Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 791 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 791 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 09/01/2024
ORDINANZA
Sul ricorso n. 36246-2018, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , cf. 01109590214, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
Ricorrente
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE , cf. 97210890584, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende -Controricorrente
Avverso la sentenza n. 46/02/2018 della Commissione tributaria di II Grado di Bolzano, depositata il 15.05.2018;
udita la relazione della causa svolta nell’ adunanza camerale del 21 giugno 2023 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che
Dalla pronuncia impugnata si evince che l ‘Agenzia delle dogane e dei monopoli notificò alla ‘C entrale RAGIONE_SOCIALE autoproduttore di energia elettrica, l’ avviso di pagamento RU 19988, relativo
Accise – Energia elettrica –
Autoproduzione –
Cessione ai soci –
Esenzione
–
Esclusione
agli anni d’imposta 200 9/2013 , contestando l’illegittima applicazione nei confronti dei soci dell’esenzione fiscale, prevista dall’art. 52, comma 3, lett. b) del d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504 (Testo Unico sulle Accise). Nello specifico negò che l’esenzione spettasse per l’energia prodotta e destinata ai soci, perché consumatori finali diversi dalla società autoproduttrice. Agli importi furono applicati gli interessi legali ma non quelli moratori, né le sanzioni. L’atto era stato preceduto da un altro avvis o di pagamento, relativo al solo anno d’imposta 2009, che l’Amministrazione doganale aveva però provveduto ad annullare per vizi di motivazione, rimborsando anche l’importo già corrisposto.
Al pari del primo avviso di pagamento, annullato, la società impugnò anche il secondo, eccependo la prescrizione del diritto di recupero dell’imposta e contestando nel merito le pretese dell’Ufficio.
La Commissione tributaria di I Grado di Bolzano, che con sentenza n. 187/02/2016 rigettò il ricorso. La Commissione tributaria di II Grado di Bolzano respinse l’appello della società con sentenza n. 46/02/2018, ora al vaglio della Corte. Il giudice regionale, dopo aver ribadito la tempestività e ritualità procedimentale della richiesta di recupero, ha sostenuto che l ‘ energia elettrica fornita dalla società cooperativa ai propri soci non era esente dalle accise, perché alla cessionaria non poteva attribuirsi la qualifica di ‘ autoproduttore” e di “autoconsumatore”, poiché la cooperativa era soggetto distinto dai singoli soci, imprese autonome, da considerarsi pertanto soggetti terzi rispetto all’utilizzo personale dell’energia elettrica, richiesto quale presupposto per godere del beneficio dell’esenzione ; ha escluso inoltre che il richiamo all’ art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 79 del 1999 (cd. Decreto Bersani) potesse fondare l’estensione del beneficio in esame alle socie cooperative, perché non «supportato da valide ragioni giuridiche». Ciò in quanto il c.d. decreto Bersani era stato introdotto in attuazione della direttiva 96/92/CE, recante norme comuni per il mercato interno dell’energia, e le definizioni di ‘autoproduttore’ in esso contenute potevano trovare applicazione solo agli effetti di quel decreto (art. 2, c. 1., d.Lgs. 16 marzo 1999, n. 79). Ha respinto le censure sollevate ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ., in particolare la denuncia di violazione del protocollo di Kyoto, della violazio ne degli artt. 3 e 41 della Costituzione, infine dell’art. 52, co. 3,
lett. b) del d.lgs. n. 504 del 1995, in relazione all’art. 3 della l. 27 luglio 2000, n. 212.
La società ha censurato la sentenza affidandosi a sei motivi, su cui ulteriormente insiste con memoria illustrativa ex art. 380 bis1 cod. proc. civ., cui ha resistito con controricorso l’Agenzia delle dogane e dei monopoli.
All’esito dell’adunanza camerale del 2 1 giugno 2023 la causa è stata decisa.
Considerato che:
Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 15, comma 1, e dell’art. 57, comma 3, del d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, nonché dell’art. 21 octies della L. 7 agosto 1990, n. 241, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. La pronuncia del giudice regionale avrebbe erronea mente respinto l’eccepita prescrizione del diritto al recupero dell’imposta relativa all’anno 2009, richiamando l’art. 57 e non l’art. 15 della disciplina del Testo unico sulle accise. Al contrario, so stiene la difesa della società, a fronte di un termine di prescrizione quinquennale, come indicato dall’art. 15 cit., l’avviso di pagamento notificato il 29.12.2014 ed il processo verbale di constatazione non avrebbero avuto funzione interruttiva. In ogni caso l’annullamento in autotutela dell’atto impositivo ed il rimborso che ne era conseguito avevano travolto gli effetti interruttivi della prescrizione ad esso riconducibile.
Il motivo è infondato per le ragioni appreso chiarite.
L’art. 15, comma 1, del d.lgs. n. 504 del 1995, ratione temporis vigente, prevedeva che «Il credito dell’Amministrazione finanziaria per l’accisa si prescrive in cinque anni e, limitatamente ai tabacchi, in dieci anni. In caso di comportamenti omissivi la prescrizione opera dal momento della scoperta del fatto illecito».
L’art. 57, comma 3, della medesima disciplina, prevede che « Il termine di prescrizione per il recupero dell’imposta è di cinque anni dalla data in cui è avvenuto il consumo. In caso di comportamenti omissivi la prescrizione opera dal momento della scoperta del fatto illecito».
Ebbene, la decorrenza del termine quinquennale di prescrizione dal momento della scoperta del ‘fatto illecito’ -relazionato a condotte omissivee non dal verificarsi del consumo del bene assoggettato all’accisa, implica una condotta illecita, fattispecie estranea al caso di specie. È in ogni caso
pacifico che nella controversia de quo risulta incontestato che per anni l’Amministrazione finanziaria a bbia ritenuto spettante il beneficio dell’esenzione dall’accisa, e che solo successivamente, sulla base di una più corretta interpretazione della disciplina applicabile, ha ritenuto che l’energia prodotta e ceduta ai soci della cooperativa non godesse della disciplina agevolata dell’esonero dall’imposta.
I l mancato pagamento dell’accisa non era dunque riconducibile a condotte omissive, ma ad un ‘errata interpretazione dell’ambito applicativo dell’obbligo d’imposta. Ne discende che del consumo dell’energia elettrica l’Amministrazione finanziaria era a conoscenza sin dal 2009 , con l’effetto che il termine di prescrizione, decorrendo dal medesimo anno, doveva scadere il 31 dicembre 2014. Sotto il profilo appena evidenziato le ragioni difensive della controricorrente Agenzia non sono pertinenti.
Tuttavia è altrettanto pacifico che entro il 31 dicembre 2014 l’Amministrazione finanziaria ebbe a notificare tanto un processo verbale di constatazione (27 ottobre 2009), quanto un avviso di pagamento (29 dicembre 2014).
È irrilevante, ai fini della messa in mora della società, che il predetto avviso di pagamento sia stato successivamente annullato in autotutela sull’assunto che, rispetto alle osservazioni proposte avverso il pvc, l’atto impositivo non era stato adeguatamente motivato. Ciò non implicava affatto che la pretesa impositiva fosse infondata, ma che l’Amministrazione finanziaria riconosceva l’esigenza del rispetto del contraddittorio. L’Amministrazione doganale ha pertanto correttamente annullato l’avviso di pagamento, per notificarne successivamente, e sempre tempestivamente, un secondo, comprensivo non solo dell’annualità 2009, ma anche delle annualità successive.
Peraltro, l’annullamento del primo atto di pagamento non aveva comunque travolto il processo verbale di constatazione del 27 ottobre 2009, redatto all’esito del controllo.
Quanto al secondo motivo, con cui la società si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 12 della l. 27 luglio 2000, n. 212, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., e secondo il quale, nella prospettazione della difesa della ricorrente, l’Amministrazione doganale
avrebbe dovuto notificare un nuovo processo verbale di constatazione, esso è privo di pregio.
Il vizio, per il quale l’ufficio si era determinato all’annullamento in autotutela dell’atto impositivo (al riguardo nella motivazione della pronuncia -pag. 3, ult. capoverso- vi è stata una mera confusione terminologica tra pvc e avviso di pagamento), poteva infic iare l’atto affetto dal vizio stesso, non anche quelli precedenti. Ne consegue che il processo verbale di costatazione, come tutta la pregressa sequenza procedimentale, era immune da vizi e pienamente valido.
Il successivo avviso di pagamento, del 2015, ha dunque trovato legittimo presupposto nel verbale redatto all’esito dell’accertamento sulla debenza delle accise.
In conclusione anche con riferimento all’annualità 2009 l’avviso di pagamento era tempestivo ed i primi due motivi di ricorso vanno respinti.
Con il terzo motivo la società si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 52, comma 3, lett. b), del d.lgs. n. 504 del 1995), 2, comma 2, del d.lgs. n. 79 del 1999, 1, comma 911, della l. 28 dicembre 2015, n. 208, nonché dell’art. 12 delle preleggi , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
Con il quarto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 52, comma 3, lett. b) del d.lgs. n. 504 del 1995, nonché dell’art. 10, comma 3 (attuale comma 6), della l. 13 maggio 1999, n. 133, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., quanto al mancato rispetto delle regole per favorire l’attuazione del protocollo di Kyoto;
con il quinto motivo lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 52, comma 3, lett. b) del d.lgs. 504 del 1995, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., quanto al mancato rispetto degli artt. 3 e 41 della Costituzione;
con il sesto motivo lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 52, comma 3, lett. b), del d.lgs. 504 del 1995, nonché degli artt. 3 e 10 della l. n. 212 del 2000, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
I riportati motivi possono essere trattati unitariamente perché tutti rivolti ad invocare l’erroneità della decisione del giudice regionale rispetto a plessi normativi, dalla cui organica lettura si evincerebbe una più corretta interpretazione della norma agevolativa sulla esenzione d’accisa
dall’autoproduzione di energia elettrica, anche nel rispetto sia di principi costituzionali, sia del raggiungimento di obiettivi di salute ambientale, assunti come impegno internazionale dallo Stato italiano.
Con essi, sintetizzando, la difesa della società ha rilevato come il giudice tributario abbia apprezzato l’inesistenza di un concetto di autoproduttore nell’art. 52 cit., e il conseguenziale inutile richiamo della d.lgs. 79 del 1999 (cd. decreto Bersani), così come il divieto di una interpretazione analogica. Nel ricorso, al contrario, si insiste sulla ratione della disciplina agevolativa, favorevole per tutti coloro che producono energia da fonti rinnovabili ed estensibile come tale anche, per l’ipotesi di cooperative, ai rispettivi soci, a tal fine essendo particolarmente utile richiamare il concetto di autoproduttore introdotto con il d.lgs. n. 79 cit.
Ha inoltre invocato, ad ulteriore rafforzamento di tale prospettiva interpretativa, il comma 911 dell’art. 1 della l. 208 del 2015, da considerarsi norma di interpretazione autentica, come tale applicabile alle fattispecie pregresse alla sua introduzione, come quella per cui è causa. Ha collocato il significato e la funzione dell’art. 52, comma 3, lett. b) cit. nella produzione normativa finalizzata alla attuazione degli impegni assunti dallo Stato italiano con riguardo al raggiungimento degli obiettivi fissati del protocollo di Kyoto sull’utilizzo delle fonti rinnovabili. Ha sostenuto che una interpretazione restrittiva come quella assunta dal giudice d’appello si porrebbe in contrasto anche con i principi costituzionali dettati dall’art. 3 e dall’art. 41 Cost., quanto alla discrimina zione tra impresa autoprodutttrice dell’energia elettrica che consuma, e cooperativa, che costituisce una forma organizzata collettiva, composta da privati e imprese, per la produzione di energia, al fine dell’auto -consumo da parte dei propri soci. Ha infine evidenziato la violazione dei principi dello Statuto del contribuente, laddove il giudice regionale ha giustificato un improvviso mutamento interpretativo della disciplina dettata dall’art. 52 cit. , laddove sino alla fine del 2013 la medesima Agenzia delle dogane aveva sempre riconosciuto l’esenzione delle cooperative autoproduttrici dalle accise in materia, mentre solo successivamente ha ritenuto che tale esenzione non spettasse, chiedendone la riscossione per le annualità pregresse, oltre che gli interessi legali.
I motivi sono tutti infondati.
Questa Corte, pronunciandosi in simili controversie, in riferimento alle società consortili, ha già affermato che le società consortili costituite per l’autoproduzione di energia da fonti rinnovabili, come tutte le officine di produzione di energia elettrica utilizzata per uso proprio, sono obbligate al pagamento del tributo, a norma dell’art. 53, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 504 del 1995, mentre ne sono esentate, ai sensi dell’art. 52, comma 3, lett. b), dello stesso decreto (nel testo applicabile ratione temporis , sostituito dall’art. 1, comma 1, lett. m, del d.lgs. n. 26 del 2007) solamente a condizione che l’energia, oltre che autoprodotta con impianti aventi potenza disponibile superiore a 20 KW, sia anche autoconsumata in locali e luoghi diversi dalle abitazioni, con la conseguenza che le suddette società beneficiano dell’esenzione limitatamente all’energia prodotta e consumata in proprio e non anche per quella prodotta e ceduta ai singoli consorziati (Cass., 16 ottobre 2019, n. 26142; 18 dicembre 2019, n. 33592; 11 settembre 2020, n. 18863).
Con riguardo poi alle società cooperative, la Corte di legittimità (Cass., 1 giugno 2023, n. 15555) ha parimenti ritenuto infondate le ragioni della contribuente. Partendo proprio dalla giurisprudenza formatasi sulle società consortili, ha ritenuto che « tale principio, ancorché pronunciato con riferimento ai consorzi, è estensibile anche alle cooperative. L’art. 52, comma 3, lett. b), del d.lgs. n. 504 del 1999, come modificato dall’art. 1 del d.lgs. n. 26 del 2007, stabilisce che ‘ Non è sottoposta ad imposta l’energia elettrica: ; b) prodotta con impianti azionati da fonti rinnovabili ai sensi della normativa vigente in materia, con potenza disponibile superiore a 20 kW, consumata dalle imprese di autoproduzione in locali e luoghi diversi dalle abitazioni ‘ . L’applicabilità del regime di esenzione, quindi, è strettamente connessa al presupposto che l’energia elettrica prodotta con impianti azionati da fonte rinnovabile sia consumata da imprese di autoproduzione, sicché, ove le stesse non consumino l’energia per sé, in autoconsumo, ma la cedano a terzi, si è al di fuori del campo di applicazione della previsione normativa in esame. Ne consegue che i soci delle società cooperative, in quanto soggetti non autoproduttori, al pari dei consorziati nelle organizzazioni consortili, sono cessionari di energia elettrica, con la conseguenza che la società cooperativa assume nei loro confronti la qualità
di fornitore ed è quindi tenuta al pagamento dell’accisa. Ed anche con
riferimento ai soci delle cooperative non può porsi la questione della valenza, a fini interpretativi, della previsione contenuta nel D.Lgs. 16 marzo 1999, n. 79, art. 2, comma 2, che prevede che ‘ Autoproduttore è la persona fisica o giuridica che produce energia elettrica e la utilizza in misura non inferiore al 70% annuo per uso proprio ovvero per uso delle società controllate, della società controllante e delle società controllate dalla medesima controllante, nonché per uso dei soci delle società cooperative di produzione e distribuzione dell’energia elettrica di cui all’articolo 4, numero 8, della legge 6 dicembre 1962, n. 1643, degli appartenenti ai consorzi o società consortili costituiti per la produzione di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili e per gli usi di fornitura autorizzati nei siti industriali anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto ‘ .
Sul punto è stato infatti chiarito (Cass. civ., 12 settembre 2008, n. 23529 e, da ultimo, Cass. n. 24169 del 2020) che non può influire sulla regolamentazione della presente fattispecie una definizione contenuta in una legge diretta a scopi diversi da quelli perseguiti dalla normativa tributaria, essendo il d.lgs. n. 79 del 1999 finalizzato a regolare il mercato interno dell’energia elettrica ed i comportamenti dei principali operatori, restando la materia fiscale estranea a tale normativa. Pertanto, la nozione di autoproduttore di cui al cit. d.lgs. n. 79 del 1999 non è idonea ad individuare i soggetti esentati dal pagamento delle accise ai sensi dell’art. 52, comma 3, lett. b), TUA, i quali non rientrano nella menzionata definizione. Ad ulteriore supporto si è anche considerato che: a) il d.lgs. n. 79 del 1999, art. 2, comma 1, precisa che le definizioni di cui ai successivi commi valgono ai soli fini del decreto e, pertanto, la definizione di autoproduzione di cui al comma 2 trova un limite applicativo testuale; b) le finalità del decreto Bersani, in linea con la Direttiva n. 96/92/Ce, sono quelle di perseguire un mercato concorrenziale dell’energia elettrica, mentre il T.U. Accise, come modificato dal d.lgs. n. 26 del 2007, in attuazione della direttiva n. 2003/96/CE, ha come obiettivo l’armonizzazione della tassazione degli Stati membri della UE in materia di accise sui prodotti energetici: in questo contesto, la definizione di autoproduzione di cui al decreto Bersani deve fare i conti con la qualifica di soggetti obbligati al pagamento delle accise che hanno le officine di produzione di energia elettrica per uso proprio ai sensi del d.lgs. n. 504 del 1995. Ne consegue che l’esenzione prevista dall’art. 52,
comma 3, lett. b), cit., con riferimento all’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, è limitata all’utilizzazione che fa dell’energia medesima il soggetto autoproduttore ed è di stretta interpretazione: deve, pertanto, riconoscersi l’esenzione unicamente alla società cooperativa che produce l’energia, nei limiti del consumo dalla stessa praticato, e non già per l’ipotesi in cui la predetta società ceda l’energia elettrica a distinti soggetti giuridici quali sono i soci, pena facili ed intuibili elusioni della disposizione agevolativa (arg. da Cass. n. 24169 del 2020).
Non trova dunque condivisione la tesi secondo cui all’estensione dell’esenzione dalle accise anche ai soci delle cooperative dovrebbe pervenirsi attraverso una interpretazione estensiva del più volte citato art. 52 T.U. sulle accise, riferendosi la qualifica di autoproduttore non solo all’ipotesi in cui la cooperativa consumi per sé l’energia autoprodotta, ma anche a quella in cui l’energia sia consumata dai propri soci. Interpretazione estensiva della predetta disposizione che, al pari di quella analogica, non è consentita trattandosi di norma agevolativa di esenzione fiscale, come tale di stretta interpretazione.
Alla fattispecie in esame non è neppure applicabile la disposizione di cui all’art. 1, comma 911, della legge n. 208 del 2015 (c.d. Legge di stabilità 2016) che ha previsto che ‘ il D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, art. 52, comma 3, lett. b), si applica anche all’energia elettrica prodotta con impianti azionati da fonti rinnovabili ai sensi della normativa vigente in materia, con potenza disponibile superiore a 20 kw, consumata dai soci delle società cooperative di produzione e distribuzione dell’energia elettrica di cui alla L. 6 dicembre 1962, n. 1643, art. 4, n. 8), in locali e luoghi diversi dalle abitazioni ‘ . Invero, il comma 999 del citato art. 1 prevede che ‘ La presente legge, salvo quanto diversamente previsto, entra in vigore il 10 gennaio 2016 ‘ . Ne consegue che, in mancanza di una espressa previsione di applicabilità retroattiva del comnma 911 dell’art. 1 della citata legge, l’esenzione dall’accisa per i soci delle società cooperative di produzione e distribuzione dell’energia elettrica si applica soltanto dall’anno d’imposta 2016. Né alla citata disposizione può attribuirsi natura interpretativa del previgente art. 52, comma 3, lett. b), del D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, in difetto di un’espressa qualificazione in tal senso e di pregressi dubbi di tipo esegetico in ordine all’effettiva portata della stessa, ma anche perché la norma in esame ha portata fortemente
innovativa (e non esplicativa) della citata disposizione, estendendo anche ai soci delle cooperative di produzione e distribuzione dell’energia elettrica l’esenzione dalle accise, prima chiaramente esclusa. D’altronde sarebbe incomprensibile il perché una norma, che per espressa previsione normativa entra in vigore da una certa data (10 gennaio 2016), dovrebbe ricondursi tra le norme di interpretazione autentica, con applicazione retroattiva.
Ai principi di diritto ora esposti si è attenuto il giudice regionale, alla cui sentenza non possono pertanto utilmente indirizzarsi le censure mosse dalla difesa della società contribuente.
Quanto sinora chiarito è utile anche a respingere sia l’invocazione dell’art. 52, comma 3, lett. b) , del TUA, sia dell’art. 10, comma 3 (attuale comma 6), della l. 13 maggio 1999, n. 133, formulate con il quarto motivo, quanto al mancato rispetto delle regole di attuazione del protocollo di Kyoto.
Il Protocollo di Kyoto, adottato l’11 dicembre 1997 e reso esecutivo in Italia con legge 1° giugno 2002, n. 120, non ha natura immediatamente precettiva, impegnando gli Stati membri a realizzare riforme, anche legislative, con la finalità di ridurre le emissioni dei cd. gas-serra. Lascia dunque ampia discrezionalità di intervento, così che non può individuarsi nell’interpretazione , ancorché restrittiva, di una norma agevolativa in materia di accise, un elemento di contrasto alla ‘politica energetica’ dello Stato, che va perseguita nei limiti dei binari segnati dalla normativa a tal fine introdotta.
Sotto altro profilo, è proprio il richiamato art. 10, comma 6, della l. n. 133 del 1999, pur dando attuazione agli impegni di Kyoto, ha significativamente riguardo soltanto all’ ‘energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, consumata dalle imprese di autoproduzione”. La formulazione della norma si allinea perfettamente proprio all’art. 52, comma 3, lett. b), TUA, assumendo a presupposto dell’esenzione esclusivamente l’autoconsumo.
È infondato anche il quinto motivo. Deve infatti escludersi che si realizzi la dedotta discriminazione in danno di imprese, perché organizzate in forma di cooperative, e che secondo la prospettazione difensiva della ricorrente sarebbero menomate nella loro libertà d’iniziativa economica.
I l requisito dell’autoconsumo per ottenere l’esenzione è infatti predicato in riferimento a qualunque impresa, a prescindere dalle sue dimensioni e
RGN 36246/2018 Consigliere rel. NOME
dalla forma giuridica mediante la quale è eretta. Né è suscettibile di sindacato, rientrante nell’ambito delle scelte rimesse al legislatore, la limitazione dell’applicabilità dell’esenzione all’autoconsumo, con esclusione dell’utilizzo di energia proveniente da una cooperativa da parte delle imprese socie. L ‘alterità di queste rispetto alla prima determina un’obiettiva diversità di fattispecie, con conseguente non automatica estensibilità di un beneficio fiscale.
Inammissibile e comunque infondato è infine il sesto motivo.
Intanto la ricorrente, non riportando la trascrizione dell’avviso di pagamento, né quando la questione afferente al pagamento degli interessi legali sull’accisa non versata, sia stata sollevata nel precedente grado di merito, non consente di rilevare la esistenza stessa del motivo di doglianza e comunque quando di ciò si sia lamentato nel processo.
La censura è comunque infondata perché la Corte di legittimità è ferma nel ritenere che, qualora il contribuente si sia conformato ad un’indicazione erronea fornita dall’Amministrazione finanziaria, il principio di tutela dell’affidamento – sancito dall’art. 10, comma 2, st contr. – non esonera dall’adempimento dell’obbligazione tributaria principale, ma solo da sanzioni e interessi (cfr., ex multis, 30 settembre 2020, n. 20819). Nondimeno, gli interessi cui si riferisce il principio di diritto da ultimo enunciato, in forza dell’esplicito richiamo dell’art. 10, comma 2, l. n. 212 del 2000 sono unicamente gli interessi moratori, in forza del l’esplicita previsione in tal senso della disposizione legislativa (secondo cui ‘non sono irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell’amministrazione finanziaria ‘). In tal senso depone la lettura della motivazione della sentenza da cui origina l’affermazione del principio stesso ( Cass. 10 settembre 2009, n. 19479).
In conclusione vanno rigettati i motivi dal secondo al sesto, dovendo affermarsi, al pari che per le società consortili, il principio di diritto secondo cui « in tema di accise sull’energia elettrica, la società cooperativa che autoproduce energia elettrica da fonte rinnovabile, con impianti dalla potenza disponibile superiore a 20 kw, beneficia dell’esenzione prevista dall’art. 52, comma 3, lett. b), del d.lgs. n. 504 del 1995 (nella sua formulazione applicabile ratione temporis, successiva alle modifiche introdotte con il d.lgs. n. 26 del 2007) limitatamente
all’energia prodotta e consumata in proprio e non anche a quella prodotta e ceduta ai singoli consociati ».
All’esito del processo segue la soccombenza della società nelle spese del giudizio id legittimità, che si liquidano nella misura specificata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore dell’Agenzia delle dogane, che si liquidano nella misura di € 7.800,00, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 21 giugno 2023