Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32092 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 32092 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/12/2024
Revocazione e inamm appello
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 2259/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE sedente in Genova, in proprio e in qualità di consolidante, RAGIONE_SOCIALE sedente in Roma ed RAGIONE_SOCIALE, sedente in Genova, ognuna in persona del rispettivo legale rappresentante, rappresentate e difese dall’avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliate presso di lui in Roma, INDIRIZZOINDIRIZZO, il tutto come da procure a margine del ricorso;
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, e presso la stessa domiciliata in Roma, INDIRIZZO
– controricorrente –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. della Lombardia, n. 2534/2015, depositata il 10 giugno 2015.
Nonché gli stessi sul ricorso iscritto al n. R.G. 9682/2017
RAGIONE_SOCIALE sedente in Genova, in proprio e in qualità di consolidante, RAGIONE_SOCIALE sedente in Roma ed RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE sedente in Genova, ognuna in persona del rispettivo legale rappresentante, rappresentate e difese dall’avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliate presso di lui in Roma, INDIRIZZOINDIRIZZO il tutto come da procure a margine del ricorso;
-ricorrenti – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore;
-intimata –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. della Lombardia, n. 5259/2016, depositata il 12 ottobre 2016.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17 ottobre 2024 dal consigliere NOME COGNOME
Si dà atto che il Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME ha chiesto l’accoglimento del secondo motivo del ricorso avverso la sentenza n. 2534/2015 e il rigetto di quello avverso la sentenza n. 5259/2016.
Il difensore delle ricorrenti avv. NOME COGNOME insiste nell’accoglimento dei ricorsi.
La difesa erariale chiede il rigetto dei ricorsi anche nel merito.
RILEVATO CHE:
Le contribuenti rappresentano di aver autonomamente liquidato e versato l’IRAP relativa al periodo d’imposta 2004. La somma complessivamente versata a tal titolo era complessivamente pari ad € 13.236.422,21. Le società nell’anno d’imposta 2004 hanno optato, congiuntamente con altre del gruppo RAGIONE_SOCIALE, per il regime del consolidato fiscale nazionale. Le stesse rappresentano che non solo avevano effettuato i versamenti considerando come indeducibile l’IRAP imputata per competenza alla formazione dell’utile economico, ma non avevano neppure dedotto l’IRAP versata nel corso di quel medesimo esercizio. Le
società poi avevano autonomamente versato acconti dell’IRES relativi al periodo suddetto, mentre il saldo relativo a questo stesso periodo d’imposta era stato versato, per tutte, dalla consolidante.
Il 18 giugno 2009 esse proponevano istanza di rimborso avente ad oggetto la maggior IRES versata per effetto della mancata deduzione dal reddito complessivo consolidato dell’intero ammontare dell’IRAP versata a saldo ed in acconto per il periodo d’imposta 2004. Il 2 ottobre 2009 l’Agenzia notificava il provvedimento di diniego.
Le società impugnavano il predetto provvedimento, e la CTP, con sentenza n. 183/18/11 respingeva il ricorso. La CTR, adìta in sede di gravame proposto dalle stesse società, con la sentenza qui impugnata, respingeva l’appello e per l’effetto confermava il provvedimento di diniego. Ricorrono quindi le società contribuenti in cassazione, affidandosi a quattro motivi. Resiste l’Agenzia con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
Successivamente le stesse ricorrenti proponevano alla CTR ricorso per revocazione della medesima sentenza qui impugnata, allegando che i giudici d’appello incorsero in un primo errore di fatto per aver ritenuto che la statuizione di inammissibilità di primo grado avrebbe riguardato non solo la domanda (subordinata) tesa alla restituzione della maggior IRES derivante dall’indeducibilità della quota IRAP riferibile alle spese sostenute per il personale e al margine negativo di interesse al 10 per cento dell’IRAP, ma anche quella relativa alla restituzione dell’intera IRAP non dedotta come sopra specificato. Gli stessi giudici poi sarebbero incorsi in un secondo errore di fatto costituito dall’aver essi frainteso il contenuto dell’atto di appello, reputandolo tutto inerente il merito della controversia, sebbene lo stesso contenesse un paragrafo dedicato alla contestazione della statuizione di inammissibilità resa dai primi giudici.
La CTR, in sede di giudizio di revocazione, respingeva il relativo ricorso, e dunque i contribuenti propongono anche qui ricorso in cassazione affidato a quattro motivi. L’Agenzia in questa controversia è rimasta intimata.
Con ordinanza interlocutoria del 20 marzo 2023 questa Corte disponeva il rinvio della causa RG n. 2259/2016 a nuovo ruolo per la sua trattazione congiunta con il procedimento R.G. n. 9682/2017.
CONSIDERATO CHE
1.Pregiudizialmente deve rilevarsi come le parti ricorrenti abbiano chiesto la trattazione congiunta del procedimento avente ad oggetto il ricorso in cassazione avverso la sentenza n. 2534/2015 con quello rubricato al RG n. 9682/2017, avente ad oggetto invece il ricorso in cassazione di altra sentenza sempre della CTR avente ad oggetto la revocazione della sentenza n. 2534/2015. Il Collegio, rilevato come in effetti tra i due procedimenti sussista connessione, discendente dall’applicabilità analogica all’ipotesi in oggetto della disposizione di cui all’art. 335, cod. proc. civ. (cfr. Cass. 25/01/2023, n. 2378), ritenutane quindi l’opportunità, dispone la riunione dei due procedimenti.
Occorre dunque esaminare in via prioritaria la controversia avente ad oggetto la sentenza che ha respinto il ricorso per revocazione.
2.1. Con il primo motivo la suddetta sentenza veniva attaccata per nullità della stessa per violazione dell’art. 132 cod. proc. civ. per motivazione parvente.
2.1.1. Il motivo è inammissibile poiché per aversi motivazione apparente occorre che non si possa ricostruire l’iter logico seguito dal giudice nell’assumere la decisione, o che la motivazione sia contraddistinta da insuperabile contraddizione logica e giuridica. Orbene nella specie la CTR spiega anzitutto che i giudici d’appello non sono incorsi in errore in quanto quelli di primo grado
nell’ultimo capoverso della loro sentenza avrebbero effettivamente ritenuto che le domande di rimborso fossero state avanzate per la prima volta in sede giudiziale, e non proposte nell’istanza di rimborso, per cui ciò avrebbe determinato la mancata formazione di un diniego sul punto. Il ragionamento è effettivamente virgolettato, in quanto i giudici della revocazione riportano il brano della sentenza di primo grado, ma con ciò tendono solo a rafforzare il fondamento della decisione che è costituito dalla assunta assenza di un errore revocatorio, denunciato con riferimento alla parte in cui i giudici d’appello avevano ritenuto che i primi giudici avessero statuito l’inammissibilità tanto della domanda principale come di quella subordinata, laddove nella prospettazione del giudizio di revocazione solo la seconda era stata attinta dalla pronuncia di inammissibilità in primo grado.
2.2. Con il secondo motivo si allega omesso esame di un fatto decisivo, costituito dall’aver inteso i giudici della revocazione che la decisione di inammissibilità resa dalla CTP riguardasse solo l’indeducibilità della quota IRAP di cui al d.l. n. 185 e non l’indeducibilità dell’intera IRAP.
2.2.1. Il motivo è inammissibile, perché con esso si tende a configurare un vizio della sentenza di cui all’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., ma in realtà rimproverandone uno di cui all’art. 395, cod. proc. civ.
Ora nella specie il vizio in effetti denunciato consiste nel non aver i giudici ‘visto’ che la sentenza di primo grado pronunciava l’inammissibilità della domanda con riferimento esclusivamente a quella relativa alla assunta deducibilità della quota di IRAP prevista dal d.l. n. 185, e non anche di quella inerente il rimborso derivante dalla ritenuta deducibilità integrale.
Con ciò si ripropone però il vizio denunciato in sede di revocazione, e dunque sempre rilevante (semmai) ai sensi dell’art. 395 cod. proc. civ. (davanti ad un diverso giudice).
D’altronde il denunciato ‘omesso esame’ neppure sussiste in astratto, perché nella specie, per come dedotto, avrebbe ad oggetto la sentenza di primo grado, ma la CTR dimostra di aver esaminato tale sentenza, riportandone anche uno stralcio, e semmai fornendone una valutazione (condivisibile o meno, sotto questo profilo non importa) differente da quella proposta dai ricorrenti.
Nessuna diversa qualificazione del motivo può poi operarsi atteso che lo stesso è inequivocabilmente strutturato, in tutto il suo sviluppo, come omesso esame di fatti decisivi e oggetto di discussione fra le parti.
2.3. Col terzo motivo si denuncia nullità della sentenza per motivazione parvente, con riguardo alla statuizione di inammissibilità.
2.3.1. Vanno qui ripetute le osservazioni formulate sub 2.1.1: si tratta del secondo motivo di revocazione, rispetto al quale la CTR ha condiviso il fatto statuito in sede d’appello secondo cui sul punto si sarebbe formato giudicato interno in quanto il capo della sentenza di primo grado (che statuiva l’inammissibilità) non risultava impugnato con specifico motivo di appello.
2.4. Col quarto motivo si denuncia omesso esame di un fatto decisivo, costituito questa volta dalla mancata valutazione di un paragrafo dell’atto d’appello, contenente il motivo avverso la declaratoria di inammissibilità resa dai primi giudici.
2.4.1. Anche tale motivo è inammissibile. In questo caso infatti si rimprovera al giudice della revocazione di non aver ‘considerato’ l’apposito paragrafo dell’atto d’appello in cui veniva impugnata la statuizione di inammissibilità della domanda subordinata da parte del primo giudice. In proposito deve dirsi che l’omesso esame di un fatto sostanziale o processuale (nella specie, la circostanza di un motivo d’appello) può dare luogo ad un vizio motivazionale o alla violazione di norma processuale; esso non integra un errore
revocatorio ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c. che viceversa consiste nella viziata percezione o nella falsa supposizione (espressa e mai implicita) dell’esistenza o inesistenza di un fatto sostanziale o processuale, non controverso fra le parti, la cui esistenza o inesistenza è incontrastabilmente esclusa o positivamente stabilita, dagli atti o documenti della causa (Cass. 14610/21).
Dal motivo in esame non si comprende appieno se le ricorrenti rimproverino alla CTR un errore di percezione od un autentico omesso esame.
Partendo dall’osservazione per cui in effetti non vi sarebbe stato spazio per un’ulteriore giudizio di revocazione, dal momento che il fatto costituiva un punto controverso (essendo appunto oggetto della domanda di revocazione), si dovrebbe concludere -proprio per la qualificazione che la controversia determina -che l’eventuale errore consiste in un’omessa valutazione dei fatti di causa, censurabile ex art. 360 n. 5 c.p.c., se si riferisce fatti sostanziali, ovvero ex art. 360 n. 4 c.p.c., in caso di omesso esame di fatti processuali (in questo caso l’atto d’appello) come del resto fatto dalle stesse ricorrenti, ma nel diverso ricorso per cassazione qui riunito.
2.5. In conclusione il ricorso per revocazione è inammissibile.
Venendo ora al ricorso in cassazione occorre in via prioritaria esaminare il secondo motivo che investe la statuizione d’appello laddove la stessa ha ritenuto inammissibile il gravame di secondo grado in quanto ‘i primi giudici hanno dichiarato inammissibili le domande di rimborso delle ricorrenti come formulate nel ricorso e su tale punto non è stato presentato alcun motivo di appello, in quanto tutto l’atto è articolato nelle ragioni di merito…’.
3.1.1. Sul punto il motivo denuncia violazione degli artt. 324 e 329, cod. proc. civ.; 2909, cod. civ. e 53, d.lgs. n. 546/1992 in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., in quanto la CTR avrebbe erroneamente ritenuto il formarsi del giudicato in
quanto le ricorrenti non avrebbero impugnato la sentenza di primo grado nella parte in cui dichiarò l’inammissibilità della domanda di rimborso di maggior IRES per deducibilità di quota IRAP, in via subordinata, cui invece le società ricorrenti avevano dedicato un apposito paragrafo dell’atto d’appello.
Per vero la sentenza di appello è chiara nello statuire l’inammissibilità di entrambe le domande proposte dalle ricorrenti (quindi tanto della principale come della subordinata).
Orbene in proposito è pacifico che la CTP dichiarò l’inammissibilità della seconda domanda, subordinata, e nell’atto d’appello, al § 2.5., si legge il motivo con il quale tale declaratoria risulta contrastata dalla difesa delle odierne ricorrenti.
Così stando le cose deve rilevarsi che la statuizione di inammissibilità sulla subordinata emessa dal giudice di primo grado era stata impugnata, per cui a differenza di quanto ritenuto dalla CTR non si era formato alcun giudicato interno per omessa impugnazione.
Va in proposito ricordato che
‘In tema di ricorso per cassazione, la deduzione della omessa pronuncia su un motivo di appello – per erronea lettura del suo contenuto da parte del giudice di merito – integra un “error in procedendo” che legittima il giudice di legittimità all’esame degli atti del giudizio, in quanto l’oggetto di scrutinio attiene al modo in cui il processo si è svolto, ossia ai fatti processuali che quel vizio possono aver provocato’
(Cass. 16028/23)
Il motivo merita quindi accoglimento.
3.2. Con riferimento invece agli altri motivi, gli stessi in effetti censurano le statuizioni rese nel merito dalla CTR, ed in particolare il primo motivo quella attinente la ritenuta non deducibilità integrale dell’IRAP in virtù dell’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 446/97 e s.m.i.; nonché i motivi terzo, attinente all’indeducibilità della quota
IRAP relativa alle spese del personale in forza dello ius superveniens , ed infine quarto, attinente a sua volta alla statuizione della CTR secondo cui le norme che disciplinano l’esclusione della deducibilità dell’IRAP non sarebbero costituzionalmente illegittime.
3.2.1. I motivi sono inammissibili.
Invero, il presupposto da cui parte la sentenza impugnata è nel senso che entrambe le domande, quindi tanto la principale come la subordinata, siano state dichiarate inammissibili dal giudice di primo grado, ‘ritenendole novative rispetto alla istanza che ha avuto il provvedimento di diniego’, e che invece l’appello si sviluppasse solo sui motivi di merito, per cui sulla statuizione di inammissibilità si sarebbe formato il giudicato interno.
Avendo così il giudice d’appello ritenuto l’inammissibilità dell’appello per il giudicato interno formatosi, egli si è spogliato della potestas iudicandi , per cui le successive ‘statuizioni’ (o meglio, a questo punto, osservazioni) nel merito, lungi dal costituire autonome rationes decidendi , sono invece tamquam non essent ; la parte per attaccare la sentenza deve farlo con riguardo esclusivo alla statuizione di inammissibilità (come avvenuto nella specie riguardo al secondo motivo), unica effettiva, mentre tutti i motivi inerenti le ‘statuizioni’ nel merito sono a loro volta inammissibili, appuntandosi su parti prive di sostanza decisoria e consistenti in mere argomentazioni puramente ipotetiche e virtuali.
Va dunque affermato il seguente principio di diritto
Volta che il giudice si sia spogliato della potestas iudicandi statuendo l’inammissibilità dell’atto introduttivo del giudizio, le eventuali ulteriori considerazioni sul merito della controversia costituiscono mere argomentazioni ipotetiche e virtuali, le quali non possono formare oggetto di impugnazione proprio per l’assenza di valenza decisoria, potendosi l’impugnazione stessa appuntare
esclusivamente sulla statuizione in rito relativa all’ammissibilità della domanda.
4. Al postutto il ricorso, accolto il secondo motivo, determina la cassazione della sentenza impugnata con rinvio al giudice di secondo grado che, in diversa composizione, si atterrà ai principi qui espressi, provvedendo in particolare ad esaminare compiutamente il motivo d’appello in precedenza trascurato, e altresì a liquidare le spese del giudizio di legittimità.
Con riferimento alla declaratoria di inammissibilità del ricorso per revocazione, condanna la parte ricorrente al pagamento delle relative spese, e dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. 24 dicembre 2012, n. 228, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso per revocazione.
In accoglimento del secondo motivo del ricorso in cassazione, dichiarata l’inammissibilità degli altri motivi, cassa la sentenza n. 2534/2015 resa dalla CTR della Lombardia, rinviando alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia che, in diversa composizione, provvederà altresì alla liquidazione delle spese dell’intero giudizio riunito.
Con riferimento al ricorso per revocazione, condanna le ricorrenti al pagamento delle spese, che liquida in € 2.000,00 oltre spese prenotate a debito, e dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 17 ottobre 2024