Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9505 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9505 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/04/2025
Oggetto: errore revocatorio
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25387/2021 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore rappresentata e difesa giusta procura speciale in atti dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliato presso gli stessi (pec: EMAIL, EMAIL)
-ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore appresentata e difesa come per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato (con indirizzo PEC: EMAILavvocaturastatoEMAIL)
– controricorrente –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 2184/17/2021 depositata in data 10/03/2021;
Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 27/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
RAGIONE_SOCIALE impugnava con ricorso per revocazione la sentenza n. 7136 del 2019 della commissione tributaria regionale della Campania che aveva rigettato l’appello promosso avverso la sentenza 2715 del 2018 della commissione provinciale di Napoli;
-in sintesi, la società contribuente, peraltro in liquidazione, impugnava un avviso di accertamento fondato su un PVC della Guardia di Finanza di Nola relativo agli anni dal 2012 al 2016, nel quale a ricostruzione del maggiore reddito era fondata sul controllo sui conti correnti e sull’esistenza di numerosi versamenti e prelevamenti non giustificati alla stregua dei quali erano state accertate maggiori imposte oltre a interessi e sanzioni;
-la verifica dei conti correnti era stata estesa anche a COGNOME NOME, padre dell’amministratore COGNOME NOME, e socio della RAGIONE_SOCIALE fino al 9 gennaio 2013 allorquando aveva donato la sua quota all’altra figlia NOME. Tale estensione era stata giustificata dalla circostanza che il COGNOME NOME aveva spontaneamente dichiarato agli agenti operanti di essere amministratore di fatto della citata società e di aver seguito a pieno i rapporti con i fornitori e clienti;
-la sentenza qui gravata ha dichiarato inammissibile l’impugnazione proposta in quanto ha ritenuto che il vizio dedotto consistesse in realtà in un presunto errore di
valutazione concernente un espresso motivo del ricorso in appello puntualmente esaminato dalla sentenza in ordine all’ammissione del COGNOME NOME di essere stato amministratore di fatto della società; sussiste, secondo la pronuncia di merito, una difformità di giudizio rispetto alle tesi del ricorrente rispetto alla quale sono sperimentabile, se del caso, rimedi giurisdizionali diversi;
-ricorre a questa Corte la società contribuente con atto affidato a due motivi di doglianza;
-resiste l’Agenzia delle Entrate con controricorso;
Considerato che:
-il primo motivo censura la sentenza impugnata per violazione ed erronea applicazione dell’art. 64 del d. lgs. n. 546 del 1992 e 395 n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere la pronuncia di merito mancato di rilevare l’errore in cui è incorsa l’Amministrazione Finanziaria, che invece di riportare quanto dichiarato dalla parte nel verbale del 21 gennaio 2016, secondo parte ricorrente ha portato a sostegno della propria tesi, la semplice ed arbitraria deduzione della G.d.F. di cui al foglio n. 9 del verbale del 20 luglio 2016;
-ancora secondo la parte ricorrente, l’errata trascrizione della dichiarazione di COGNOME Giuseppe in ordine alla sua partecipazione alla gestione societaria avrebbe fuorviato prima l’Ufficio, poi il Collegio di merito nella utilizzazione e valutazione, ai fini della prova dei maggiori tributi accertati, delle risultanze delle indagini finanziarie;
-il motivo è all’evidenza inammissibile per plurime ragioni;
-in primo luogo, l’erronea trascrizione in un PVC della dichiarazione resa da COGNOME NOME non costituisce certo vizio revocatorio, risolvendosi nella contestazione del contenuto
di un atto munito di fede pubblica, vizio che, in ipotesi, andava fatto valere con la querela di falso e non con il ricorso per revocazione;
-sul punto, come questa Corte ritiene nella sua consolidata giurisprudenza (per tutte, in termini, si rimanda a Cass. Sez. 3 , Ordinanza n. 2343 del 29/01/2019) va ricordato che nel giudizio di cassazione, la querela di falso è proponibile limitatamente ad atti del relativo procedimento, come il ricorso o il controricorso, ovvero a documenti producibili ai sensi dell’art. 372 c.p.c., mentre non può riguardare atti e documenti che il giudice di merito abbia posto a fondamento della sentenza impugnata, in quanto la loro eventuale falsità, se definitivamente accertata nella sede competente, può essere fatta valere come motivo di revocazione. Pertanto, essa può riguardare anche la nullità della sentenza impugnata, con riferimento ai soli vizi della sentenza stessa per mancanza dei suoi requisiti essenziali, di sostanza o di forma, e non anche ove essa sia originata, in via mediata e riflessa, da vizi del procedimento, ovvero dalla eventuale falsità dei documenti posti a base della decisione del giudice di merito;
-venendo poi alla identificazione del vizio che si assume revocatorio in ricorso, si deve qui premettere che l’istanza di revocazione implica, ai fini della sua ammissibilità, un errore di fatto riconducibile all’art. 395, primo comma, n. 4, c.p.c. che consiste in un errore di percezione, o in una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza (o l’inesistenza) di un fatto decisivo, che risulti, invece, in modo incontestabile escluso (o accertato) in base agli atti e ai documenti di causa, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso su cui il giudice si sia
pronunciato. L’errore in questione presuppone, quindi, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, sempreché la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di giudizio (cfr., ex plurimis , Cass. civ. sentt. nn. 13915 del 2005 e 2425 del 2006, v. anche Cass. civ. SS.UU. sent. n. 9882 del 2001). Questa Corte di cassazione ha osservato che l’errore di fatto revocatorio deve risultare dagli atti o documenti della causa: “vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita. Tale genere di errore presuppone il contrasto tra due diverse rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti processuali, purché, da un lato, la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione, e non di valutazione o di giudizio e, dall’altro, quella risultante dagli atti e documenti non sia stata contestata dalle parti” (per tutte Cass. SS.UU. n. 5303 del 1997; v. poi Cass. SS.UU. n. 561 del 2000; Cass. SS.UU. n. 15979 del 2001; Cass. SS.UU. n. 23856 del 2008; Cass. SS.UU. n. 4413 del 1016);
-ebbene, nel presente caso, alla difformità dal reale della dichiarazione di cui si è detta -in ogni modo si interpreti e qualifichi in diritto tale dedotta difformità -la ricorrente collega, facendola da essa discendere, una conseguente e consecutiva erroneità nella valutazione del materiale probatorio in atti, fondato sulle risultanze delle indagini finanziarie;
-tale affermazione, oltre a chiedere a questa Corte un riesame del merito, urta frontalmente contro i principi più volte
enunciati sul punto, secondo i quali (per tutte si veda Cass. Sez. Un., Sentenza n. 30994 del 27/12/2017) deve ritenersi che non costituiscono vizi revocatori delle sentenze ex artt. 391 bis e 395, n. 4, c.p.c., né l’errore di diritto sostanziale o processuale, né l’errore di giudizio o di valutazione;
-ciò in quanto con riguardo al sistema delle impugnazioni, la Costituzione non impone al legislatore ordinario altri vincoli oltre a quelli, previsti dall’art. 111, relativi alla ricorribilità in cassazione per violazione di legge di tutte le sentenze e dei provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari e speciali, sicché non è irrazionale la scelta del legislatore di riconoscere ai motivi di revocazione una propria specifica funzione, escludendo gli errori giuridici e quelli di giudizio o valutazione, proponibili solo contro le decisioni di merito nei limiti dell’appello e del ricorso per cassazione;
-infatti, sia che dalla dichiarazione ‘erronea’ derivi un errore di diritto -per avere in forza di tale dichiarazione malgovernato il giudice del merito i principi in tema di onus probandi -sia che discenda un errore di valutazione del materiale probatorio, tale errore non può qualificarsi come vizio di revocazione;
-pertanto, il motivo è, per questa ragione, ulteriormente inammissibile;
-il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 15 del d. Lgs. n. 546 del 1992 in relazione all’art. 360, 1 comma, n. 3 per avere erroneamente la CTR ritenuto dovute le spese di lite nel caso in cui l’Ufficio si costituisca con funzionari interni del proprio ufficio legale, così come nel caso di specie;
-il motivo è infondato;
-questa Corte ha chiarito (per tutte, Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 1019 del 10/01/2024, Rv. 670245 01)
Cons. Est. NOME COGNOME
che nel processo tributario, all’Amministrazione finanziaria che sia stata assistita in giudizio da propri funzionari o da propri dipendenti, in caso di vittoria della lite, spetta la liquidazione delle spese, la quale deve essere effettuata mediante applicazione della tariffa ovvero dei parametri vigenti per gli avvocati, con la riduzione del venti per cento dei compensi ad essi spettanti, atteso che l’espresso riferimento ai compensi per l’attività difensiva svolta, ora contenuto nell’art. 15, comma 2bis, del d. Lgs. n. 546 del 1992, ma comunque da sempre previsto da detto articolo, conferma il diritto dell’ente alla rifusione dei costi sostenuti e dei compensi per l’assistenza tecnica fornita dai propri dipendenti che siano legittimati a svolgere attività difensiva nel processo;
-in conclusione, il ricorso va rigettato;
-le spese del presente giudizio seguono la soccombenza;
p.q.m.
rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in euro 5.800,00, oltre a spese prenotate e debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 dei 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 27 marzo 2025.
Il Presidente NOME COGNOME
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