Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31472 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 31472 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 31422-2018 R.G. proposto da:
COMUNE DI VITERBO , in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocato NOME COGNOME giusta procura allegata al ricorso
-ricorrente-
contro
COGNOME rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al controricorso
-controricorrente-
avverso la sentenza n. 4985/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del LAZIO, depositata il 12/7/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 13/11/2024 dal Consigliere Relatore Dott.ssa NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Comune di Viterbo propone ricorso, affidato a tre motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione tributaria regionale del Lazio aveva respinto l’appello avverso la sentenza n. 387/2017 della Commissione tributaria provinciale di Viterbo in accoglimento del ricorso proposto da NOME COGNOME avverso avviso di accertamento ICI 2011 relativo all’immobile sito in Viterbo, al NCU Foglio 167, n. 61, sub 1, sub 2 e sub 3, con il quale non era stata riconosciuta l’aliquota agevolata quale abitazione principale, ai sensi dell’art.1, comma 1 del D.L. n. 93/2008, oltre sanzioni ed interessi, emesso dal Comune di Viterbo.
La contribuente resiste con controricorso.
Il Comune ha da ultimo depositato memoria difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia nullità della sentenza impugnata per «motivazione illogica e/o contraddittoria» per avere la Commissione tributaria regionale dapprima affermato che la contribuente ed il fratello avevano adibito ad abitazione principale, ciascuno nella quota del 50 %, l’unità immobiliare di cui al sub 2, per poi evidenziare che la contribuente aveva «stabilito la propria residenza nell’appartamento di cui al sub. 1, mentre il subalterno 2, in comproprietà con il fratello, era occupato dallo stesso, restando palese l’utilizzo dei fratelli dell’appartamento sub 1 e sub 2 ubicati presso lo stesso stabile ove avevano entrambi i fratelli la residenza anagrafica, preferendo vivere ciascuno in un appartamento».
1.2. La doglianza è infondata.
1.3. Come noto la giustificazione motivazionale è di esclusivo dominio del giudice del merito, con la sola eccezione del caso in cui essa debba
giudicarsi meramente apparente, apparenza che ricorre, come ha ribadito questa Corte, allorquando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (cfr. Cass. n. 13977 del 2019; S.U. n. 22232 del 2016; Cass. n. 6758 del 2022 e, da ultimo, S.U. n. 2767 del 2023, in motivazione).
1.4. A tale ipotesi deve aggiungersi il caso in cui la motivazione non risulti dotata dell’ineludibile attitudine a rendere palese (sia pure in via mediata o indiretta) la sua riferibilità al caso concreto preso in esame, di talché appaia di mero stile, o, se si vuole, standard, cioè un modello argomentativo apriori, che prescinda dall’effettivo e specifico sindacato sul fatto.
1.5. Questa Corte ha più volte affermato che la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al «minimo costituzionale» del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è pertanto, denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, anomalia che si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (cfr. Cass. S.U., n. 8053 del 2014. S.U. n. 8054 del 2014. Cass. n. 21257 del 2014).
1.6. Nella specie non ricorre alcuna delle ipotesi sopra richiamate, avendo la Commissione tributaria regionale illustrato in forma
comprensibile le ragioni del decidere ed essendone chiaro l’ iter motivazionale (così come peraltro emerge da quanto esposto con il secondo motivo di ricorso, di seguito esaminato) in merito alla sussistenza dei presupposti per l’esenzione ICI relativamente ad immobile adibito ad abitazione principale.
2.1. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 324 c .p.c. per avere la Commissione tributaria regionale ritenuto, in difetto di prova, che la contribuente ed il fratello avessero adibito ad abitazione principale l’immobile iscritto al sub 2, anche erroneamente valorizzando «l’applicazione del giudicato esterno …(relativo al)… periodo d’imposta 2008 – 2010 riguardante la stessa fattispecie giuridica».
2.2. Va preliminarmente ribadito che in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio (cfr. Cass. SU. n. 20867 del 2020, SU n. 15486 del 2017 in motiv., Cass. n. 11892 del 2016).
2.3. A tanto va aggiunto che, in linea di principio, la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (tra le varie, Cass. n. 23940 del 2017; Cass. n. 24434 del 2016), dovendosi peraltro ribadire che, in relazione al nuovo testo di questa norma, qualora il giudice abbia preso in considerazione il fatto storico rilevante, l’omesso esame di elementi probatori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo (Cass., SS.UU. n. 8053 del 2014), e, nella fattispecie, i giudici del gravame, come anche dianzi illustrato, hanno preso in esame tutte le circostanze fattuali indicate in ricorso, valutandole – sulla base degli elementi delibatori hinc et inde dedotti – diversamente da come auspicato dal ricorrente.
2.4. La censura in esame, relativamente alla dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c. , va dunque disattesa, in quanto, sotto l’egida della violazione della suddetta norma introduce surrettiziamente una rivisitazione del merito della controversia, limitandosi a contrapporre alle argomentazioni dei giudici di merito proprie valutazioni, su elementi di fatto (in merito al fatto che il citato immobile, alla data del 30/11/2010 era un «… appartamento non abitato, non ammobiliato e privo di allaccio acqua e gas … »), finendo per formulare una richiesta di riesame del merito della lite non consentita in questa sede di legittimità.
2.5. Va peraltro ribadito che in tema di prova, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonché la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni (cfr. Cass. n. 13485 del 2014, Cass. n. 16499 del 2009).
2.6. La doglianza in esame è invece fondata quanto al ritenuto effetto preclusivo del giudicato esterno formatosi sulle sentenze richiamate dalla Commissione tributaria regionale in merito al periodo d’imposta 2008 -2010 circa l’utilizzo dell’immobile , quale abitazione principale, da parte della contribuente e del fratello.
2.7. È dirimente, infatti, evidenziare che il giudicato in materia tributaria fa stato soltanto in relazione a quei fatti che, per legge, hanno efficacia tendenzialmente permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco di tempo che comprende più periodi d’imposta o nei quali l’accertamento concerne la qualificazione di un rapporto ad esecuzione prolungata (Cass. n. 32254 del 2018; Cass. n. 7417 del 2019).
2.8. In particolare, in tema di I.C.I., si è affermato che la sentenza che abbia deciso con efficacia di giudicato relativamente ad alcune annualità, fa stato con riferimento anche ad annualità diverse in relazione a quei fatti che appaiano elementi costitutivi della fattispecie a carattere tendenzialmente permanente, ma non con riferimento ad elementi variabili (Cass. n. 1300 del 2018; Cass. n. 7417 del 2019).
2.9. Ciò posto, secondo l’art. 8, comma 2, del D.L.vo 30 dicembre 1992 n. 504, «per abitazione principale si intende quella nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, e i suoi familiari dimorano abitualmente», fermo restando che – a seguito dell’inserimento operato nel precedente periodo della medesima disposizione dall’art. 1, comma 173, lett. b, della Legge 27 dicembre 2006 n. 296 – «si intende per tale, salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica».
2.10. Essendo, dunque, connessa ad una situazione di fatto di cui il contribuente è onerato di fornire la prova in caso di discordanza rispetto alle risultanze anagrafiche, la dimora abituale costituisce un elemento ontologicamente variabile e non tendenzialmente permanente, con la conseguenza che non si può invocare il giudicato esterno con riferimento ad altri anni (cfr. Cass. n. 29079 del 2020 in motiv.).
2.11. Va quindi escluso che attraverso la formazione del giudicato tributario su un accertamento riferibile ad un determinato periodo d’imposta, il requisito della dimora abituale si cristallizzi per un tempo indefinito nel futuro, non potendo considerarsi assolto una tantum l’onere di provare l’utilizzazione ad abitazione principale di un’unità immobiliare in luogo diverso dalla residenza anagrafica, con efficacia estensibile anche ai successivi periodi d’imposta, trattandosi di una relazione materiale con un bene immobile, la cui stabilità e permanenza nel tempo, se può essere presunta per una serie aperta ed illimitata di annualità consecutive, senza soluzione di continuità, sulla base delle immutate risultanze dei registri anagrafici, non può essere fondata sul giudicato tributario formatosi su un accertamento limitato ad una determinata annualità con valore estensibile, senza limiti temporali, anche alle annualità successive.
2.12. Invero, le modalità di utilizzo dell’unità immobiliare ben possono essere diverse se riferite a diversi periodi di imposta, per cui, come si è detto, è onere del contribuente dimostrare l’esistenza, in concreto, dei requisiti per usufruire dell’agevolazione nel periodo successivo alla formazione del giudicato tributario.
3.1. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione «del D.P.R. 30/5/1989 n. 223 – violazione delle disposizioni di cui all’art. 1, co. 1 e 2 del d.l. 93/2008 (l. 126/2008) – violazione delle disposizioni di cui agli artt. 8, comma 2, e 10, comma 1, del d.lgs 504/1992» per avere la Commissione tributaria regionale erroneamente accolto la tesi della contribuente, secondo cui sia l’appartamento individuato al NCEU del Comune di Viterbo al F. 167, p.lla 161, sub 1, che quello sub 2 hanno diritto, entrambi, all’esenzione dal versamento dell’ICI in quanto «abitazione principale», rispettivamente, sia della contribuente che del fratello.
3.2. La doglianza è fondata.
3.3. Occorre evidenziare che in caso di più soggetti comproprietari dello stesso immobile, ciascuno è tassato pro-quota , gravando l’I.C.I. su ciascun comproprietario in proporzione alla sua quota di proprietà (cfr. Cass. n. 24462 del 2022 in motiv. con riferimento all’I.M.U.).
3.4. Con riguardo alla detrazione dall’imposta dovuta per l’unità immobiliare adibita ad abitazione principale da più soggetti passivi, essa dunque spetta, ex art. 8, comma 2, del D.L.vo 30 dicembre 1992 n. 504, cit., vigente ratione temporis , a ciascuno di essi proporzionalmente alla quota per la quale la destinazione medesima si verifica, al che consegue che se l’unità costituisce abitazione principale per più comproprietari, l’esenzione spetta a ciascun comproprietario, mentre se l’unità costituisce abitazione principale esclusivamente per alcuni comproprietari, l’esenzione spetta soltanto ai soggetti che hanno adibito l’immobile ad abitazione principale, continuando invece ad essere dovuta per il soggetto passivo per il quale l’unità non ha tale destinazione (in base alla propria quota di possesso).
2.8. Poste tali premesse in diritto, la Commissione tributaria regionale ha riconosciuto alla contribuente l’esenzione dal pagamento I.C.I. 2011, dando atto quanto al sub. 1, ed al sub. 2, che erano adibiti, rispettivamente, ad «abitazione principale» della medesima e del fratello.
2.9. Le censure formulate dal Comune sono quindi fondate, in quanto nel caso in esame la contribuente ha diritto, solo per la propria quota pari al 50% dell’immobile di cui al subalterno 1, all’applicazione dell’esenzione dell’I.C.I., mentre con riguardo al subalterno 2, in cui come riportato nella sentenza impugnata, risiederebbe il fratello, ella risulta comunque tenuta al pagamento dell’I.C.I. ordinaria quale «altro fabbricato».
2.10. Stante la comproprietà delle due unità immobiliari, di cui solo una risulta abitazione principale della ricorrente, quest’ultima non può invero vantare alcun diritto all’integrale esenzione dal pagamento dell’I.C.I. anche sul secondo immobile, con riguardo al quale è tenuta a versare la propria quota I.C.I. come «altro fabbricato».
Il ricorso va pertanto accolto quanto al secondo ed al terzo motivo nei limiti illustrati in motivazione, con conseguente cassazione dell’impugnata sentenza e rinvio per nuovo esame alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio in diversa composizione, cui resta demandata anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo ed il terzo motivo ricorso nei limiti di cui in motivazione, respinto il primo motivo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio in diversa composizione, cui demanda di pronunciare anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, tenutasi in modalità