Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 25710 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 25710 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 19/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4064/2021 R.G. proposto da AVV. COGNOME difensore di sé medesimo ai sensi dell’art. 86 c.p.c. (domicilio digitale: EMAIL;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DEL LAZIO n. 4177/2020, depositata il 21 dicembre 2020;
udita la relazione svolta nell’adunanza camerale dell’11 settembre 2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’avv. NOME COGNOME impugnava dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma una cartella esattoriale con la quale gli era stato intimato il pagamento della complessiva somma di 3.527,16
euro iscritta a ruolo dalla Direzione Provinciale II di Roma dell’Agenzia delle Entrate a titolo di imposte, interessi e sanzioni.
Il giudice adìto rigettava il ricorso, condannando il contribuente alla rifusione delle spese di lite in favore dell’Agenzia delle Entrate.
La decisione veniva successivamente confermata dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, che con sentenza n. 4177/2020 del 21 dicembre 2020, respingeva l’appello della parte privata, condannandola al pagamento delle ulteriori spese del grado sostenute dall’Amministrazione Finanziaria.
Contro questa sentenza il COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., è denunciata la violazione dell’art. 91 del medesimo codice.
1.1 Si sostiene che avrebbero errato tanto la CTP quanto la CTR nel liquidare le spese processuali in favore dell’Agenzia delle Entrate, sebbene la stessa non fosse stata assistita da un difensore abilitato, essendosi costituita in giudizio a mezzo di un proprio funzionario munito di delega.
Con il secondo motivo, ricondotto al paradigma dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c., risulta prospettato l ‘omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.
2.1 Si contesta al collegio regionale di aver affermato, contrariamente al vero, che l’eccezione di compensazione del debito fiscale del COGNOME con il maggior controcredito da lui vantato nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria era stata per la prima volta proposta dal contribuente soltanto nel giudizio d’appello.
Il primo motivo è privo di pregio.
3.1 Va sùbito notato che il ricorrente ha chiesto di annullare la statuizione di condanna al pagamento delle spese processuali emessa a suo carico non soltanto in relazione al giudizio di appello, ma anche con riferimento a quello di primo grado.
3.2 Per quest’ultima parte la censura è inammissibile, in quanto avverso la pronuncia di condanna alle spese di lite resa nei suoi confronti dalla CTP il COGNOME avrebbe dovuto articolare uno specifico motivo di appello, potendo costituire oggetto di ricorso per cassazione soltanto la decisione a lui sfavorevole eventualmente adottata al riguardo dalla CTR.
3.3 Sennonchè, nessuna doglianza risulta essere stata sollevata sul punto con l’atto di appello della parte privata, come si evince dalla ricostruzione della vicenda processuale contenuta nella sentenza in scrutinio e nello stesso ricorso per cassazione.
3.4 Per quanto attiene, invece, alle spese di secondo grado, il motivo si appalesa infondato.
3.5 Ai sensi dell’art. 15, comma 2 -sexies (già 2bis ), del D. Lgs. n. 546 del 1992, «nella liquidazione delle spese a favore dell’ente impositore, dell’agente della riscossione e dei soggetti iscritti nell’elenco di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, se assistiti da propri funzionari, si applicano le disposizioni per la liquidazione del compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del venti per cento dell’importo complessivo ivi previsto».
3.6 Alla stregua della citata disposizione normativa e della consolidata giurisprudenza di legittimità formatasi in materia (cfr., ex multis , Cass. n. 2013/2025, Cass. n. 33306/2024, Cass. n. 22195/2024, Cass. n. 27088/2022, Cass. n. 24675/2021), deve escludersi che la Commissione regionale abbia errato nel condannare il Frezza alla rifusione delle spese del grado in favore
dell’Agenzia delle Entrate, che nel giudizio di appello era stata assistita da un proprio funzionario.
3.7 Né il ricorrente contesta la correttezza della liquidazione delle spese operata dai giudici di seconde cure, in particolare sotto il profilo della mancata applicazione della prevista riduzione del venti per cento del compenso spettante agli avvocati.
Il secondo motivo è inammissibile.
4.1 Come chiaramente si ricava dal tenore della formulata censura, quel che si rimprovera alla CTR non è l’omesso esame di un fatto storico decisivo, principale o secondario, risultante dal testo della sentenza o dagli atti di causa e oggetto di discussione fra le parti, bensì il travisamento di un fatto processuale, asseritamente consistito nell’avere il collegio laziale ritenuto, in contrasto con le evidenze , che soltanto nel giudizio di appello il contribuente avesse per la prima volta sollevato l’eccezione di compensazione, laddove, invece, la stessa era già stata ritualmente introdotta in primo grado.
4.2 Peraltro, lo stesso ricorrente sottolinea che l’avvenuta proposizione della detta eccezione nel giudizio di prime cure costituiva circostanza incontestata, essendosi l’Amministrazione Finanziaria difesa nel merito su di essa, senza nulla obiettare in ordine alla sua tempestività.
4.3 Trattasi, quindi, in tutta evidenza, di un chiaro errore revocatorio dipendente da una falsa percezione della realtà, essendo la decisione d’appello fondata – beninteso secondo la prospettazione della parte impugnante – sulla supposizione di un fatto (la non avvenuta proposizione dell’eccezione di compensazione fin dal giudizio di primo grado) la cui verità era incontrastabilmente esclusa dagli atti di causa e che non aveva costituito un punto controverso fra le parti.
4.4 Un simile vizio avrebbe dovuto, dunque, essere fatto valere con il rimedio impugnatorio della revocazione, in base al combinato
disposto degli artt. 395 n. 4) c.p.c. e 64, comma 1, del D. Lgs. n. 546 del 1992, e non mediante il ricorso per cassazione.
4.5 Sovviene, al riguardo, il costante orientamento di questa Corte regolatrice, la quale, in analoghe fattispecie, ha statuito che:
-«in tema in ricorso per cassazione, è inammissibile la censura con cui il ricorrente faccia valere l’omesso esame di un motivo di appello, che il giudice di secondo grado abbia espressamente (ed erroneamente) ritenuto ‘non proposto’: l’erroneità del risultato della ricognizione effettuata dal giudice di appello in ordine al ‘thema decidendum’ (anche ai fini del dovuto riscontro del ‘devolutum’ sulla base del ‘quantum appellatum’), ove emergente ‘ictu oculi’ dall’esame dell’atto di appello, si traduce infatti in una svista materiale che, in quanto ricadente su uno degli atti processuali che formano oggetto di cognizione diretta da parte del giudice, legittima la proposizione dell’istanza di revocazione, ai sensi dell’art. 395 n. 4 cod. proc. civ.» (cfr. Cass. n. 5715/2007);
-«la verifica, da parte del giudice tributario di secondo grado, dell’avvenuto deposito dell’atto d’appello presso la segreteria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, quando il ricorso non sia notificato a mezzo di ufficiale giudiziario (ai sensi dell’art. 53, comma 2, d. lgs. 31 dicembre 1992 n. 546), costituisce oggetto di un accertamento di fatto, e non di una interpretazione degli atti processuali. Pertanto, la parte la quale lamenti che il giudice d’appello abbia dichiarato inammissibile il gravame, sull’erroneo presupposto che il suddetto deposito non fosse avvenuto, ha l’onere di impugnare la sentenza con la revocazione ordinaria, e non col ricorso per cassazione» (cfr. Cass. Sez. Un. n. 15227/2009; Cass. n. 2702/2022 e, da ultimo, Cass. Sez. Un. n. 5792/2024).
4.7 Orbene, nel caso di specie, nell’affermare che l’eccezione di compensazione era stata per la prima volta sollevata dal COGNOME nel
giudizio d’appello, la CTR non ha recepito la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti.
4.8 Ne discende che il dedotto travisamento della realtà processuale in cui si assume essere incorso il collegio di seconde cure, collocandosi al di fuori del dibattito fra le parti, avrebbe dovuto trovare rimedio nella revocazione.
In definitiva, il ricorso deve essere respinto.
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Stante l’esito dell’impugnazione, viene resa nei confronti del ricorrente l’attestazione contemplata dall’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), inserito dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi 1.400,00 euro per compensi, oltre ad eventuali oneri prenotati a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la proposta impugnazione, a norma del comma 1bis dello stesso articolo, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria della Corte Suprema di Cassazione, in data 11 settembre 2025.
Il Presidente
NOME COGNOME