di «un nuovo classamento e rendita» (per acquisto o perdita dei requisiti di ruralità);
6. -con specifico riferimento, poi, alla fattispecie controversa, lo stesso Giudice delle Leggi ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 5 -ter , del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 102, cit., sollevate, in relazione agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dal giudice rimettente che aveva rilevato l’irragionevolezza di una disciplina che non prevedeva «un’eccezione per il caso in cui l’annotazione, pur in presenza dei presupposti sostanziali della ruralità, non possa essere effettuata, in quanto, al
momento della presentazione della relativa istanza, la particella catastale identificativa dell’unità immobiliare sia stata soppressa e sia confluita in un nuovo subalterno.» e che determinava «una ingiustificata disparità di trattamento tra le situazioni, sostanzialmente uguali, dei proprietari dei fabbricati che, prima della presentazione dell’istanza di riconoscimento della ruralità, siano stati oggetto di variazioni catastali, e dei titolari degli immobili di identica tipologia che, invece, non abbiano subito alcuna modifica.»;
6.1 – nel rilevare che le ratio delle disposizioni in esame «è duplice e va rinvenuta, da un lato, nella finalità di semplificazione procedimentale dell’accertamento della ruralità ai fini dell’esenzione dall’ICI e, dall’altro, nelle esigenze di certezza giuridica e di deflazione del contenzioso sorto a causa della disorganicità del previgente quadro normativo risultante dalla stratificazione di diversi interventi legislativi e giurisprudenziali », la Corte Costituzionale ha, per l’appunto, rimarcato che i dubbi di illegittimità costituzionale potevano essere superati «sulla base di argomenti sistematici che tengono conto sia della ratio della disciplina censurata, sia della funzione del sistema catastale», ed ha osservato che « L’aggiorn amento delle risultanze rientra .. nella funzione di conservazione propria del catasto, la quale è assolta dall’amministrazione finanziaria tenendo in evidenza, mediante operazioni di voltura e di verificazione, le mutazioni soggettive e dello stato degli immobili e delle correlate rendite. Alla stregua di tale sistema, ogni iscrizione relativa ad atti di aggiornamento viene registrata e rimane accessibile al fine di consentire in ogni tempo la ricostruzione storica delle vicende che hanno interessato ciascun immobile censito. Tra le variazioni tracciabili in catasto deve, quindi, includersi anche il frazionamento da cui derivi la soppressione della particella oggetto di ripartizione e l’assunzione, da parte dell’unità immobiliare derivata, di un nuovo identificativo. In tale evenienza, le
annotazioni storicamente afferenti alla particella soppressa non possono che essere effettuate su quella derivata, sia pure con espresso riferimento al precedente identificativo catastale.» (Corte Cost., 2 febbraio 2023, n. 12);
la Corte ha, altresì, rimarcato come le conclusioni in discorso trovassero riscontro (anche) in documenti di prassi dell’amministrazione ( istruzioni della Direzione centrale catasto e cartografia dell’RAGIONE_SOCIALE del territorio di cui alle circolari prot. 24818 del 17 maggio 2012 e prot. 13845 del 5 aprile 2013) ove si evidenziava che «per gli identificativi associati alle unità immobiliari soppresse, l’annotazione della destinazione rurale ai sensi della disciplina in scrutinio deve essere inserita manualmente ‘ menzionando lo stadio superato ‘», così che «L’informazione viene … associata all’unità immobiliare derivata, con la precisazione che il requisito deve essere riferito all’unità originaria da cui questa proviene, al fine di offrire un’adeguata rappresentazione della vicenda. »;
istruzioni, queste, del resto coerenti con la disciplina posta dal d.m. 26 luglio 2012, cit., che, come anticipato, implicava il ricorso alla procedura cd. Docfa (con la necessaria presentazione di una dichiarazione catastale, ai sensi del d.m. n. 701 del 1994) solo per le unità immobiliari che («acquisendo o perdendo i requisiti di ruralità») necessitavano di «un nuovo classamento e rendita», mentre «ai soli fini della iscrizione o cancellazione di ogni annotazione riferita alla ruralità» andava presentata «apposita richiesta»;
-in conclusione, l’impugnata sentenza va cassata in relazione ai due motivi di ricorso accolti e la causa va rinviata, anche per la disciplina delle spese di questo giudizio di legittimità, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Emilia Romagna che, in diversa composizione, procederà al riesame della controversia secondo gli ambiti di indagine, ed i principi di diritto, sopra esposti, con
riferimento, pertanto, all’avvenuta presentazione dell’istanza di ruralità ed al relativo esito ( l’annotazione di ruralità , anche con espresso riferimento al precedente identificativo catastale).
P.Q.M.
La Corte
-accoglie il secondo ed il terzo motivo di ricorso, assorbito il primo motivo;
-cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Emilia Romagna, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10 gennaio 2024.