Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 23188 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 23188 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n° 6066 del ruolo generale dell’anno 2019
, proposto da
Comune di Verona (c.f. 00215150236), in persona del Sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dagli Avv. NOME COGNOME (c.f. CODICE_FISCALE -p.e.c. EMAIL) e NOME COGNOME (c.f. CODICE_FISCALE p.e.c. EMAIL) dell’Avvocatura Civica (telefax NUMERO_TELEFONO ), con domicilio in Verona, INDIRIZZO per procura speciale a margine del ricorso.
Ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (già RAGIONE_SOCIALE), c.f. 00796460293, con sede in Roma, INDIRIZZO in persona del suo amministratore unico e legale rappresentante ‘ pro tempore ‘ signor NOME COGNOME rappresentata e difesa, giusta procura speciale per atto del Notaio NOME COGNOME del 31.1.2024 -rep. 97967 dagli avv.ti NOME COGNOME (c.f. DNO CODICE_FISCALE -P.E.C.: EMAIL -fax n. NUMERO_TELEFONO) e NOME COGNOMEc.f. JNN LSN CODICE_FISCALE CODICE_FISCALE -P.E.C.: EMAIL
-fax n. 0498210794) del Foro di Padova e NOME COGNOME (c.f. CODICE_FISCALE -PEC: EMAIL -fax n. 0687122317) del Foro di Roma ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo avvocato in Roma, INDIRIZZO.
Controricorrente
nonché contro
Provincia di Verona (c.f. e p. iva P_IVA), in persona del dr. NOME COGNOME dirigente provinciale, a ciò legittimato con decreto del Presidente della Provincia di Verona 12 novembre 2018 n. 25, rappresentata e difesa – anche in via disgiunta, in forza della deliberazione del medesimo Presidente 14 marzo 2019 n. 23 e della determinazione dirigenziale 19 marzo 2019 n. 978 e giusta procura speciale in calce al controricorso dall’avv. NOME COGNOME (c.f. BNC CODICE_FISCALE p.e.c. EMAILordineavvocativrpecEMAIL, iscritto dal 26 marzo 2004 all’albo speciale dei patrocinanti m Cassazione), rinunciante al mandato, e dall’avv. NOME COGNOME (c.f. SRO CODICE_FISCALE -p.e.c. EMAIL, iscritta dall’11 aprile 2014 all’albo speciale dei patrocinanti in Cassazione), entrambi dell’avvocatura provinciale, con domicilio eletto in Verona, INDIRIZZO (sede della resistente Amministrazione provinciale), dichiarando di voler ricevere comunicazioni e notifiche inerenti questo giudizio agli indirizzi pec EMAIL e EMAIL o al n. di telefax NUMERO_TELEFONO
Controricorrente
avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n° 2960 depositata il 31 ottobre 2018;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, dottor NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 maggio 2025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1 .- La Provincia di Verona otteneva a titolo gratuito dal Comune della stessa città la concessione di occupazione di un’area per l’erezione di ponteggi, funzionali all’esecuzione di lavori edili poi svolti dalla RAGIONE_SOCIALE
Durante l’occupazione il Comune annullò d’ufficio la concessione, sul rilievo che, mentre sussisteva il requisito della natura di ente pubblico del soggetto richiedente, non sussisteva l’altro requisito richiesto dall’art. 49 del d.lgs. 15 novembre 1993 n° 507, vale a dire le ‘ finalità specifiche di assistenza, previdenza, sanità, educazione, cultura e ricerca scientifica ‘ dell ‘occupazione.
2 .- La Sacramati impugnò davanti al Tar Veneto la revoca della concessione, nonché le conseguenti ingiunzioni di pagamento, ed il Tar, con sentenza n° 1246/2006, accolse in parte la domanda, annullando le intimazioni per il periodo successivo all’annullamento d’ufficio del provvedimento concessorio.
Tuttavia, il Consiglio di Stato, con sentenza n° 4912/2016, dichiarò il ricorso di primo grado inammissibile per difetto di giurisdizione dell’autorità giudiziaria amministrativa.
3 .- Il Comune ingiunse, quindi, alla Provincia ed alla Sacramati, ai sensi del r.d. n° 639/1910, il pagamento del Canone di concessione spazi ed aree pubbliche per tutto il periodo temporale dell’occupazione e gli intimati proposero opposizione davanti al Tribunale di Verona.
All’esito della lite, il Tribunale dichiarava non dovuto il Canone per l’occupazione anteriore all’annullamento dell’autorizzazione.
Quanto al periodo successivo, osservava che i lavori edili erano di natura privatistica, con la conseguenza che non spettava alcuna esenzione dal pagamento del Cosap.
4 .- Proposto appello dalla Sacramati, la Corte di Venezia con la sentenza indicata in intestazione riformò totalmente la prima decisione, dichiarando che nulla era dovuto a titolo di Canone.
Per quello che qui ancora rileva, osservava la Corte che era applicabile nella fattispecie l’esenzione prevista dall’art. 49, lettera a), del d.lgs. 15 novembre 1993 n° 507, a mente del quale il Canone non era dovuto per le occupazioni effettuate dallo Stato, dalle Regioni, dalle Province, dai Comuni e dai loro consorzi.
La locuzione contenuta nell’ art. 49, lettera a), ‘ per finalità specifiche di assistenza, previdenza, sanità, educazione, cultura e ricerca scientifica ‘ era riferibile solo agli enti pubblici e non, dunque, agli altri Enti territoriali, i quali erano ex se esentati dal pagamento del Canone.
La tesi del Comune, secondo la quale al Canone previsto dal Regolamento comunale emesso ex art. 63 del d.lgs. 15 dicembre 1997 n° 446 non sarebbero state applicabili le agevolazioni previste dall’art. 49 in tema di Tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, stante la diversità ontologica dei due prelievi, non era condivisibile, in considerazione dell’identità del presupposto di fatto che legittima l’imposizione della tassa o del canone, la finalità sostitutiva del Cosap rispetto alla Tosap e la riserva di legge ordinaria quanto all’individuazione dei soggetti passivi del Canone (art. 52 della legge 15 dicembre 1997 n° 446).
5 .- Avverso tale sentenza ha interposto ricorso per cassazione il Comune di Verona, affidando il gravame a due mezzi.
Resistono Provincia ed impresa, che concludono per la reiezione dell’impugnazione.
Il ricorso è stato assegnato per la trattazione in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380bis cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
6 .- Col primo motivo il Comune deduce ‘ Falsa applicazione dell’art. 49, co. l, lett. a), D. Lgs. 507/1993. Violazione dell’art. 63 D. Lgs. 446/1997 ‘.
Dalla natura non tributaria del Cosap, che è un canone, deriverebbe l’inapplicabilità della disciplina prevista in tema di Tosap, che è invece una tassa: donde la non invocabilità delle esenzioni previste dall’art. 49 del d.lgs. n° 507/1993.
Inoltre, l’art. 63 del d.lgs. n° 446/1997 demanda al Regolamento comunale la disciplina del Cosap, rimettendo ai Comuni la sola possibilità di prevedere ‘ speciali agevolazioni ‘, ma non esenzioni, con la conseguenza che il Canone sarebbe dovuto.
7 .- Il motivo è inammissibile, in quanto non contrasta adeguatamente la motivazione posta a fondamento della sentenza della Corte d’appello.
Quest’ultima, infatti, come già sopra esposto nella precedente parte narrativa, ha osservato che l’art. 52 del d.lgs. n° 446/1997 rimette ai Comuni la facoltà di disciplinare con proprio regolamento le entrate locali, anche tributarie, ‘ salvo per quanto attiene alla individuazione e definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e della aliquota massima dei singoli tributi, nel rispetto delle esigenze di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti ‘.
Secondo la Corte, dunque, l’individuazione e definizione dei soggetti passivi delle entrate predette è rimessa alla legge statale, con la conseguenza che l’art. 49 del d.lgs. n° 507/1993 -intitolato ‘ Esenzioni ‘ e rimasto pienamente in vigore anche dopo l ‘emanazione dei regolamenti comunali disciplinati dall’art. 52 e 63 del d.lgs. n° 446/1997 -sarebbe applicabile anche al Canone di occupazione, che, nonostante la sua diversità ontologica dalla Tassa, costituisce pur sempre un’entrata connessa al medesimo presupposto di fatto di quest’ultima.
La tesi appare corretta e trova conferma proprio nell’art. 63, lettera e), del d.lgs. n° 446/1997, nel quale -per l’appunto -viene rimes-
so al Regolamento comunale (per i Comuni che hanno optato per il Canone al posto della Tassa) la sola facoltà di prevedere ‘ speciali agevolazioni ‘, sul presupposto implicito che l ‘ introduzione di ‘ esenzioni ‘ dal Canone spetti, invece, allo Stato con propria norma primaria.
A fronte di tali snodi logici il ricorrente avrebbe dovuto aggredire la decisione di merito sulla scorta di una motivazione diversa ed ulteriore rispetto a quella sviluppata dalla Corte, senza limitarsi a riproporre questioni giuridiche già risolte dal giudice tenendo ben presente le norme indicate nel mezzo in esame.
È, infatti, noto che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, cod. proc. civ., non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, senza limitarsi a giustapporre alle argomentazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, quelle sostenute dalla ricorrente ( ex multis : Cass., sez. I, 25 luglio 2024 n° 20708).
Peraltro, giova anche rammentare che questa Corte, sebbene non abbia mai affrontato ex professo il tema posto col mezzo in esame, è sempre partita dal presupposto che le esenzioni previste per la Tassa fossero applicabili anche al Canone (tra le tante: Cass., sez. I, 25 settembre 2024 n° 25614).
Da ultimo, il Collegio osserva che, secondo quanto risulta dalla stessa sentenza impugnata, la revoca della concessione venne disposta dal Comune di Verona sul presupposto della insussistenza delle finalità specifiche previste dalla lettera a) dell’art. 49 del
d.lgs. n° 507/1993, dunque sulla base di quella stessa norma che ora il Comune ritiene inapplicabile al Canone.
In conclusione, il mezzo va respinto.
8 .- Col secondo motivo il ricorrente deduce, in via subordinata, la ‘ Violazione e falsa applicazione dell’art. 49, co. 1, lett. a), D.Lgs. 507/1993 ‘.
La Corte avrebbe mandato esente la Provincia e l’impresa dal pagamento del Canone osservando che l’art. 49, lettera a), del citato d.lgs. esonera ex se lo Stato, le regioni, le province, i comuni ed i loro consorzi, nonché gli enti religiosi per l’esercizio di culti ammessi nello Stato, mentre per i soli enti pubblici previsti dall’art. 87, primo comma, lettera c), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n° 917, sarebbero richieste, ai fini dell’esonero dal pagamento del Cosap, anche ‘ finalità specifiche di assistenza, previdenza, sanità, educazione, cultura e ricerca scientifica ‘.
In sostanza, quest’ ultimo inciso sarebbe riferibile solo agli ‘ enti pubblici ‘, ma non agli altri enti territoriali.
Per contro, secondo l’indirizzo di questa stessa Corte (Cass. n° 7197/2000), solo lo Stato sarebbe esentato dal pagamento della Tassa o del Canone, mentre gli altri Enti (Regioni, Province, Comuni) andrebbero esenti dal pagamento del prelievo solo in caso di occupazioni disposte per lo svolgimento di attività comprese nella sfera delle loro rispettive attribuzioni e competenze, quali definite dalla legge, costituzionale od ordinaria, o da fonti subordinate conformi.
9 .- Anche questo mezzo è infondato.
Va premesso che i due motivi formulati in ricorso trattano della debenza del Canone senza distinguere tra appaltatrice e Provincia.
Ora, questa Corte ha più volte specificato ( ex multis : Cass., sez. I, 25 luglio 2024, n° 20708) che l’elemento scriminante, che consente di escludere l’assoggettamento al Canone, è l’occupazione dello spazio dell’ente locale posta in essere direttamente dal soggetto
esente, il che non sembra essere nella specie, in quanto l’occupazione del suolo comunale venne effettuata dall’impresa edile per ‘ finalità privatistica ‘ (sentenza pagina 10).
Tuttavia, il ricorrente non prospetta la violazione dell’art. 49, lettera a), sotto tale profilo, ma lo fa deducendo la riferibilità dell’inciso finale della lettera a) (‘ per finalità specifiche di assistenza, previdenza, sanità, educazione, cultura e ricerca scientifica ‘) a tutti i soggetti (diversi dallo Stato) indicati come esenti, ossia alle Regioni, alle Province ed ai Comuni: ed è pertanto sotto tale limitato profilo (che, in tutta evidenza, riguarda solo la Provincia e non l’impresa) che va esaminata la violazione o la falsa applicazione del dettato normativo.
Così delimitato il perimetro della censura formulata col mezzo in esame, ne deriverebbe -secondo la tesi del ricorrente -che lo Stato sarebbe sempre esente, mentre gli altri enti territoriali lo sarebbero solo per le occupazioni necessarie, o, comunque, oggettivamente connesse allo svolgimento di attività comprese nella sfera delle loro rispettive attribuzioni e competenze, quali definite dalla legge, costituzionale o ordinaria, o da fonti subordinate conformi, secondo quanto stabilito da Cass. n. 7197/2000, citata nel mezzo.
Tale interpretazione, pur fondata sul citato precedente di questa Corte, non può essere condivisa.
È noto, infatti, che nell’interpretare la legge (art. 12 disp att. cod. civ.) ‘ non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse ‘ e che solo quando tale criterio non sia sufficiente e la norma resti ambigua si può ricorrere al criterio sussidiario della ‘ intenzione del legislatore ‘ (per tutte: Cass., sez. III, 4 ottobre 2018, n° 24165).
Ora, l’interpretazione data all’art. 49 dal precedente di Cass. n. 7197/2000 non sembra strettamente aderente al testo della legge, nella quale -per l’appunto -non è affatto specificato che l’esen-
zione sussiste solo ove l’occupazione delle Regioni, delle Province e dei Comuni sia oggettivamente connessa a loro fini istituzionali previsti dalla legge.
Infatti, la norma esordisce asserendo che ‘ ono esenti dalla tassa: a) le occupazioni effettuate… ecc… ‘ e quindi completa la forma verbale passiva (‘ effettuate ‘) mediante tre diversi complementi di causa efficiente, introdotti mediante la ripetizione della preposizione semplice ‘ da ‘, esattamente ordinati per gruppi secondo un elenco non numerato: il primo gruppo è composto ‘ dallo Stato, dalle regioni, province, comuni e loro consorzi ‘; segue un secondo gruppo, formato ‘ da enti religiosi per l’esercizio dei culti ammessi nello Stato ‘; e, infine, è indicato un ultimo gruppo, composto ‘ da enti pubblici di cui all’art. 87, comma 1, lettera c), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, per finalità specifiche di assistenza, previdenza, sanità, educazione, cultura e ricerca scientifica ‘.
È, pertanto, chiaro già dalla stessa sintassi della disposizione normativa che, come l’ espressione ‘ per l’esercizio dei culti ammessi nello Stato ‘ si riferisce solo ai soggetti del secondo gruppo (gli ‘ enti religiosi ‘), così anche l ‘ ulteriore espressione ‘ per finalità specifiche di assistenza, previdenza, sanità, educazione, cultura e ricerca scientifica ‘ non può che riferirsi al solo terzo gruppo, quello degli ‘ enti pubblici di cui all’art. 87, comma 1, lettera c), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 ‘, mentre il primo insieme di soggetti (composto dallo Stato, dalle regioni e dagli altri enti territoriali) fa parte a sé.
Appare, dunque, preferibile seguire l’altro precedente di questa stessa Corte (Cass., sez. trib., 5 giugno 2013, n° 14140, che ha espressamente disatteso l’indirizzo di Cass. n° 7170/2000), col
quale si è data all’art. 49 del d.lgs. n° 507/1993 l’interpretazione che qui si favorisce.
Ne deriva, in conclusione, che la Provincia deve annoverarsi, insieme allo Stato, alle regioni ed ai comuni, tra gli enti che godono dell’esenzione soggettiva dalla Tosap (e, dunque, oggi dal Cosap), indipendentemente dalla finalità dell’occupazione.
10 .- In conclusione, il ricorso va respinto.
Alla soccombenza del ricorrente segue la sua condanna alla rifusione delle spese in favore delle controparti, per la cui liquidazione -fatta in base al d.m. n° 55 del 2014, come modificato dal d.m. n° 147 del 2022, ed al valore della lite (euro 1 milione circa) -si rimanda al dispositivo che segue.
Va, inoltre, dato atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, comma 1quater , del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002 n° 115, per il raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente, ove dovuto.
p.q.m.
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere a ciascun controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in euro 10.000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario delle spese in ragione del 15%, oltre al cp ed all’iva, se dovuta. Dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, comma 1quater , del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002 n° 115, per il raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente, ove dovuto.
Così deciso in Roma il 15 maggio 2025, nella camera di con-