Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31475 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 31475 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 2192-2022 R.G. proposto da:
COMUNE DI VITERBO , in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocato NOME COGNOME giusta procura allegata al ricorso
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME COGNOME
rappresentati e difesi dell’Avvocato NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al controricorso
-controricorrenti-
avverso la sentenza n. 2993/2021 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del LAZIO, depositata il 14/6/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 13/11/2024 dal Consigliere Relatore Dott.ssa NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Comune di Viterbo propone ricorso, affidato a quattro motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione tributaria regionale del Lazio aveva accolto l’appello di NOME e NOME COGNOME avverso la sentenza n. 693/2019 della Commissione tributaria provinciale di Viterbo in rigetto dei ricorsi, riuniti, proposti avverso avvisi di accertamento con i quali il Comune di Viterbo accertava l’insufficiente versamento dell’imposta I.C.I. dovuta con riferimento agli immobili di proprietà dei ricorrenti, sito in Viterbo, al NCU Foglio 167, n. 61, sub 1, 2 e 3, per la quota parte del 50%, senza riconoscere l’aliquota agevolata quale abitazione principale relativamente alle prime due unità immobiliari.
I contribuenti resistono con controricorso.
Il Comune ha da ultimo depositato memoria difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., nullità della sentenza impugnata per «motivazione mancante e/o apparente e/o illogica» e lamenta che la CTR abbia deciso motivando senza alcun riferimento alla documentazione versata in atti senza individuare gli elementi probatori posti a fondamento della decisione.
1.2. La doglianza è infondata.
1.3. Come noto la giustificazione motivazionale è di esclusivo dominio del giudice del merito, con la sola eccezione del caso in cui essa debba giudicarsi meramente apparente, apparenza che ricorre, come ha ribadito
questa Corte, allorquando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (cfr. Cass. n. 13977 del 2019, S.U. n. 22232 del 2016, Cass. n. 6758 del 2022 e, da ultimo, S.U. n. 2767 del 2023, in motivazione).
1.4. A tale ipotesi deve aggiungersi il caso in cui la motivazione non risulti dotata dell’ineludibile attitudine a rendere palese (sia pure in via mediata o indiretta) la sua riferibilità al caso concreto preso in esame, di talché appaia di mero stile, o, se si vuole, standard , cioè un modello argomentativo apriori, che prescinda dall’effettivo e specifico sindacato sul fatto.
1.5. Questa Corte ha più volte affermato che la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al «minimo costituzionale» del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è, pertanto, denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, anomalia che si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (cfr. Cass. S.U., n. 8053 del 2014, S.U. n. 8054 del 2014, Cass. n. 21257 del 2014).
1.6. Nella specie non ricorre alcuna delle ipotesi sopra richiamate, avendo la Commissione tributaria regionale illustrato in forma comprensibile le ragioni del decidere ed essendone chiaro l’ iter
motivazionale (così come peraltro emerge da quanto esposto con i successivi motivi di ricorso, di seguito esaminati) in merito alla sussistenza dei presupposti per l’esenzione ICI relativamente ad immobile adibito ad abitazione principale.
2.1. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., violazione dell’art. 2909 c.c. per avere la Commissione tributaria regionale ritenuto che la contribuente ed il fratello avessero adibito ad abitazione principale gli immobili iscritti al sub 1 e 2, erroneamente valorizzando «l’applicazione del giudicato esterno …(relativo al)… periodo d’imposta 2008 – 2010 riguardante la stessa fattispecie giuridica».
2.2. La doglianza in esame è fondata quanto al ritenuto effetto preclusivo del giudicato esterno formatosi sulle sentenze richiamate dalla Commissione tributaria regionale in merito al periodo d’imposta 2008 -2010 circa l’utilizzo dell’immobile quale abitazione principale da parte della contribuente e del fratello.
2.3. È dirimente, infatti, evidenziare che il giudicato in materia tributaria fa stato soltanto in relazione a quei fatti che, per legge, hanno efficacia tendenzialmente permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco di tempo che comprende più periodi d’imposta o nei quali l’accertamento concerne la qualificazione di un rapporto ad esecuzione prolungata (Cass. n. 32254 del 2018, Cass. n. 7417 del 2019).
2.4. In particolare, in tema di I.C.I., si è affermato che la sentenza che abbia deciso con efficacia di giudicato relativamente ad alcune annualità, fa stato con riferimento anche ad annualità diverse in relazione a quei fatti che appaiano elementi costitutivi della fattispecie a carattere tendenzialmente permanente, ma non con riferimento ad elementi variabili (Cass. n. 1300 del 2018, Cass. n. 7417 del 2019).
2.5. Ciò posto, secondo l’art. 8, comma 2, del D.L.vo 30 dicembre 1992 n. 504, «per abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, e i suoi familiari dimorano abitualmente», fermo restando che – a seguito dell’inserimento operato nel precedente periodo della medesima
disposizione dall’art. 1, comma 173, lett. b, della Legge 27 dicembre 2006 n. 296 – «si intende per tale, salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica».
2.5. Essendo, dunque, connessa ad una situazione di fatto di cui il contribuente è onerato di fornire la prova in caso di discordanza rispetto alle risultanze anagrafiche, la dimora abituale costituisce un elemento ontologicamente variabile e non tendenzialmente permanente, con la conseguenza che non si può invocare il giudicato esterno con riferimento ad altri anni (cfr. Cass. n. 29079 del 2020 in motiv.).
2.6. Va quindi escluso che attraverso la formazione del giudicato tributario su un accertamento riferibile ad un determinato periodo d’imposta, il requisito della dimora abituale si cristallizzi per un tempo indefinito nel futuro, non potendo considerarsi assolto una tantum l’onere di provare l’utilizzazione ad abitazione principale di un’unità immobiliare in luogo diverso dalla residenza anagrafica, con efficacia estensibile anche ai successivi periodi d’imposta, trattandosi di una relazione materiale con un bene immobile, la cui stabilità e permanenza nel tempo, se può essere presunta per una serie aperta ed illimitata di annualità consecutive, senza soluzione di continuità, sulla base delle immutate risultanze dei registri anagrafici, non può essere fondata sul giudicato tributario formatosi su un accertamento limitato ad una determinata annualità con valore estensibile, senza limiti temporali, anche alle annualità successive.
2.7. Invero, le modalità di utilizzo dell’unità immobiliare ben possono essere diverse se riferite a diversi periodi di imposta, per cui, come si è detto, è onere del contribuente dimostrare l’esistenza, in concreto, dei requisiti per usufruire dell’agevolazione nel periodo successivo alla formazione del giudicato tributario.
3.1. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4), c.p.c., nullità della sentenza per mancata pronuncia «… sulla domanda relativa alla spettanza delle agevolazioni esclusivamente pro quota…», riproposta dal Comune in sede di controdeduzioni in appello, considerato che i ricorrenti formano «un unico nucleo familiare e …(sono)… comproprietari al 50% dei due
appartamenti … », cosicché l’esenzione avrebbe potuto essere concessa ad entrambi soltanto in ragione della quota del 50% di proprietà.
3.2. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., «violazione delle disposizioni del d.p.r. 30/5/1989 n. 223 – violazione delle disposizioni di cui all’art. 1, co. 1 e 2 del d.l. 93/2008 (l. 126/2008) – violazione delle disposizioni di cui agli artt. 8, comma 2, e 10, comma 1, del d.lgs 504/1992» lamentando che la qualifica di «abitazione principale» ai fini dell’esenzione ICI poteva riconoscersi ad uno solo degli immobili (sub 1 e sub 2) nel quale i due fratelli dovevano necessariamente «coabitare» in quanto componenti di unico nucleo familiare, mentre l’altro immobile (sub 3), risultando «non occupato» alla luce delle dichiarazioni rese dagli interessati e, quindi, non costituente abitazione principale, doveva inevitabilmente essere assoggettato a tributo.
3.3. Va accolto il quarto motivo per l’operare del principio della ragione più liquida, con assorbimento del terzo.
3.4. Occorre evidenziare che in caso di più soggetti comproprietari dello stesso immobile, ciascuno è tassato pro-quota , gravando l’I.C.I. su ciascun comproprietario in proporzione alla sua quota di proprietà (cfr. Cass. n. 24462 del 2022 in motiv. con riferimento all’I.M.U.).
3.5. Con riguardo alla detrazione dall’imposta dovuta per l’unità immobiliare adibita ad abitazione principale da più soggetti passivi, essa spetta, ex art. 8, comma 2, del D.L.vo 30 dicembre 1992 n. 504, cit., vigente ratione temporis , a ciascuno di essi proporzionalmente alla quota per la quale la destinazione medesima si verifica, e dunque se l’unità costituisce abitazione principale per più comproprietari, l’esenzione spetta a ciascun comproprietario, mentre se l’unità costituisce abitazione principale soltanto per alcuni comproprietari, l’esenzione spetta soltanto ai soggetti che hanno adibito l’immobile ad abitazione principale, mentre continua ad essere dovuta per il soggetto passivo per il quale l’unità non ha tale destinazione (in base alla propria quota di possesso).
3.6. Poste tali premesse in diritto, la Commissione tributaria regionale ha riconosciuto ai contribuenti l’esenzione dal pagamento I.C.I.
2010, dando atto sia sul sub. 1, che sul sub. 2, in quanto adibiti, rispettivamente, ad «abitazione principale» di NOME e NOME COGNOME.
3.7. Le censure formulate dal Comune sono quindi fondate, in quanto nel caso in esame i contribuenti hanno diritto, solo per la propria quota pari al 50% dell’immobile dai medesimi adibito ad abitazione principale, all’applicazione dell’esenzione dell’I.C.I., mentre con riguardo al subalterno, in cui come riportato nella sentenza impugnata, non risiedono, essi risultano comunque tenuti al pagamento dell’I.C.I. ordinaria quale «altro fabbricato».
3.8. Stante la comproprietà delle due unità immobiliari, ciascuna adibita ad abitazione principale dei controricorrenti, questi ultimi non potevano dunque vantare alcun diritto all’integrale esenzione dal pagamento dell’I.C.I. su entrambi gli immobili.
Il ricorso va pertanto accolto quanto al secondo ed al quarto motivo, assorbito il terzo e respinto il primo motivo, con conseguente cassazione dell’impugnata sentenza e rinvio per nuovo esame alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio in diversa composizione, cui resta demandata anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo ed il quarto motivo di ricorso, assorbito il terzo motivo e respinto il primo motivo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio in diversa composizione, cui demanda di pronunciare anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, tenutasi in modalità