LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Esenzione ICI enti religiosi: la Cassazione decide

Un comune ha contestato l’esenzione ICI concessa a un ente religioso per due immobili, uno adibito a preghiera e l’altro a residenza per i religiosi. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso del comune, chiarendo che l’esenzione ICI per enti religiosi è valida quando l’uso effettivo dell’immobile è non commerciale. La Corte ha specificato che la residenza per il clero, se funzionale alle attività di culto e senza corrispettivo, rientra tra le attività che beneficiano dell’esenzione, a condizione che l’ente fornisca prova di tale utilizzo.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 3 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Esenzione ICI per Enti Religiosi: La Cassazione Chiarisce i Criteri

L’applicazione dell’ esenzione ICI per enti religiosi rappresenta da sempre un tema complesso e dibattuto, che bilancia le finalità di culto e beneficenza con le esigenze di gettito fiscale dei comuni. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito importanti chiarimenti sui requisiti necessari per beneficiare di tale agevolazione, soffermandosi in particolare sulla destinazione funzionale degli immobili e sull’onere della prova a carico del contribuente.

I fatti di causa

La vicenda trae origine da tre avvisi di accertamento emessi da un Comune veneto nei confronti di un ente ecclesiastico per il mancato pagamento dell’ICI relativa agli anni dal 2009 al 2011. Gli accertamenti riguardavano tre distinte unità immobiliari.

L’ente religioso aveva impugnato gli avvisi, ottenendo una decisione parzialmente favorevole dalla Commissione Tributaria Regionale. I giudici di secondo grado avevano confermato l’assoggettamento a ICI per un immobile in cui si svolgeva anche attività di natura commerciale, ma avevano riconosciuto l’esenzione per le altre due unità. In particolare, per un immobile era stato provato l’utilizzo per attività di catechesi e preghiera, mentre per l’altro era stata dimostrata la sua funzione di residenza per i religiosi appartenenti all’ente, senza alcun corrispettivo.

Il ricorso in Cassazione del Comune

Il Comune, non soddisfatto della decisione, ha presentato ricorso per cassazione, basandolo su due motivi principali. In primo luogo, l’amministrazione lamentava la violazione delle norme sull’onere della prova (art. 2697 c.c.) e sulla disciplina dell’esenzione ICI (art. 7, D.Lgs. 504/1992). Secondo il ricorrente, l’ente non aveva fornito una dimostrazione sufficiente delle attività di catechesi e preghiera e, soprattutto, l’uso di un immobile come residenza (accatastato in categoria A/2) non poteva di per sé giustificare l’esenzione. In secondo luogo, il Comune denunciava un’omessa valutazione di prove che, a suo dire, avrebbero dimostrato un utilizzo promiscuo, e quindi non esclusivamente non commerciale, degli immobili in questione.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso del Comune, confermando la sentenza di secondo grado e offrendo una chiara interpretazione dei principi in materia.

L’importanza della destinazione funzionale dell’immobile

La Suprema Corte ha ribadito un principio consolidato: per valutare il diritto all’ esenzione ICI per enti religiosi, l’elemento cruciale è la destinazione funzionale e l’uso concreto dell’immobile, non la sua mera classificazione catastale o la natura soggettiva del proprietario. L’accertamento deve verificare in concreto le modalità non commerciali delle attività svolte. Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che la destinazione di un immobile ad abitazione per i membri della comunità religiosa, senza alcun corrispettivo, costituisce un’attività non commerciale. Tale utilizzo è direttamente collegato alla “formazione del clero e dei religiosi”, attività espressamente inclusa tra quelle che beneficiano dell’esenzione.

L’onere della prova e la sua corretta applicazione

Contrariamente a quanto sostenuto dal Comune, la Cassazione ha stabilito che i giudici di merito non avevano invertito l’onere della prova. L’ente religioso, in qualità di contribuente che richiedeva l’agevolazione, aveva correttamente fornito gli elementi probatori necessari a dimostrare l’utilizzo non commerciale degli immobili (svolgimento di catechesi, residenza dei religiosi). La Corte ha precisato che la violazione dell’art. 2697 c.c. si verifica solo quando il giudice attribuisce l’onere della prova a una parte diversa da quella prevista dalla legge, non quando valuta liberamente le prove fornite dalle parti, attribuendo a una maggiore forza di convincimento rispetto a un’altra.

L’inammissibilità della censura sulla valutazione dei fatti

Infine, la Corte ha dichiarato inammissibile il secondo motivo di ricorso, relativo all’omessa valutazione di prove. I giudici hanno ricordato che il sindacato della Cassazione non può consistere in una nuova valutazione dei fatti di causa. La censura per omesso esame di un fatto decisivo è ammessa solo se il giudice ha completamente ignorato un fatto storico specifico e rilevante, la cui considerazione avrebbe portato a una decisione diversa. Nel caso in esame, il Comune si limitava a criticare la valutazione delle prove operata dal giudice di merito, chiedendo di fatto un riesame del merito della controversia, attività preclusa in sede di legittimità.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame consolida l’orientamento secondo cui l’esenzione ICI/IMU per gli enti non commerciali ed ecclesiastici non è automatica, ma è strettamente legata alla prova rigorosa dell’utilizzo effettivo e non commerciale dell’immobile. La decisione chiarisce che anche l’uso residenziale di un immobile da parte dei membri di una comunità religiosa può rientrare nel perimetro dell’esenzione, a patto che sia strumentale allo svolgimento delle attività istituzionali dell’ente e avvenga a titolo gratuito. Per i Comuni, ciò significa che gli accertamenti fiscali devono basarsi su un’analisi concreta delle attività svolte, mentre per gli enti significa dover documentare e provare con precisione la destinazione d’uso degli immobili per cui si richiede l’agevolazione.

Un immobile di proprietà di un ente religioso, accatastato come abitazione (A/2) e usato come residenza per i religiosi, ha diritto all’esenzione ICI?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, ha diritto all’esenzione a condizione che l’ente proprietario dimostri che l’immobile è destinato ad abitazione dei membri della propria comunità religiosa, senza alcun corrispettivo, e che tale utilizzo sia funzionale allo svolgimento di un’attività non commerciale, come la “formazione del clero e dei religiosi”.

Su chi grava l’onere di provare i requisiti per l’esenzione ICI per gli enti religiosi?
L’onere della prova grava interamente sul contribuente, ovvero sull’ente religioso che chiede di beneficiare dell’esenzione. Esso deve dimostrare concretamente che nell’immobile si svolgono esclusivamente attività non commerciali previste dalla legge.

È sufficiente che un ente religioso svolga attività di culto per ottenere l’esenzione ICI su tutti i suoi immobili?
No, non è sufficiente. L’esenzione non dipende dalla natura soggettiva dell’ente, ma dall’uso oggettivo di ciascun singolo immobile. Se un immobile, pur essendo di proprietà di un ente religioso, è utilizzato per attività di natura commerciale (come nel caso esaminato per una delle tre unità), esso è correttamente assoggettato a tassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati