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Esenzione COSAP: concessione e natura del canone

Un comune e la sua società di riscossione hanno impugnato in Cassazione una sentenza che garantiva un’esenzione COSAP a una società concessionaria di parcheggi. La Corte d’Appello aveva stabilito che il canone non era dovuto perché non previsto nel contratto di concessione, interpretato come un accordo sinallagmatico. La Corte di Cassazione ha dichiarato i ricorsi inammissibili, sottolineando che non è possibile richiedere in sede di legittimità una nuova interpretazione del contratto e che i ricorrenti non avevano adeguatamente contestato la ‘ratio decidendi’ della decisione precedente.

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Pubblicato il 11 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Esenzione COSAP: la Cassazione fa chiarezza sulla natura del canone nelle concessioni pubbliche

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale per gli enti locali e le società concessionarie: la debenza del Canone per l’Occupazione di Spazi ed Aree Pubbliche (COSAP) nell’ambito di complessi accordi di concessione, come quelli derivanti da operazioni di project financing. La pronuncia ribadisce principi fondamentali sulla natura del canone e sui limiti del sindacato di legittimità, confermando la possibilità di una esenzione COSAP se non esplicitamente previsto nel contratto.

I Fatti di Causa: la Concessione dei Parcheggi e la Richiesta del Canone

La vicenda ha origine dalla concessione, da parte di un Comune, della gestione di aree di sosta a raso a una società privata. Quest’ultima, nell’ambito di un più ampio progetto, si era impegnata a realizzare e gestire le infrastrutture necessarie, come i parcheggi multipiano e la relativa segnaletica. A distanza di anni, la società concessionaria per la riscossione dei tributi comunali emetteva diversi avvisi di accertamento nei confronti della società di gestione dei parcheggi, richiedendo il pagamento del COSAP per gli anni dal 2009 al 2012. La società concessionaria si opponeva, sostenendo di non dover versare il canone.

La Decisione della Corte d’Appello e l’Esenzione COSAP

La Corte d’Appello, riformando la decisione di primo grado, accoglieva le ragioni della società concessionaria. I giudici di secondo grado hanno stabilito che il COSAP non è un tributo, bensì un’entrata patrimoniale con “natura sinallagmatica”, ovvero un corrispettivo per una prestazione. Secondo la Corte territoriale, la mancata previsione del canone nel contratto di concessione e nel piano economico-finanziario allegato equivaleva a una rinuncia da parte dell’ente locale. L’utilizzo delle aree pubbliche non era un’occupazione fine a se stessa, ma parte integrante del complesso scambio di prestazioni previsto dall’accordo, che includeva la realizzazione di opere pubbliche a carico del privato. Pertanto, sussistevano i presupposti per una esenzione COSAP.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

Contro questa decisione, sia il Comune che la società di riscossione hanno proposto ricorso in Cassazione. Essi sostenevano che la Corte d’Appello avesse erroneamente interpretato il contratto e le norme in materia. A loro avviso, la concessione di aree pubbliche per un’attività lucrativa come la gestione di parcheggi a pagamento comportava automaticamente l’obbligo di versare il COSAP. Inoltre, ritenevano che un ente pubblico non potesse rinunciare a un’entrata in modo implicito, ma solo attraverso un atto formale.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato entrambi i ricorsi inammissibili. I giudici supremi hanno chiarito che il ricorso per cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito della causa. I motivi presentati dal Comune e dalla società di riscossione, infatti, non denunciavano una reale violazione delle norme sull’interpretazione del contratto, ma si limitavano a proporre una lettura dei fatti e del contratto diversa da quella, motivata, della Corte d’Appello. Questo tipo di censura è inammissibile in sede di legittimità.
Inoltre, la Corte ha rilevato una carenza fondamentale nei ricorsi: essi non avevano attaccato la ratio decidendi centrale della sentenza impugnata. La Corte d’Appello aveva fondato la sua decisione sulla natura sinallagmatica dell’intero rapporto contrattuale, in cui il godimento del suolo pubblico era controbilanciato dall’esecuzione dell’opera. I ricorrenti non hanno efficacemente smontato questa argomentazione, rendendo i loro motivi di ricorso inidonei a scalfire la decisione.

Le Conclusioni

L’ordinanza consolida importanti principi. Primo, il COSAP non ha natura tributaria ma patrimoniale, e la sua debenza può essere esclusa nell’ambito di un accordo contrattuale complesso se ciò emerge dalla volontà delle parti. Secondo, un ricorso in Cassazione è inammissibile se si limita a sollecitare un riesame dei fatti o una diversa interpretazione del contratto già vagliata dal giudice di merito. Infine, per ottenere la cassazione di una sentenza, è indispensabile contestare in modo specifico e puntuale la ratio decidendi, ovvero il nucleo logico-giuridico che sorregge la decisione.

Quando può essere considerata legittima un’esenzione COSAP in un contratto di concessione?
Secondo la decisione, l’esenzione dal COSAP può essere legittima quando il canone non è esplicitamente previsto nell’atto di concessione. Se il contratto ha una natura sinallagmatica, in cui l’utilizzo del suolo pubblico è parte di un più ampio scambio di prestazioni (come la realizzazione di opere pubbliche), la mancata previsione del canone può essere interpretata come una rinuncia da parte dell’ente locale.

Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso del Comune?
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile principalmente perché i motivi proposti non denunciavano una reale violazione di legge, ma miravano a ottenere una nuova interpretazione del contratto e un riesame dei fatti, attività precluse in sede di legittimità. Inoltre, i ricorrenti non hanno adeguatamente contestato la ‘ratio decidendi’ (la ragione giuridica fondamentale) della sentenza d’appello.

Il COSAP è considerato un tributo?
No, la sentenza conferma che il COSAP non è un tributo, ma un’entrata patrimoniale riconducibile a una prestazione di tipo privatistico, un ‘prelievo di natura sinallagmatica’. A differenza di un tributo come la TOSAP (Tassa per l’Occupazione di Spazi ed Aree Pubbliche), i cui presupposti sono fissati dalla legge, il COSAP è regolato in modo più flessibile nell’ambito del rapporto contrattuale tra l’ente e il concessionario.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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