Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22119 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22119 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 31/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14009/2016 R.G. proposto da:
NOME COGNOME , elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. CAMPANIA n. 10966/2015 depositata il 04/12/2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Secondo quanto risulta dalla sentenza impugnata, l’avv. NOME COGNOME ha proposto davanti alla Commissione Tributaria Regionale (CTR) della Campania ricorso per revocazione ex art. 395 n. 4 c.p.c. e 64 d.lgs. n. 546/1992 della sentenza n. 81/2015 della stessa Commissione che aveva accolto parzialmente il gravame
erariale contro la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Napoli di accoglimento del ricorso del contribuente avverso avviso di accertamento spiccato nei suoi confronti dall’Agenzia delle entrate per il 2006 in relazione a maggiori redditi professionali derivanti da introiti affluiti sui conti correnti bancari del Russo.
A fondamento del ricorso, il contribuente ha denunziato che i documenti a suo favore, sui quali la CTP aveva fondato la decisione, non erano stati specificamente contestati dall’Agenzia cosicché, secondo quanto stabilito dall’art. 115 c.p.c., quelle risultanze erano incontrovertibili e la sentenza della CTR n. 81/2015, non tenendo conto di quegli elementi, era viziata da una falsa percezione della realtà oggettiva.
La CTR, con la sentenza n. 10966/2015, ha rigettato il ricorso, osservando che il ricorrente non aveva denunziato l’errata percezione di un fatto immediatamente emergente dagli atti, bensì aveva dedotto un errore nella valutazione degli atti processuali, chiedendo un diverso giudizio sulle fonti di prova.
Secondo la CTR, l’Agenzia delle entrate aveva contestato le giustificazioni addotte in ordine alle movimentazioni bancarie osservando che dai mod. 770 dei soggetti erogatori (società di assicurazioni) si ricavava la percezione dei compensi da parte del Russo; i Giudici d’appello, quindi, non avevano commesso alcun errore di fatto ma avevano semplicemente ritenuto più convincenti i mod. 770 delle compagnie assicuratrici attestanti i versamenti effettuati a favore del contribuente; anche l’omessa indicazione di uno dei due istituti di credito presso il quale il COGNOME era titolare di conto corrente non rappresentava una svista materiale su una circostanza decisiva.
Il contribuente ha proposto ricorso per la cassazione di questa sentenza affidato a due mezzi.
Ha resistito con controricorso l’Agenzia delle entrate.
In data 14.12.2022, con atto depositato telematicamente, i due difensori costituitisi per il ricorrente, NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno rappresentato di essersi cancellati dall’albo professionale.
Con ordinanza interlocutoria depositata il 13.6.2024 la causa è stata rinviata a nuovo ruolo e si è disposta la notifica al ricorrente per la nomina di nuovo difensore.
CONSIDERATO CHE
1.Preliminarmente va dato atto che alla notifica dell ‘ordinanza interlocutoria, effettuata sia alla parte personalmente sia al domicilio eletto, non ha fatto seguito la costituzione di altro difensore per il ricorrente.
1.1. La cancellazione del difensore del ricorrente dall’albo degli avvocati patrocinanti dinanzi alle giurisdizioni superiori non comporta difatti l’interruzione del giudizio di cassazione, ma consente alla Corte di rinviarlo ad altra udienza (o adunanza), previa comunicazione alla parte dell’ordinanza di differimento, al fine di garantire a quest’ultima la possibilità di nominare un nuovo difensore, atteso che tale evento incide negativamente sull’esercizio del diritto di difesa e sull’integrità del contraddittorio, la cui inviolabilità, secondo i principi del giusto processo, va garantita anche nel giudizio di legittimità in termini non dissimili da quanto accade nelle fasi di merito (Cass. n. 11300 del 2023); fermo restando che ove la parte, una volta ricevuta tale comunicazione, rimanga inerte e non provveda alla nomina di un nuovo difensore, vengono meno i presupposti per reiterare gli adempimenti prescritti dall’art. 377, comma 2, c.p.c. (Cass. sez. un. n. 1206 del 2006; Cass. sez. un. n. 477 del 2006).
Con il primo motivo si deduce , in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 395 n. 4 c.p.c., richiamato dall’art. 64 d.lgs. n. 546/1992, in quanto la CTR si era basata sulle deduzioni dell’Agenzia in ordine ai mod. 770
che non erano supportate da alcuna produzione, attesa la « totale materiale inesistenza, negli atti di causa, di codesti mod. 770 »; inoltre, gli elementi di prova su cui si era fondata la decisione del giudice di primo grado dovevano ritenersi incontestabili e vincolanti per il giudice del gravame che era, quindi, caduto in errore, così come aveva errato nell’ imputare per intero i maggiori redditi accertati per euro 78.868,06, a versamenti di assegni su conto corrente, mentre in realtà tali versamenti erano stati effettuati in contanti per euro 40.500,00.
2.1. Il motivo è infondato.
2.2. Secondo quanto riportato nella sentenza impugnata, con il ricorso per revocazione si lamentava , tra l’altro, che il Giudice d’appello non avesse tenuto conto che gli elementi documentali su cui era fondata la decisione del Giudice di prime cure non erano stati specificamente contestati dall’Ufficio in sede di gravame, cosicché, ai sensi dell’art. 115 c.p.c., dovevano ritenersi incontrovertibili. La Commissione, con la sentenza oggetto del presente ricorso, ha del tutto correttamente affermato che questa doglianza del contribuente non denunzia un errore percettivo del fatto ma censura la valutazione dei mezzi di prova.
2 .3. Infatti, la revocazione nel caso previsto dall’art. 395 n. 4 c.p.c. richiede il cd. ‘errore percettivo’, che consiste in una falsa percezione della realtà o in una svista materiale che abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto la cui verità sia incontestabilmente esclusa ovvero l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita dagli atti o documenti di causa, qualora il fatto non sia stato un punto controverso oggetto della sentenza impugnata (Cass. n. 37382 del 2022; Cass. n. 25752 del 2022), ma non ricorre quando la decisione sia conseguenza di una pretesa errata valutazione od interpretazione delle risultanze processuali, essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una
valutazione (Cass. n. 10040 del 2022; Cass. n. 20635 del 2017) e ricadenti su un punto controverso (Cass. n. 2236 del 2022).
2.4. Si afferma, così, che l’errore rilevante ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c.: a) consiste nell’erronea percezione dei fatti di causa che abbia indotto la supposizione dell’esistenza o dell’inesistenza di un fatto, la cui verità è incontestabilmente esclusa o accertata dagli atti di causa (sempre che il fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito terreno di discussione delle parti); b) non può concernere l’attività interpretativa e valutativa; c) deve possedere i caratteri dell’evidenza assoluta e dell’immediata rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti di causa; d) deve essere essenziale e decisivo (Cass. n. 20013 del 2024).
2.5. Il ricorrente considera come errore percettivo quello che sarebbe, al più, un errore di valutazione della prova, tanto è vero che richiama l’art. 115 c.p.c. per avvalorare la supposta incontrovertibilità di quei fatti, così confermando che la questione non riguarda la percezione di un dato della realtà oggettiva ma l’applicazione di una norma (art. 115 c.p.c.) relativa al la valutazione della prova. Su tale ultima questione, oltretutto, le deduzioni del ricorrente non paiono neppure in linea con la giurisprudenza di questa Corte sul tema, secondo cui « nel processo tributario, nell’ipotesi di ricorso contro l’avviso di accertamento, il principio di non contestazione non implica a carico dell’Amministrazione finanziaria, a fronte dei motivi di impugnazione proposti dal contribuente, un onere di allegazione ulteriore rispetto a quanto contestato mediante l’atto impositivo, in quanto detto atto costituisce nel suo complesso, nei limiti delle censure del ricorrente, l’oggetto del giudizio » (Cass. n. 19806 del 2019).
2.6. Né può assurgere ad errore percettivo su fatto decisivo la questione della mancata produzione in causa dei mod. 770 perché,
come si desume dalla sentenza n.81/2015 (v. trascrizione a pag. 2 del ricorso), « tali fonti ed i relativi contabili » erano stati « analiticamente riportati nei due P.V.C. della Guardia di Finanza (che, in relazione ad essi, ha proceduto ad una verifica lunga, accurata e approfondita)» , cosicché si tratta pur sempre di questione che attiene alla valutazione della fonte di prova costituita dal PVC e da quanto in esso asseverato.
2.7. Quanto alla provenienza (da assegni o anche da versamenti per contanti) dei versamenti bancari accertati quali maggiori redditi, tale erronea imputazione non si ricava dalla sentenza, secondo quanto risultante dalla trascrizione in ricorso, ove ci si limita ad affermare che « sono da considerare proventi professionali gli introiti affluiti sui conti correnti bancari, determinati complessivamente in euro 78.868,00 così come analiticamente specificato nell’impugnato avviso di accertamento. Invero tali proventi appaiono accreditati sul conto n. 26/22 del contribuente (..) e sul conto corrente n. (..), secondo l’analitico ed affidabile P.V.C. della Guardia di Finanza datato 28-7-2011 »; in ogni caso l’asserito errore non verte su una circostanza decisiva, non essendo dirimente , ai fini dell’accertamento del maggior reddito, il fatto che si trattasse di versamenti in parte per assegni e in parte per contanti e non interamente per assegni.
Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c., omesso esame di fatto decisivo consistente nella « omessa motivazione sull’istanza di sospensione prodotta in calce al ricorso per revocazione ai sensi dell’art. 398 comma 4 c.p.c. relativa alla sospensione del termine per proporre ricorso per cassazione, se ritenuta non manifestamente infondata la revocazione proposta» .
3.1. Il motivo è inammissibile.
3.2. La censura ex art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. deve riguardare un fatto storico, principale o secondario, ossia un
preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico naturalistico, la cui esistenza risulti dalla sentenza o dagli atti processuali, che ha costituito oggetto di discussione tra le parti e ha carattere decisivo (Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017), senza che possano considerarsi tali né le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative, né le singole risultanze istruttorie, ove comunque risulti un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal giudice di merito sulla base delle prove acquisite nel corso del relativo giudizio ( ex multis , v. Cass. n. 10525 del 2022; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. n. 5795 del 2017).
3 .3. E’ di tutta evidenza che la censura proposta non si presta ad essere ricondotta al paradigma di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., non essendo stato omesso l’esame di un ‘fatto storico’ nel senso sopra evidenziato. Si tratta di una questione di ordine processuale, che deve essere in ogni caso disattesa. Da un lato, il provvedimento di rigetto dell’istanza di sospensione ex art. 398 comma 4 c.p.c. ha natura ordinatoria e non ha alcuna incidenza sulla pronuncia che ha definito il giudizio di revocazione. D’altro lato, la parte non può dolersi della mancata motivazione del rigetto del l’istanza di sospensione atteso che, secondo questa Corte, « In tema di revocazione ordinaria, i vizi di cui ai numeri 4 e 5 dell’art. 395 cod. proc. civ. hanno carattere palese, ossia debbono essere riconoscibili alla semplice lettura della motivazione da parte del soccombente, con la conseguenza che l’impugnazione – atteso il carattere eccezionale della revocazione, non suscettibile di interpretazione estensiva – è ammissibile solo ove detti vizi risultino immediatamente rilevanti ai fini decisori. Ne consegue, inoltre, che l’art. 398, quarto comma, cod. proc. civ., come modificato dall’art. 68 della legge 26 novembre 1990, n. 353, ed interpretato alla luce dei principi del giusto processo e della sua ragionevole durata,
nonché del principio di lealtà processuale di cui all’art. 88, primo comma, cod. proc. civ., non consente al ricorrente per revocazione di giovarsi della sospensione del termine di ricorso per cassazione qualora l’impugnazione per revocazione sia manifestamente infondata » (Cass. n. 20905 del 2013); nel rigetto dell’istanza di sospensione, quindi, è implicito il riconoscimento della manifesta infondatezza della revocazione.
Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato e le spese, liquidate come in dispositivo, vanno regolate secondo soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 2.400,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito; ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 24/06/2025.