Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 25238 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 25238 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso 1335/2018 proposto da:
Comune di Trieste (C.F.: P_IVA), rappresentato e difeso dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME e dalla Prof. Avv. NOME COGNOME e dall’ Avv. NOME COGNOME
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE (P.IVA: P_IVA, rappresentato e difeso dal Prof. Avv. NOME COGNOME
-controricorrente –
-avverso la sentenza n. 128/2017 emessa dalla CTR Friuli Venezia Giulia in data 24/05/2017 e non notificata;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Avvisi accertamento Ici -Concessione area portuale -Inquadramento catastale E/1
La NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE, quale concessionaria demaniale di alcuni immobili situati nel porto di Trieste (all’epoca dell’accertamento non accatastati e privi di attribuzione di rendita catastale), impugnava, con separati ricorsi, gli avvisi di accertamento notificatile dal Comune di Trieste per mancato versamento dell’Ici per gli anni 2005, 2006 e 2007, invocando l’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, d.lgs. n. 504/1992 e ritenendo che gli immobili fossero classificabili nella categoria E/1 (stazioni per servizi di trasporto terrestri), anziché in quella D/8.
La CTP accoglieva i ricorsi.
Sulla impugnazioni del Comune di Trieste, la CTR Friuli Venezia Giulia, previa loro riunione, rigettava i gravami, affermando che non sussisteva la carenza di legittimazione passiva del Comune, non essendosi la contribuente opposta ad un classamento catastale (ed alla conseguente attribuzione di rendita), ma avendo invocato la classificazione degli immobili nella categoria catastale E/1 al solo fine di conseguire l’esenzione Ici, e che la contribuente aveva provato che le aree/fabbricati demaniali erano utilizzati quali necessari componenti per l’esercizio dell’attività portuale, laddove non era emerso che gli stessi fossero stati utilizzati per offrire ai propri clienti servizi non collegati all’esercizio delle attività portuali e, quindi, per l’esercizi o di attività industriali-commerciali proprie ed estranee a quelle strettamente portuali.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Comune di Trieste sulla base di sei motivi. La NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
In prossimità dell’adunanza camerale il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza o del procedimento per violazione degli artt. 7, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 546/1992 e 100 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4), c.p.c., per non aver la CTR ritenuto che esso fosse privo di legittimazione passiva
con riferimento alle questioni concernenti l’accatastamento ed il classamento degli immobili.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 7, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 546/1992 e 100 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., per non aver la CTR ritenuto che esso fosse privo di legittimazione passiva con riferimento alle questioni concernenti l’accatastamento ed il classamento degli immobili.
I due motivi, da trattarsi congiuntamente, siccome strettamente connessi, sono infondati.
Nel momento in cui l’art. 7, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 546/1992 prevede l’esenzione per gli immobili ‘classificati o classificabili’ in categoria E/1, è evidente che, con riferimento agli immobili che, al momento dell’accertamento, non sono accatastati, è possibile procedere ad un accertamento incidenter tantum della detta classificabilità.
Del resto, in tema di imposta comunale sugli immobili, allorché l’immobile non sia stato affatto dichiarato ai fini dell’ICI, il potere di accertamento del Comune si esercita, anche a prescindere dall’avvenuta attribuzione della rendita, ai sensi dell’art. 11, comma 2, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, e l’imposta relativa alle annualità pregresse è recuperata, nei modi e nei tempi indicati dalla medesima disposizione e dalle sue successive modifiche. La sopravvenuta notifica del provvedimento attributivo della rendita non ha, in tal caso, alcuna efficacia interdittiva del potere del Comune di recuperare le annualità d’imposta pregresse, senza che assuma rilievo, la circostanza che detta notifica sia effettuata in epoca successiva o precedente al 1° gennaio 2000, fissato dall’art. 74 della legge 21 novembre 2000 n. 342, dal momento che tale ultima disposizione – non interpretabile come garanzia d’impunità in caso di totale evasione d’imposta – regola soltanto la possibilità di ricalcolo del tributo, di applicazione di sanzioni ed interessi e di liquidazione della maggiore imposta derivante dalla rendita attribuita, rispetto a quella effettivamente pagata in base al valore presunto dell’immobile (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 21502 del 20/10/2010; cfr. altresì Cass., Sez. 5, Sentenza n. 14883 del 05/06/2008).
Non incide sull’impostazione che precede la circostanza che il rapporto di pregiudizialità sussistente tra la controversia promossa avverso il provvedimento di attribuzione della rendita catastale ad un immobile da parte dell’Ufficio del Territorio e la controversia promossa avverso l’avviso di liquidazione dell’imposta, calcolata sulla base di detta rendita, emesso dal Comune (nella fattispecie, ICI), anche se abbia dato luogo all’opportuna riunione dei processi ed alla pronuncia di un’unica sentenza, non è idoneo, in ragione del diverso ambito soggettivo – essendo il Comune carente di autonoma legittimazione nella causa relativa alla rendita catastale – ed oggettivo – essendo diversi i rapporti giuridici in contestazione e le causae petendi -, a rendere le controversie medesime inscindibili (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 18271 del 10/09/2004), per la semplice ragione che, in una evenienza del genere, esiste già un provvedimento di accatastamento e, per l’effetto, di attribuzione della rendita. Così come nessuna rilevanza ha, nella presente controversia, l’orientamento (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 1704 del 29/01/2016) secondo cui gli immobili, se erroneamente classificati in una categoria non conforme alla destinazione d’uso, non possono essere esentati da imponibilità ove tale errato classamento sia stato determinato da una omissione del contribuente, che non abbia provveduto a denunciare l’effettivo utilizzo del cespite, atteso che, nel caso in esame, la valutazione in ordine alla classificabilità, sia pure ai soli fini esentativi, in una data categoria è giudiziale (e non già il frutto di una iniziativa del contribuente). Del resto, l’Autorità Portuale di Trieste (quale proprietaria -concedente), a seguito della notifica degli atti di classamento, ha impugnato gli stessi dinanzi alla CTP di Trieste (peraltro, nell’ambito di un giudizio conclusosi favorevolmente alla contribuente), instaurando il contraddittorio nei confronti dell’Agenzia delle Entrate.
Invero, in tema di Ici, la disciplina prevista dall’art. 74, comma 3, della legge 21 novembre 2000, n. 342, per la quale la notifica dell’atto impositivo ai fini Ici vale anche come atto di notificazione della rendita attribuita, comporta l’obbligo di impugnazione autonoma dell’atto modificativo della rendita catastale nei 60 giorni dalla data della notifica, stante l’autonomia
tra i giudizi di impugnazione dell’atto di attribuzione della rendita catastale e dell’atto impositivo emanato dall’ente locale. Ne consegue che, in caso di omessa impugnazione dell’atto di attribuzione della rendita catastale, quest’ultimo diviene definitivo, non potendosi estendere l’effetto sospensivo della richiesta di accertamento con adesione, di cui all’art. 12, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, all’autonomo giudizio di impugnazione dell’atto quale attributivo della rendita catastale (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 25550 del 03/12/2014).
Con il terzo motivo il ricorrente rileva la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., per non aver la CTR considerato che l’esenzione di cui all’art. 7 ci tato non copre tutto quanto è funzionalmente collegato alle esigenze portuali, ma solo gli immobili classificati o classificabili in categoria E/1.
Con il quarto motivo il ricorrente si duole della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 7, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 546/1992 e 2, commi 40 ss., d.l. n. 262/2006 (conv. in l. n. 286/2006), in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., per non aver la CTR considerato che i concessionari non svolgono un pubblico servizio di trasporto (riservato all’Autorità Portuale), bensì un’attività commerciale di impresa privata, con la conseguenza che gli immobili dati ad essi in concessione non possono essere esenti dall’Ici.
Con il quinto motivo il ricorrente denunzia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 10 r.d.l. n. 652/1939, 8 dPR n. 1142/1949 e 2, commi 40 e 42, d.l. n. 262/2006 (conv. in l. n. 286/2006), in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., per non aver la CTR considerato che la categoria degli immobili particolari è ristretta, non potendo al suo interno confluire immobili classificabili nelle categorie ordinarie, ma solo quelli asserviti al trasporto pubblico.
Con il sesto motivo il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 5 r.d.l. n. 652/1939, 40 dPR n. 1149/1942 e 2, commi 40 e ss., d.l. n. 262/2006, in relazione all’art. 360, primo comma,
3), c.p.c., per non aver la CTR considerato che l’autonomia funzionale e reddituale di un immobile deve essere valutata in raffronto alle caratteristiche intrinseche dell’immobile ed al suo rapporto con i fabbricati circostanti, e non in riferimento all ‘attività d’impresa svolta.
I motivi dal terzo al sesto sono da trattarsi congiuntamente, siccome strettamente connessi, e si rivelano fondati.
Oggetto del contendere è la tassabilità o meno dell’area portuale demaniale – utilizzata dalla società imprenditrice “termínalista”, concessionaria del suolo – per le attività di movimentazione, deposito, imbarco e sbarco di merci. La tesi sostenuta dalla contribuente è che, essendo l’area portuale classificabile nella categoria E/1, che include “stazioni per servizi di trasporto terrestri marittimi ed aerei”, troverebbe applicazione il regime esonerativo previsto dall’articolo 7, comma 1, lett. b), citato, che riconosce l’esenzione dell’imposta ai “fabbricati classificati o classificabili nelle categoria catastali da E1 a E9”. Tale qualificazione nel gruppo E) è propria di quegli immobili (stazioni, ponti, fari, edifici di culto, cimiteri, ecc..) con una marcata caratterizzazione tipologico-funzionale, costruttiva e dimensionale che li rendono sostanzialmente incommerciabili ed estranei ad ogni logica di commercio e di produzione industriale. Una conferma di tale impostazione è data dalla l. n. 262 del 2006, articolo 2, comma 40, a tenore del quale «Nelle unità immobiliari censite nelle categorie catastali E/1, E/2, E/3, E/4, E/5, E/6 ed E/9 non possono essere compresi immobili o porzioni di immobili destinati ad uso commerciale, industriale, ad ufficio privato ovvero ad usi diversi, qualora gli stessi presentino autonomia funzionale e reddituale».
L’art. 7, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 504 del 1992, laddove dispone che sono esenti da imposta i “fabbricati classificati o classificabili nelle categorie catastali da E/1 a E/9”, deve essere letto nel senso che l’esenzione va riconosciuta, oltre che ai fabbricati così classificati, a quelli non ancora iscritti in catasto, ma nondimeno così classificabili, se per il periodo in cui non sono stati ancora classificati sussistono i presupposti per la loro iscrizione nelle categorie indicate (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 24279 del
30/09/2019; conf. Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 34690 del 24/11/2022).
L’imposizione ICI sulle aree portuali è fondata sul criterio della funzione (attività libero-imprenditoriale), e non sul criterio di ubicazione, con la conseguenza che il censimento catastale delle stesse impone l’accertamento non già della loro localizzazione (criterio formale ed astratto), bensì dell’esercizio dell’attività secondo parametri imprenditoriali, restando invece irrilevante l’interesse pubblico al suo svolgimento (atteso che quest’ultimo non escluderebbe che l’attività sia esercitata secondo criteri economici tipici dell’impresa commerciale). In applicazione di tale principio, Cass., Sez. 5, Sentenza n. 23067 del 17/09/2019 ha escluso che gli immobili costituenti un terminal portuale adibito al deposito e alla movimentazione di merce, oggetto di concessione demaniale marittima, fossero compresi in categoria E/1 e fossero perciò soggetti all’esenzione ICI di cui all’art. 7, comma 1, lett. b, del d.lgs. n. 504 del 1992.
Questa interpretazione si inscrive nel più recente orientamento della S.C. (Cass. 10031/2017, 1369/2017, 20259/2017, 20026/2015, 10674/2019), formatosi proprio con riferimento alle aree portuali scoperte e coperte, che ha avuto modo di tenere distinto il fenomeno dell’impresa esercente attività portuale (quindi, lucrativa) dallo svolgimento di un servizio pubblico che è proprio, nell’attuale fase, dell’autorità di vigilanza del settore.
Ciò in quanto, sempre secondo quanto affermato da questa Corte, «la l. 28 gennaio 1994, n. 84, eliminando la riserva, a favore delle compagnie portuali e dei gruppi portuali, delle operazioni di sbarco, di imbarco e di maneggio delle merci, in attuazione sia del principio della libertà di iniziativa economica ex art. 41 Cost., comma 1, sia del principio comunitario di libera concorrenza, ha imposto la trasformazione in società delle compagnie e dei gruppi portuali “per l’esercizio in condizioni di concorrenza delle operazioni portuali” (l. 28 gennaio 1994, n. 84, art. 21, comma 1, lett. a)..» (Cass. n. 7651/2006).
Orbene, non è revocabile in dubbio che la classificazione nella categoria E/1, la quale comporta l’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 504 del 1992, debba essere interpretata in termini rigorosi e
restrittivi, dovendo essere circoscritta alle “stazioni per servizi di trasporto terrestri marittimi ed aerei”. Nel caso di specie, invece, i beni immobili in questione (magazzino ed ammezzati -questi ultimi adibiti ad uso spogliatoio, ufficio e bagno) so no senz’altro connessi all’esercizio delle attività portuali (come affermato dalla CTR), ma non si identificano nelle dette stazioni, finendo per essere adibiti al deposito e alla movimentazione di merce e, quindi, per essere ricompresi nell’attività comme rciale svolta dalla concessionaria (non rilevando se perseguendo un lucro soggettivo o meramente oggettivo di copertura dei costi). Ciò in quanto l’attività svolta nei detti immobili, per poter comportare l’inquadramento nella cat. E/1, dovrebbe essere strettamente strumentale rispetto al servizio di pubblico trasporto.
Trova, quindi, applicazione il principio consolidato secondo cui, in tema di classamento, ai sensi dell’art. 2, comma 40, del d.l. n. 262 del 2006, convertito, con modificazioni, nella legge n. 286 del 2006, nelle unità immobiliari censite nelle categorie catastali E/1, E/2, E/3, E/4, E/5, E/6 ed E/9 non possono essere compresi immobili o porzioni di immobili destinati ad uso commerciale, industriale, ad ufficio privato ovvero ad usi diversi, qualora gli stessi presentino autonomia funzionale e reddituale, e, cioè, alla luce del combinato disposto degli artt. 5 del r.d.l. n. 652 del 1939 e 40 del d.P.R. n. 1142 del 1949, immobili per sé stessi utili o atti a produrre un reddito proprio, anche se utilizzati per le finalità istituzionali dell’ente titolare. In applicazione di tale principio, Cass., Sez. 5, Sentenza n. 20026 del 07/10/2015 ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva desunto l’insussistenza dell’autonomia funzionale per il solo fatto che il complesso immobiliare fosse adibito a sede istituzionale dell’Autorità portuale.
E così l’imposizione fiscale delle aree portuali ai fini ICI presuppone una classificazione catastale fondata sul criterio della funzione – secondo il quale occorre accertare l’eventuale svolgimento negli immobili di un’attività realizzata secondo parametri imprenditoriali – e non sui criteri dell’interesse generale e della localizzazione, in ragione del valore preponderante che
assume lo sfruttamento dell’area; ne consegue che l’utilizzo delle aree da parte di un operatore commerciale in forma privatistica ed esclusiva attribuisce alle stesse la caratteristica di autonome unità immobiliari, potenzialmente produttive di reddito, inidonee ad essere ricondotte catastalmente nella categoria E, propria degli immobili con una marcata caratterizzazione tipologico-funzionale, costruttiva e dimensionale, che li rende sostanzialmente incommerciabili ed estranei ad ogni logica di commercio e di produzione industriale (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 33741 del 21/12/2024).
In questo contesto apodittica si rivela l’affermazione della CTR secondo cui «appare inverosimile ritenere che i beni demaniali assoggettati dal Comune di Trieste ad imposizione in capo al concessionario, possano in concreto avere avuto autonoma funzionalità e redditualità al di fuori del collegamento e dell’esercizio delle attivit à portuali che comprendono, per disposto di legge, e per prassi, anche i magazzini e le aree per il deposito date in concessione».
L’esercizio da parte della compagine sociale in forma concorrenziale dell’attività commerciale comporta il necessario utilizzo dei siti demaniali dati in concessione senza i quali non potrebbero svolgersi tutte quelle operazioni (carico, scarico, stoccaggio ecc.) destinate al servizio portuale.
Lo sfruttamento dell’area da parte di un operatore commerciale in forma privatistica ed esclusiva non può non avere incidenza in tema di ICI, in quanto ciò che conta ai fini dell’imposizione è che l’area in considerazione sia suscettibile di costituire un’autonoma unità immobiliare, potenzialmente produttiva di reddito.
Occorre, dunque, valorizzare, al fine di riconoscere o escludere l’agevolazione ICI, le caratteristiche e la destinazione commerciale degli immobili.
Non può, invece, ritenersi che, come sostenuto dalla contribuente nel controricorso, trovi nella specie applicazione lo jus superveniens costituito dalla l. 27 dicembre 2017 n. 205 (cd. legge di bilancio 2018), secondo cui le aree scoperte dei porti di competenza delle Autorità di sistema portuale
adibite alle operazioni ed ai servizi portuali, nonché i depositi ivi ubicati strettamente funzionali ai servizi portuali, sono immobili da censire in catasto nella categoria E/1 anche se affidati in concessione a privati. La normativa in questione, invero, si applica dall’1 gennaio 2020 (v. Cass. n. 4607/2018) e pertanto non è applicabile, ratione temporis , alla fattispecie per cui è processo.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, in accoglimento dei motivi dal terzo al sesto, la sentenza impugnata va cassata, con conseguente rinvio della causa, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Friuli-Venezia Giulia.
P.Q.M.
accoglie i motivi dal terzo al sesto del ricorso, rigetta i primi due, cassa la sentenza impugnata con riferimento ai motivi accolti e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Friuli-Venezia Giulia in differente composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenutasi in data 09.09.2025.