Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1349 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 1349 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 12/01/2024
ORDINANZA
Sul ricorso n. 16895-2019, proposto da:
CONSORZIO RAGIONE_SOCIALE soc. RAGIONE_SOCIALE , cf. NUMERO_DOCUMENTO, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Roma, presso la cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
Ricorrente
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE , cf. 97210890584, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende –
Controricorrente
Avverso la sentenza n. 6/02/2019 della Commissione tributaria di II Grado di Trento, depositata il 9.01.2019;
udita la relazione della causa svolta nell’ adunanza camerale del 26 settembre 2023 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che
Dalla pronuncia impugnata si evince che l ‘Agenzia delle dogane e dei monopoli notificò al ‘RAGIONE_SOCIALE Storo’ RAGIONE_SOCIALE , autoproduttore
Accise – Energia elettrica –
Autoproduzione –
Cessione ai soci –
Esenzione
–
Esclusione
di energia elettrica, tre atti d’accertamento ed avvisi di pagamento, relativi agli anni d’imposta 2010/2012, contestando l’illegittima applicazione nei confronti dei soci dell’esenzione fiscale, prevista dall’art. 52, comma 3, lett. b) del d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504 (Testo Unico sulle Accise). Nello specifico negò che l’esenzione spettasse a i soci, perché consumatori finali diversi dalla società autoproduttrice. Agli importi furono applicati gli interessi legali ma non quelli moratori, né le sanzioni.
La società contribuente versò gli importi, contestualmente avanzando la richiesta di rimborso, che l’ufficio finanziario rigettò con tre provvedimenti di diniego.
Gli atti furono tutti impugnati dinanzi alla Commissione tributaria di I Grado di Trento, che con sentenza n. 187/02/2016 ne accolse le ragioni. La Commissione tributaria di II Grado di Trento accolse l’appello dell’ Agenzia delle dogane con sentenza n. 6/02/2019, ora al vaglio della Corte. Il giudice regionale ha sostenuto che la fornitura di energia elettrica dalla società cooperativa ai propri soci non era esente dalle accise, perché ai cessionari non poteva attribuir si la qualifica di ‘ autoproduttore” e di “autoconsumatore”», trattandosi di «utente finale di beni o servizi, che si distingue dall’utente non socio per la sola condizione di poter godere di tariffe più vantaggiose in ragione del tipo di scambio mutualistico, che caratterizza il rapporto cooperativa-socio»; ha escluso inoltre che il richiamo all’ art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 79 del 1999 (cd. Decreto Bersani) potesse fondare l’estensione del beneficio in esame alle socie cooperative, perché non «supportato da valide ragioni giuridiche». Ciò in quanto il c.d. decreto Bersani era stato introdotto in attuazione della direttiva 96/92/CE, recante norme comuni per il mercato interno dell’energia, e le definizioni di ‘autoproduttore’ in esso contenute potevano trovare applicazione solo agli effetti di quel decreto (art. 2, c. 1., d.Lgs. 16 marzo 1999, n. 79). Ha affermato che, avendo l’ufficio applicato rigorosamente l’art. 10. comma 2, l. 27 luglio 2000, n. 212, in tema di affidamento e buona fede del contribuente, non irrogando sanzioni né richiedendo interessi moratori, l’istanza di rimborso era stata legittimamente rigettata. Ha sostenuto che alla fattispecie non fosse applicabile neppure il disposto di cui all’art. 1, comma 911, della legge n. 208 del 2015 (Legge di Stabilità 2016), in quanto la stessa non aveva funzione interpretativa, come preteso dalla
RGN 10148/2019
contribuente, ciò non emergendo né dalla lettera della legge, né dai lavori preparatori. Essa infatti non chiariva il significato normativo di una legge preesistente, così integrandone la disposizione, né introduceva retroattivamente una nuova disciplina dell’esenzione, limitandosi invece ad aggiungere qualcosa in più che la norma fiscale non prevedeva, come l’uso della congiunzione «anche» stava a dimostrare.
La società ha censurato la sentenza affidandosi a tre motivi, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle dogane e dei monopoli.
La Procura Generale ha chiesto il rigetto del ricorso.
All’esito dell’adunanza camerale del 26 settembre 2023 la causa è stata decisa.
Considerato che:
Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 52, comma 3, lett. b), del d.lgs. n. 504 del 1995), 2, comma 2, del d.lgs. n. 79 del 1999 e 12, comma 1, delle disposizioni sulla legge in generale, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. Sostiene che la Commissione di II Grado di Trento, nell’escludere dall’ambito applicativo della norma di esenzione i soci della cooperativa, aveva erroneamente privilegiato una interpretazione restrittiva e formalistica della disciplina, così violando anche la norma del cd. decreto Bersani (d.lgs. n. 79/1999);
con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1, comma 911, della legge n. 208 del 2015 (Legge di stabilità 2016) e 12, comma 1, delle disposizioni sulla legge in generale, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. Afferma che erroneamente la pronuncia non avrebbe tenuto conto della «norma di interpretazione autentica», contenuta nell’art. 1, comma 911, L. 208/2015, negandone la retroattività;
con il terzo motivo deduce la nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per motivazione apparente, con riferimento al motivo di appello con cui era stata dedotta la violazione del principio di buona fede e di legittimo affidamento, chiedendo anche il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE sul rilievo che l’interpretazione restrittiva della norma di esenzione fosse lesiva del predetto principio di rilevanza unionale.
I motivi, che possono essere trattati congiuntamente perché connessi, sono tutti infondati.
Questa Corte, pronunciandosi sul tema, in riferimento alle società consortili, ha già affermato che quelle costituite per l’autoproduzione di energia da fonti rinnovabili, come tutte le officine di produzione di energia elettrica utilizzata per uso proprio, sono obbligate al pagamento del tributo, a norma dell’art. 53, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 504 del 1995, mentre ne sono esentate, ai sensi dell’art. 52, comma 3, lett. b), dello stesso decreto (nel testo applicabile ratione temporis , sostituito dall’art. 1, comma 1, lett. m, del d.lgs. n. 26 del 2007) solamente a condizione che l’energia, oltre che autoprodotta con impianti aventi potenza disponibile superiore a 20 KW, sia anche autoconsumata in locali e luoghi diversi dalle abitazioni, con la conseguenza che le suddette società beneficiano dell’esenzione limitatamente all’energia prodotta e consumata in proprio e non anche per quella prodotta e ceduta ai singoli consorziati (Cass., 16 ottobre 2019, n. 26142; 18 dicembre 2019, n. 33592; 11 settembre 2020, n. 18863).
Con riguardo poi alle società cooperative, e in controversia relativa alla medesima società oggi ricorrente, ma per altra annualità d’imposta, ha parimenti ritenuto infondate le ragioni della contribuente. Partendo proprio dalla giurisprudenza formatasi su lle società consortili, ha ritenuto che « tale principio, ancorché pronunciato con riferimento ai consorzi, è estensibile anche alle cooperative. L’art. 52, comma 3, lett. b), del d.lgs. n. 504 del 1999, come modificato dall’art. 1 del d.lgs. n. 26 del 2007, stabilisce che ‘ Non è sottoposta ad imposta l’energia elettrica: ; b) prodotta con impianti azionati da fonti rinnovabili ai sensi della normativa vigente in materia, con potenza disponibile superiore a 20 kW, consumata dalle imprese di autoproduzione in locali e luoghi diversi dalle abitazioni ‘ . L’applicabilità del regime di esenzione, quindi, è strettamente connessa al presupposto che l’energia elettrica prodotta con impianti azionati da fonte rinnovabile sia consumata da imprese di autoproduzione, sicché, ove le stesse non consumino l’energia per sé, in autoconsumo, ma la cedano a terzi, si è al di fuori del campo di applicazione della previsione normativa in esame. Ne consegue che i soci delle società cooperative, in quanto soggetti non autoproduttori, al pari dei consorziati nelle organizzazioni consortili, sono cessionari di energia elettrica, con la conseguenza che la società
cooperativa assume nei loro confronti la qualità di fornitore ed è quindi tenuta al pagamento dell’accisa. Ed anche con riferimento ai soci delle cooperative non può porsi la questione della valenza, a fini interpretativi, della previsione contenuta nel D.Lgs. 16 marzo 1999, n. 79, art. 2, comma 2, che prevede che ‘ Autoproduttore è la persona fisica o giuridica che produce energia elettrica e la utilizza in misura non inferiore al 70% annuo per uso proprio ovvero per uso delle società controllate, della società controllante e delle società controllate dalla medesima controllante, nonché per uso dei soci delle società cooperative di produzione e distribuzione dell’energia elettrica di cui all’articolo 4, numero 8, della legge 6 dicembre 1962, n. 1643, degli appartenenti ai consorzi o società consortili costituiti per la produzione di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili e per gli usi di fornitura autorizzati nei siti industriali anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto ‘ . Sul punto, va osservato che questa Corte (Cass. civ., 12 settembre 2008, n. 23529 e, da ultimo, Cass. n. 24169 del 2020) ha precisato che non può influire sulla regolamentazione della presente fattispecie una definizione contenuta in una legge diretta a scopi diversi da quelli perseguiti dalla normativa tributaria, essendo il D.Lgs. n. 79 del 1999 finalizzato a regolare il mercato interno dell’energia elettrica ed i comportamenti dei principali operatori, restando la materia fiscale estranea a tale normativa. Pertanto, la nozione di autoproduttore di cui al cit. D.Lgs. n. 79 del 1999 non è idonea ad individuare i soggetti esentati dal pagamento delle accise ai sensi dell’art. 52, comma 3, lett. b), TUA, i quali non rientrano nella menzionata definizione. Ad ulteriore supporto di tale argomento valgano le seguenti considerazioni: a) il D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 2, comma 1, precisa che le definizioni di cui ai successivi commi valgono ai soli fini del decreto e, pertanto, la definizione di autoproduzione di cui al comma 2 trova un limite applicativo testuale; b) le finalità del decreto Bersani, in linea con la Direttiva n. 96/92/Ce, sono quelle di perseguire un mercato concorrenziale dell’energia elettrica, mentre il T.U. Accise, come modificato dal D.Lgs. n. 26 del 2007, in attuazione della direttiva n. 2003/96/CE, ha come obiettivo l’armonizzazione della tassazione degli Stati membri della UE in materia di accise sui prodotti energetici: in questo contesto, la definizione di autoproduzione di cui al decreto Bersani deve fare i conti con la qualifica di soggetti obbligati al pagamento delle accise che hanno le officine di
produzione di energia elettrica per uso proprio ai sensi del T.U. Accise. Da quanto detto consegue che l’esenzione prevista dall’art. 52, comma 3, lett. b), T.U. Accise, con riferimento all’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, è limitata all’utilizzazione che fa dell’energia medesima il soggetto autoproduttore ed è di stretta interpretazione: deve, pertanto, riconoscersi l’esenzione unicamente alla società cooperativa che produce l’energia, nei limiti del consumo dalla stessa praticato, e non già per l’ipotesi in cui la predetta società ceda l’energia elettrica a distinti soggetti giuridici quali sono i soci, pena facili ed intuibili elusioni della disposizione agevolativa (arg. da Cass. n. 24169 del 2020). Pertanto, non è condivisibile la tesi di parte ricorrente secondo cui all’estensione dell’esenzione dalle accise anche ai soci delle cooperative dovrebbe pervenirsi attraverso una interpretazione estensiva del più volte citato art. 52 T.U. Accise, riferendosi la qualifica di autoproduttore non solo all’ipotesi in cui la cooperativa consumi per sè l’energia autoprodotta, ma anche a quella in cui l’energia sia consumata dai propri soci. Interpretazione estensiva della predetta disposizione che, al pari di quella analogica, non è consentita trattandosi di norma agevolativa di esenzione fiscale, come tale di stretta interpretazione. Diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente nel secondo motivo, alla fattispecie in esame non è neppure applicabile la disposizione di cui all’art. 1, comma 911, della legge n. 208 del 2015 (c.d. Legge di stabilità 2016) che ha previsto che ‘ il D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, art. 52, comma 3, lett. b), si applica anche all’energia elettrica prodotta con impianti azionati da fonti rinnovabili ai sensi della normativa vigente in materia, con potenza disponibile superiore a 20 kw, consumata dai soci delle società cooperative di produzione e distribuzione dell’energia elettrica di cui alla L. 6 dicembre 1962, n. 1643, art. 4, n. 8), in locali e luoghi diversi dalle abitazioni ‘ . Invero, il comma 999 del citato art. 1 prevede che ‘ La presente legge, salvo quanto diversamente previsto, entra in vigore il 10 gennaio 2016 ‘ . Ne consegue che, in mancanza di una espressa previsione di applicabilità retroattiva del comnma 911 dell’art. 1 della citata legge, l’esenzione dall’accise per i soci delle società cooperative di produzione e distribuzione dell’energia elettrica si applica soltanto dall’anno d’imposta 2016. Né alla citata disposizione può attribuirsi natura interpretativa del previgente art. 52, comma 3, lett. b), del D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, in difetto di un’espressa qualificazione in tal senso e
di pregressi dubbi di tipo esegetico in ordine all’effettiva portata della stessa, ma anche perché la norma in esame ha portata fortemente innovativa (e non esplicativa) della citata disposizione, estendendo anche ai soci delle cooperative di produzione e distribuzione dell’energia elettrica l’esenzione dalle accise, prima chiaramente esclusa. Non è dunque suscettibile di applicazione retroattiva. Il secondo motivo è quindi infondato e va rigettato.
Anche il terzo motivo, con cui la ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata per avere reso una pronuncia meramente apparente sulla questione della violazione del legittimo affidamento, è infondato e va rigettato.
Secondo questa Corte il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111 Cost., comma 6), e cioè dell’art. 132 cod. proc. civ., comma secondo, n. 4) (in materia di processo civile ordinario) e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4 (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata.
Alla stregua di tali principi consegue che la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico (che sembra potersi ritenere mera ipotesi di scuola) o quelle che presentano un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e che presentano una “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (cfr. Cass. S.U. n. 8053 del 2014; conf. Cass. n. 21257 del 2014), ma anche quelle che contengono una motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio, perché dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire “di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato” (cfr. Cass. n. 4448 del 2014), venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un “ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo”,
logico e consequenziale, “a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi” (Cass. cit.; v. anche Cass., Sez. un., n. 22232 del 2016 e la giurisprudenza ivi richiamata). In particolare, più volte è stato espresso il principio che la motivazione è solo apparente – e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U, Sentenza n. 22232 del 2016; conf. Cass. Civ., n. 14927 del 2017). Con riferimento al caso di specie, la sentenza ha chiaramente esposto il ragionamento logico secondo cui non poteva sussistere una condizione di affidamento e buona fede della contribuente tale da escludere l’applicazione delle imposte e non solo delle sanzioni e degli interessi di mora, non richiesti alla società, affermando che ‘ la ritenuta piana lettura della contestata norma fiscale in esame, confermata dall’articolato vaglio delle fonti normative che hanno interessato negli anni il complesso mondo del mercato dell’energia elettrica, ed in particolare quello delle cooperative di produzione e distribuzione dell’energia elettrica di cui all’art. 4, n. 8, della L. n. 1643/1962, consente di escludere che l’affermata corretta interpretazione di una norma possa essere motivo di violazione dell’affidamento e della buona fede della contribuente ‘ . La pronuncia ha, quindi, compiuto un ragionamento logico sulla cui base è pervenuta alla conclusione della non applicabilità della buona fede e del legittimo affidamento nella fattispecie, sicché non può dirsi sussistente alcuna violazione delle previsioni normative citate. Invero, seppure si volesse ritenere errato o insufficiente lo sviluppo argomentativo della decisione impugnata, il vizio non sarebbe così radicale da rendere la motivazione meramente apparente, escludendone l’idoneità ad assolvere alla funzione cui all’art. 36 d.lgs. 546/1992 (arg. da Cass. n. 5315 del 2015). Né può assumere rilevanza la ritenuta carenza di valutazione degli elementi fattuali prospettati dalla ricorrente, non essendo tale ragione di censura riconducibile alla violazione dell’art. 360, comma primo, n. 4), cod. proc. civ. Pare opportuno precisare, sulla questione in esame, che la CTR ha peraltro fatto corretta applicazione del consolidato orientamento di questa Corte
secondo cui ‘ la tutela dell’affidamento incolpevole del contribuente, sancita dall’art. 10, commi 1 e 2, della I. n. 212 del 2000, costituisce espressione di un principio generale dell’ordinamento tributario, che trova origine nei principi affermati dagli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost., ed, in materia di tributi armonizzati, in quelli dell’ordinamento dell’Unione europea, sicché deve ritenersi che la situazione di incertezza interpretativa, ingenerata da risoluzioni dell’Amministrazione finanziaria, anche se non influisce sulla debenza dell’imposta, deve essere valutata ai fini dell’esclusione dell’applicazione delle sanzioni» (così Cass. n. 370 del 09/01/2019, con ampi riferimenti alla giurisprudenza europea in materia di tributi armonizzati; sempre con riferimento all’esclusione delle sole sanzioni, si vedano ancora Cass. n. 10499 del 03/05/2018; Cass. n. 12635 del 08/02/2017; Cass. n. 5934 del 25/03/2015; Cass. n. 16692 del 03/07/2013; Cass. n. 21070 del 13/10/2011; Cass. n. 19479 del 10/09/2009; v. anche Cass. Sez. U., n. 23031 del 2007, in motivazione, par. 3). Da ultimo va detto che non sussistono i presupposti per dar luogo al chiesto rinvio pregiudiziale, tenuto conto che la Corte di giustizia ha già ampiamente chiarito che, se è vero che il diritto ad avvalersi del principio della tutela del legittimo affidamento ‘ si estende a ogni individuo in capo al quale un’autorità amministrativa abbia fatto sorgere fondate speranze a causa dì assicurazioni precise che essa gli avrebbe fornito ‘ (ex multis, CGUE 14 giugno 2017, in causa C26/16, punto 76; CGUE 9 luglio 2015, in causa C-183/14, punto 44; CGUE 5 marzo 2015, in causa C-585/13, punto 95), tuttavia ‘ il legittimo affidamento non può basarsi su una prassi illegittima dell’amministrazione» (CGUE 11 aprile 2018, in causa C-532/16, punto 50; CGUE 6 febbraio 1986, in causa C-162/84, punto 6). Rientra, pertanto, nella specifica competenza del giudice nazionale stabilire se, avuto conto della specificità del caso concreto, sussistano i presupposti per il riconoscimento della inapplicabilìtà del tributo ovvero, più semplicemente, delle sanzioni e degli interessi. Ne consegue che, se l’Amministrazione finanziaria non ha fornito una corretta interpretazione del dato normativo, non per questo è possibile escludere il diritto alla riscossione dell’imposta, opportunamente temperato, nel caso di specie, con la mancata applicazione di sanzioni ed interessi ‘ (Cass. n. 22002 del 2020, in motivazione)» (così, in Cass., 3 dicembre 2020, n. 27628).
Le ragioni illustrate dal precedente riportato vanno condivise e ribadite da questo collegio.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Tenuto conto della novità di alcune delle questioni trattate, con riferimento all’epoca in cui il ricorso fu proposto, si giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio.
Rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di legittimità. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 26 settembre 2023