Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14690 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14690 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15924/2019 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentat a e difeso dagli avvocati COGNOME NOME NOMECODICE_FISCALE), COGNOME NOME NOMECODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
COMUNE RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato RAGIONE_SOCIALE (-) rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso ORDINANZA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE ROMA n. 4219/2019 depositata il 13/02/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/04/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
RILEVATO CHE
il Comune RAGIONE_SOCIALE impugnava, con ricorso per cassazione, la sentenza n. 407/07/2013, depositata il 16 settembre 2013, con cui la Commissione tributaria regionale RAGIONE_SOCIALE Campania, decidendo sulla legittimità degli avvisi di accertamento ICI per gli anni dal 2004 al 2008, relativi ad immobili di proprietà RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE), alcuni dei quali locati alla società RAGIONE_SOCIALE ed altri locati alla società RAGIONE_SOCIALE, aveva dichiarato illegittimi gli avvisi riferiti a questi ultimi immobili per i quali aveva ritenuto esistente il presupposto RAGIONE_SOCIALE esenzione di cui all’art.7, comma 1, lett. i) del d.lgs. 504/92 e successive modifiche, non ravvisando ostacolo nel fatto che il Comune aveva, con regolamento emanato ai sensi dell’art.59 del d.lgs. 446/97, limitato l’esenzione agli immobili che fossero stati insieme utilizzati e posseduti da enti non commerciali, sul rilievo che gli immobili erano nel possesso RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE -la società RAGIONE_SOCIALE ne era solo la detentrice- ed erano utilizzati alla medesima attività RAGIONE_SOCIALEle (museo) a cui erano destinati prima RAGIONE_SOCIALE locazione alla predetta società, ed aveva dichiarato legittimi gli avvisi riferiti agli immobili locati alla RAGIONE_SOCIALE in quanto, “ancorché l’attività gestita da quest’ultima (ristorazione per gli utenti del museo) sia collaterale ed agevolatrice all’attività museale, è comunque un’attività commerciale”;
l’ ente impositore, a fondamento del proposto ricorso, denunciava la violazione degli artt. 7 del d.lgs. n. 504/1992, e successive modifiche, e 59 del d.lgs. 446/1997, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Commissione
erroneamente riconosciuto l’esenzione per gli immobili locati alla società RAGIONE_SOCIALE laddove, invece, l’esenzione avrebbe dovuto essere negata per difetto dell’imprescindibile condizione RAGIONE_SOCIALE coincidenza tra possessore e utilizzatore;
3. contro la predetta sentenza ricorreva, in via incidentale, anche la RAGIONE_SOCIALE lamentando: con un primo motivo, la violazione dell’ art.7 RAGIONE_SOCIALE legge 212/2000 nonché degli artt. 6, 10, 11, 12 e 14 del d.lgs. 540/92, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3,4 e 5, cod. proc. civ., per avere i giudici di appello erroneamente ritenuto che gli avvisi non presentavano vizi di motivazione malgrado gli stessi facessero riferimento alla mancata dichiarazione e al mancato pagamento dell’imposta senza, tuttavia, specificare che l’obbligo di dichiarazione e di pagamento era insorto a seguito RAGIONE_SOCIALE locazione degli immobili a terzi. Con un secondo motivo, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3, 4 e 5, cod. proc. civ., la omessa o carente motivazione “sul punto decisivo che aveva giustificato l’annullamento dell’intero avviso di accertamento da parte RAGIONE_SOCIALE commissione provinciale”, secondo cui l’ “atto andava integralmente annullato perché comprende l’intero complesso e non le sole unità che sono state adibite a destinazioni commerciali” ed, infine, con ulteriore motivo ex art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ. la violazione dell’art.7, comma 1, lett. i), del d.lgs. 540/92, per avere la C.T.R. trascurato il dato, risultante dagli atti di causa, che gli immobili concessi in locazione alla RAGIONE_SOCIALE erano destinati ad attività di ristorazione a favore esclusivamente dei visitatori del museo ospitato negli immobili gestiti dalla società RAGIONE_SOCIALE e per non avere, quindi, riconosciuto il relativo possesso esente dall’imposta ai sensi del suddetto articolo 7;
4. questa Corte, con ordinanza n. 4219/2019, accoglieva il ricorso principale, rigettava il ricorso incidentale, cassava la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e ritenendo, non necessari
accertamenti in fatto da svolgere, decideva la controversia nel merito, con il rigetto del ricorso originario RAGIONE_SOCIALE contribuente;
4.1. in seno a detta ordinanza veniva evidenziata la fondatezza del ricorso principale atteso che avendo il Comune di RAGIONE_SOCIALE, con proprio regolamento emanato ai sensi dell’art.59 comma 1, lett. c) del d.lgs. 466/97, previsto che l’esenzione di cui all’articolo 7, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, concernente gli immobili utilizzati da enti non commerciali, si applicava, come peraltro già desumibile anche in assenza di previsione regolamentare direttamente dallo stesso art. 7 ai soli fabbricati che siano, oltre che utilizzati, anche posseduti dall’ente non commerciale utilizzatore, risultava che la Commissione tributaria regionale aveva effettivamente errato nel ritenere applicabile l’esenzione malgrado gli immobili di cui trattasi fossero posseduti dalla RAGIONE_SOCIALE ed utilizzati (da soggetto diverso ossia) dalla società RAGIONE_SOCIALE, in forza di contratto di locazione;
contro detta ordinanza ha proposto ricorso per revocazione la RAGIONE_SOCIALE) sulla base di tre motivi, illustrati con memoria;
il Comune di RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso;
CONSIDERATO CHE
1. parte ricorrente, con il primo motivo del ricorso per revocazione, lamenta la violazione dell’art. 395, primo comma, n. 4 cod. proc. civ. nella parte in cui il decisum appariva determinato da un errore percettivo degli atti interni al processo in quanto non era stato rilevato che l’unico motivo di ricorso per cassazione proposto dal Comune di RAGIONE_SOCIALE non era riferibile alla motivazione RAGIONE_SOCIALE sentenza di appello nella parte in cui la Commissione tributaria regionale aveva riconosciuto anche l’ipotesi di esenzione di cui all’ dell’art.7, comma 1, lett. c), del d.lgs. 540/92, ratio decidendi autonoma non
oggetto di impugnazione, con conseguente inammissibilità delle altre censure;
con il secondo motivo lamenta la violazione dell’art. 395, primo comma, n. 4 cod. proc. civ. sotto il profilo dell’omessa percezione e mancato esame degli scritti difensivi (controricorso) con cui risultava riproposta in sede di legittimità la questione dell’ applicabilità dell’ipotesi d i esenzione di cui all’ dell’art.7, comma 1, lett. c), del d.lgs. 540/92, assumendo che la Suprema Corte era palesemente incorsa in una svista percettiva quanto all’omesso esame delle circostanze fattuali -dedotte nel controricorso -attestanti lo svolgimento da parte RAGIONE_SOCIALE ricorrente, presso i locali in questione, di attività RAGIONE_SOCIALEle e, più propriamente, museale;
con il terzo motivo lamenta la violazione dell’art. 395, primo comma, n. 4 cod. proc. civ. sotto il profilo dell’omessa percezione e mancato esame RAGIONE_SOCIALE questione afferente l’applicabilità dell’ipotesi di esenzione di cui all’ art.7, comma 1, lett. c), del d.lgs. 540/92, rilevando che ‘attraverso un iter ricostruttivo ed argomentativo alternativo rispetto a quello proposto con i vizi revocatori denunziati’ qualora si fosse ritenuto che il giudici di appello non aveva statuito sulla ipotesi di esenzione la questione dell’ applicabilità dell’ipotesi di esenzione di cui all’ art. 7, comma 1, lett. c), del d.lgs. 540/92, sarebbe stato, in ogni caso, configurabile un errore revocatorio concernente il mancato esame da parte RAGIONE_SOCIALE Suprema Corte delle questioni sulle quali la C.T.R. aveva omesso di pronunziarsi;
il ricorso è da ritenere inammissibile per le ragioni appresso specificate;
occorre premettere che il discrimine tra l’errore revocatorio e l’errore di diritto risiede nel carattere meramente percettivo del primo e nell’assenza di quell’attività di valutazione che rappresenta, per contro, l’indefettibile tratto distintivo del secondo (vedi, per tutte, Cass., S.U., 27 novembre 2019, n. 31032);
5.1. ne consegue che l’errore revocatorio «non può riguardare la violazione o falsa applicazione di norme giuridiche, deve consistere in un errore di percezione e deve avere rilevanza decisiva, oltre a rivestire i caratteri dell’assoluta evidenza e RAGIONE_SOCIALE rilevabilità sulla scorta del mero raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti o documenti del giudizio, senza che si debba, perciò, ricorrere all’utilizzazione di argomentazioni induttive o a particolari indagini che impongano una ricostruzione interpretativa degli atti medesimi» (Cass., 26 gennaio 2022, n. 2236). L’errore deve, pertanto, apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche, e non può consistere, per converso, in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, vertendosi, in tal caso, nella ipotesi dell’errore di giudizio, denunciabile con ricorso per cassazione, entro i limiti di cui all’art. 360, primo comma n. 5, cod. proc. civ. (v. Cass., 20/2/2006, n. 3652 );
nella specie parte ricorrente, con il primo motivo, censura l’impugnata sentenza dolendosi – come si desume dal tenore del ricorso –RAGIONE_SOCIALE circostanza che non essendo stata impugnata con il ricorso per cassazione da parte del Comune di RAGIONE_SOCIALE la statuizione RAGIONE_SOCIALE sentenza di appello che avrebbe, a suo dire, riconosciuto l’ipotesi di esenzione di cui all’ dell’art.7, comma 1, lett. c), del d.lgs. 540/92 ratio decidendi autonoma – la Suprema Corte sarebbe incorsa in una svista percettiva nel non rilevare che le censure erano inammissibili per carenza di interesse, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata;
6.1. orbene emerge in tutta evidenza che si è in presenza di una mera doglianza circa il corretto intendimento da parte di questa Corte RAGIONE_SOCIALE portata RAGIONE_SOCIALE sentenza di appello nonché RAGIONE_SOCIALE censura svolta dal Comune di RAGIONE_SOCIALE in sede di impugnazione e, pertanto, in realtà di un supposto errore di interpretazione e valutazione degli
atti e non già di un vizio revocatorio di percezione. Al riguardo va ribadito che la configurabilità dell’errore revocatorio presuppone un errore di fatto il quale si configura ove la decisione sia fondata sull’affermazione di esistenza od inesistenza di un fatto che la realtà processuale induce ad escludere o ad affermare, non anche quando la decisione sia conseguenza di una pretesa errata valutazione od interpretazione delle risultanze processuali, essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità di ogni apprezzamento in ordine alla valutazione in diritto delle medesime (v. Cass., 31/08/2017, n. 20635), idonea ad integrare, semmai, errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione ( v. Cass., 14/8/2020, n. 17179; Cass., 31/8/2017, n. 20635; Cass., 26/9/2013, n. 22080; Cass., 6/11/2012, n. 19071; Cass., 22/6/2007, n. 14608; Cass., 28/6/2005, n. 13915. E già Cass., 30/3/1998, n. 3317), a tale stregua, non può ritenersi, in particolare, sussistente l’errore revocatorio allorquando la parte abbia, come nel caso in esame, denunciato l’erroneo accertamento dell’esistenza di un giudicato (nel caso, interno) (v. Cass., 13/1/2015, n. 321; Cass., 25/6/2008, n. 17443; Cass., Sez. Un., 17/11/2005, n. 23242 ). Essendo destinato a fissare la “regola” del caso concreto, esso partecipa, invero, RAGIONE_SOCIALE natura dei comandi giuridici, e, conseguentemente, la sua interpretazione non si esaurisce in un giudizio di fatto ma deve essere assimilata, per la sua intrinseca natura e per gli effetti che produce, all’interpretazione delle norme giuridiche, sicché l’erronea valutazione in ordine alla relativa esistenza – equivalendo ad ignoranza RAGIONE_SOCIALE regula iuris – rileva non quale errore di fatto bensì quale errore di diritto, risultando sostanzialmente assimilabile al vizio del giudizio sussuntivo consistente nel ricondurre la fattispecie ad una norma diversa da quella che reca invece la sua diretta disciplina, e quindi ad una falsa applicazione di norma di diritto ( v. Cass., 29/3/2019, n. 8768; Cass., 29/11/2018, n. 30838; Cass., Sez. Un., 9/5/2008, n. 11501;
Cass., 16/5/2006, n. 11356 ). Tanto determina l’inammissibilità del suindicato motivo di ricorso;
parimenti inammissibile è il secondo motivo;
7.1. questa Corte, con la richiamata ordinanza, nel concentrare la propria indagine sulla questione relativa alla sussistenza o meno dei presupposti RAGIONE_SOCIALE esenzione di cui all’art.7, comma 1, lett. i) del d.lgs. 504/92 ha, comunque, escluso la sussistenza di altre ipotesi di esenzione. Non risulta, del resto, che nel corso dei giudizi di merito la società abbia allegato e provato – come sarebbe stato suo onere, vertendosi in ipotesi di dimostrazione dei presupposti di una fattispecie di esenzione, come tale impeditiva del sorgere RAGIONE_SOCIALE pretesa tributaria (vedi Cass. n. 6711/15 e numerose altre) – la sussistenza dei presupposti in questione, soprattutto per quanto concerne la ‘totale’ adibizione a sede RAGIONE_SOCIALEle e museale ed il mancato conseguimento di qualsiasi reddito dall’utilizzazione dell’immobile. Stante la tassatività del combinato disposto e, più in generale, il carattere di stretta interpretazione rivestito dalle agevolazioni tributarie in quanto eccezionalmente derogatrici alla regola generale di comune contribuzione alla spesa pubblica, si è escluso che l’esenzione in esame possa essere riconosciuta oltre gli stretti limiti previsti dalla legge, appunto quelli costituiti dalla esclusiva e totale apertura al pubblico e dalla mancata percezione di reddito dalla loro utilizzazione (Cass.n. 14931/11);
7.2. non può, quindi, in alcun modo ritenersi che la Corte, nella citata ordinanza, sia incorsa in una svista percettiva quanto all’omesso esame delle circostanze fattuali -dedotte nel controricorso -attestanti lo svolgimento da parte RAGIONE_SOCIALE ricorrente presso i locali in questione di attività RAGIONE_SOCIALEle e più propriamente museale e comprovanti l’applicabilità dell’ipotesi di esenzione di cui all’ art.7, comma 1, lett. c), del d.lgs. 540/92;
palesemente inammissibile è il terzo motivo atteso che il supposto errore revocatorio sarebbe collegato a profili chiaramente inerenti
all’esatta interpretazione e la portata RAGIONE_SOCIALE sentenza di appello e, quindi, ad aspetti prettamente valutativi e di diritto;
9. conseguentemente il ricorso proposto dalla contribuente deve essere dichiarato inammissibile e la stessa va condannata al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore del Comune RAGIONE_SOCIALE liquidate come da dispositivo;
9.1. ricorrono i presupposti processuali per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, RAGIONE_SOCIALE legge n. 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. n. 115 del 2002 –RAGIONE_SOCIALE sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte RAGIONE_SOCIALE società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto;
P.Q.M.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente a rifondere al Comune di RAGIONE_SOCIALE le spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 8.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge, se dovuti; ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, RAGIONE_SOCIALE legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte RAGIONE_SOCIALE società ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quell o previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio RAGIONE_SOCIALE Sezione