Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13727 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13727 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Data pubblicazione: 22/05/2025
ICI IMU Accertamento
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25303/2020 R.G. proposto da Comune di Venezia (P_IVA), in persona del suo Sindaco p.t. , con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME EMAIL che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME (EMAIL e NOME COGNOME (EMAIL;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE Torinese di San Giuseppe (P_IVA), ora Provincia Italiana Giuseppini del COGNOME, in persona del suo legale rappresentante p.t. , con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende (CODICE_FISCALE; EMAIL);
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 1497/7/19, depositata il 30 dicembre 2019, della Commissione tributaria regionale del Veneto; udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 18
dicembre 2024, dal Consigliere dott. NOME COGNOME.
Rilevato che:
-con sentenza n. 1497/7/19, depositata il 30 dicembre 2019, la Commissione tributaria regionale del Veneto ha accolto, per quanto di ragione, e previa riunione, gli appelli proposti dalla Casa Generalizia Pia Società Torinese di San Giuseppe avverso le decisioni di prime cure che, diversamente pronunciando, avevano disatteso le impugnazioni di tre avvisi di accertamento emessi dal Comune di Venezia per il recupero a tassazione dell’ICI dovuta dalla contribuente in relazione agli anni dal 2009 al 2011 ed al possesso di tre unità immobiliari;
1.1 -il giudice del gravame ha rilevato che:
le decisioni di prime cure andavano confermate quanto al possesso dell’immobile « sito in Cannaregio INDIRIZZO – sub. 8» in quanto risultava «evidente che in tale immobile si svolga anche attività di natura commerciale, come esposto nello stesso bilancio dell’Ente appellante. A fronte di tale utilizzo, è irrilevante che l’attività non sia produttiva di utili e la qualità degli ospiti, per cui è corretto sottoporre tale immobile al pagamento dell’ICI.»;
a diversa conclusione, però, doveva pervenirsi quanto alle altre unità immobiliari rispetto alle quali sussistevano cause di esenzione e atteso che: – per «l’immobile sito in Cannaregio INDIRIZZO – sub. 5, in cui trova collocazione anche una Cappella, appare provato l’utilizzo per lo svolgimento di attività di catechesi e di preghiera»; – quanto «all’immobile sito in Cannaregio INDIRIZZO– sub. 7, vi è prova che lo stesso è utilizzato come residenza per i religiosi appartenenti all’Ente proprietario, senza alcun corrispettivo.»;
-il Comune di Venezia ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di due motivi, illustrati con memoria;
resiste con controricorso la Casa Generalizia RAGIONE_SOCIALE Torinese di San Giuseppe (ora Provincia Italiana NOME del Murialdo) che pur ha depositato memoria.
Considerato che:
-occorre premettere che destituita di fondamento rimane l’eccezione di inammissibilità del ricorso prospettata in controricorso (sotto il profilo del difetto di ius postulandi ), e più diffusamente esaminata nella memoria (questa volta con riferimento al difetto di una delibera di autorizzazione alla lite da parte della Giunta comunale), in quanto -così come pianamente emerge dalla documentazione prodotta dal ricorrente -il ricorso per cassazione è stato espressamente autorizzato con delibera n. 292 del 27 ottobre 2020;
e, come con consolidato orientamento la Corte ha in più occasioni statuito, l’autorizzazione al giudizio emessa dall’organo collegiale competente, e necessaria perché un ente pubblico possa agire o resistere in causa, attiene alla legitimatio ad processum , ossia all’efficacia e non alla validità della costituzione dell’ente a mezzo dell’organo che lo rappresenta sicché può intervenire ed essere prodotta pure nel corso del giudizio (v., ex plurimis , Cass., 18 agosto 2023, n. 24817; Cass., 21 settembre 2015, n. 18571; Cass., 5 ottobre 2006, n. 21413; Cass., 6 settembre 2004, n. 17936; Cass. Sez. U., 26 febbraio 1994, n. 1994);
– col primo motivo di ricorso, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il Comune di Venezia denuncia violazione e falsa applicazione di legge con riferimento al d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, comma 1, lett. d ) ed i ), ed all’art. 2697 cod. civ., assumendo, in sintesi, che:
-l’onere della prova circa la ricorrenza dei presupposti (soggettivo ed oggettivo) delle agevolazioni previste dall’art. 7, cit., grava sul contribuente e deve essere assolto con riferimento alla specifica connotazione dell’attività (in concreto) svolta nell’unità immobiliare, inconcludente a detti fini la (mera) considerazione delle finalità statutarie perseguite ovvero il loro riscontro documentale;
-nella fattispecie, controparte non aveva fornito specifica dimostrazione delle rilevate «attività di catechesi e di preghiera» né, a fronte della (pur) rilevata «residenza per i religiosi appartenenti all’Ente», aveva considerato che, nella fattispecie, venivano in rilievo unità immobiliari censite in catasto in categoria ordinaria (A/2) e che detta residenza non può ascriversi a finalità di religione né ad attività ricettive;
-insussistente, poi, la (pur) reclamata agevolazione per la ricorrenza sulle unità immobiliari di un vincolo di interesse storico e artistico, il giudice del gravame aveva omesso di valutare le allegazioni svolte, ed i riscontri documentali da esso esponente offerti, in punto di iscrizione dell’Ente (titolare di partita IVA) alla Camera di commercio per lo svolgimento di (varia) attività di natura commerciale (anche ricettiva);
né, del resto, si era debitamente considerato che le attività oggetto di accertamento avrebbero dovuto connotare, in termini di esclusività, la destinazione funzionale delle unità immobiliari oggetto di tassazione;
2.1 -il motivo -che pur prospetta profili di inammissibilità -non può trovare accoglimento;
-in disparte il riferimento all’insussistenza di un vincolo di interesse storico e artistico sulle unità immobiliari -deduzione che risulta eccentrica rispetto alle rationes decidendi della gravata sentenza che di detto vincolo non reca menzione alcuna – come reso esplicito dal
contenuto (sopra ripercorso) della gravata sentenza, l’accertamento svolto in punto di presupposti delle reclamate agevolazioni si è incentrato sulle destinazioni funzionali delle unità immobiliari che, pertanto, sono state prese in considerazione prescindendo dalla connotazione (meramente) soggettiva della contribuente;
– ed un siffatto accertamento risponde, sotto il profilo dei contenuti funzionali delle disposizioni di favore, al costante orientamento interpretativo della Corte alla cui stregua dette disposizioni importano (con onere della prova a carico del contribuente) una verifica in concreto delle modalità non commerciali delle attività cui l’immobile è destinato (v., ex plurimis , Cass., 16 luglio 2019, n. 19072; Cass., 8 luglio 2015, n. 14226; Cass., 21 marzo 2012, n. 4502; Cass., 29 febbraio 2008, n. 5485; Cass., 26 ottobre 2005, n. 20776);
– per di più, si è rimarcato in tema di ICI, l’esenzione prevista dall’art. 7, comma 1, lett. i ), cit., per le unità immobiliari destinate esclusivamente allo svolgimento delle attività di religione o di culto di cui all’art. 16, lett. a ), della legge 20 maggio 1985, n. 222, spetta ad un ente ecclesiastico in relazione ad un immobile destinato ad abitazione di membri della propria comunità religiosa, con modalità assimilabili all’abitazione di una unità immobiliare da parte del proprietario e dei suoi familiari, comportando tale destinazione lo svolgimento di un’attività non commerciale, ma diretta alla “formazione del clero e dei religiosi”, espressamente compresa nell’elencazione di cui all’art. 16, lett. a ) cit. ed avente altresì le caratteristiche di attività “ricettiva”, parimenti inclusa nell’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. i ) cit. e da intendersi riferita all’ospitalità ed accoglienza di persone in genere, non necessariamente terze ed estranee all’ente proprietario (Cass., 11 marzo 2022, n. 7980; Cass., 18 dicembre 2009, n. 26654);
né, per vero, emerge che gli accertamenti in contestazione abbiano implicato un’inversione degli oneri probatori che, nella fattispecie, vengono in considerazione; come la Corte ha, difatti, ripetutamente statuito, la violazione dell’art. 2697 cod. civ. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (Cass., 25 marzo 2022, n. 9695; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26769; Cass. Sez. U., 5 agosto 2016, n. 16598, in motivazione), così che è inammissibile la diversa doglianza che, nel valutare le prove proposte dalle parti, il giudice abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 cod. proc. civ. (Cass. Sez. U., 30 settembre 2020, n. 20867);
3. – il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., espone la denuncia di «Omessa valutazione di prove decisive. Omessa motivazione della sentenza. Erroneità della sentenza. Ingiustizia manifesta» assumendo, in sintesi, il ricorrente che il giudice del gravame era pervenuto alle contestate conclusioni «pur in presenza di documentazione da cui risultava una utilizzazione promiscua tra usi imprenditoriali e non» delle unità immobiliari oggetto di tassazione (peraltro classate in categoria A/2), e tenendo in non cale la documentazione versata al giudizio, alla cui stregua si sarebbe dovuta rilevare l’insussistenza dei presupposti delle reclamate esenzioni ICI;
3.1 -la censura deve ritenersi inammissibile;
risulta innanzitutto generico il riferimento ad un uso promiscuo delle unità immobiliari, allegazione, questa, che il ricorrente non riempie in punto di articolazione processuale di detta questione, non risultando indicati il fatto storico , il cui esame sia stato omesso, il dato ,
testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività (v. Cass. Sez. U., 22 settembre 2014, n. 19881; Cass. Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053 cui adde Cass., 10 agosto 2017, n. 19987);
– come, peraltro, statuito dalle Sezioni Unite della Corte, la censura di omesso esame di un fatto decisivo -che va ricondotta alla nuova formulazione dell’art. 360, primo comma , n. 5 cod. proc. civ. – deve concernere un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), così che l’omesso esame di elementi istruttori – e, a maggior ragione, di tesi difensive o argomenti probatori – non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass. Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053 cui adde, ex plurimis, Cass., 12 dicembre 2019, n. 32550; Cass., 29 ottobre 2018, n. 27415; Cass., 13 agosto 2018, n. 20721; Cass. Sez. U., 22 settembre 2014, n. 19881);
– così che, nella fattispecie, e come del resto la stessa rubrica del motivo di ricorso tradisce, la censura in esame si risolve in una inammissibile (ed indistinta) devoluzione al sindacato di legittimità della verifica di concludenza, ed affidabilità, dei dati probatori che hanno formato oggetto della contestata valutazione del giudice di merito, e senz’alcuna individuazione del fatto (o dei fatti) la cui considerazione risulti pretermessa e dal cui esame il giudice sarebbe potuto pervenire ad una difforme conclusione;
-le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza di parte ricorrente nei cui confronti sussistono, altresì, i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto (d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, c. 1quater ).
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente e, per questa, del suo difensore antistatario, avvocato NOME COGNOME, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in € 3.500,00 per compensi professionali ed € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge ; ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il proposto ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 18 dicembre 2024.