Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 11988 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 11988 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 07/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16987/2023 R.G. proposto da COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. COGNOME NOME (domicilio digitale: EMAIL
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa ope legis
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI SECONDO GRADO DELLA SICILIA, SEZIONE STACCATA DI MESSINA, n. 2017/2023 depositata il 1° marzo 2023
udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 19 marzo 2025 dal Consigliere COGNOME NOME
FATTI DI CAUSA
Il concessionario RAGIONE_SOCIALE notificava a NOME COGNOME cartella di pagamento delle somme iscritte a ruolo dalla
Direzione Provinciale di Messina dell’Agenzia delle Entrate a sèguito di controllo automatizzato della dichiarazione da questi presentata ai fini dell’IRPEF per l’anno 2002.
Il contribuente impugnava tale atto dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Messina, deducendo di aver erroneamente indicato nella dichiarazione, allo scopo di adeguare il reddito ivi esposto agli studi di settore, in realtà giammai percepiti.
La Commissione adìta respingeva il ricorso e la decisione veniva successivamente confermata dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, sezione staccata di Messina, la quale, con sentenza n. 2017/2023 del 1° marzo 2023, rigettava l’appello della parte privata soccombente.
Avverso questa sentenza il COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
Il Consigliere delegato dal Presidente di Sezione, ravvisata la manifesta infondatezza del ricorso, ha formulato, ai sensi dell’art. 380bis , comma 1, c.p.c., una sintetica proposta di definizione accelerata del giudizio, comunicata ai difensori delle parti.
Entro quaranta giorni dalla comunicazione, con istanza sottoscritta dal suo difensore munito di una nuova procura speciale, il ricorrente ha chiesto la decisione.
La causa è stata, quindi, avviata alla trattazione in camera di consiglio, a norma dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
Nel termine di cui al comma 1, terzo periodo, dello stesso articolo il COGNOME ha depositato memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., sono denunciate la violazione e la falsa applicazione dell’art. 6, comma 5, della L. n. 212 del 2000.
1.1 Si sostiene che avrebbe errato la CTR nell’escludere che la notifica dell’impugnata cartella di pagamento, emessa a sèguito di controllo automatizzato, dovesse essere preceduta dall’invito al contribuente a rendere i necessari chiarimenti.
1.2 Viene, al riguardo, posto in evidenza che in data 20 settembre 2005 il COGNOME aveva rivolto all’Agenzia delle Entrate istanza di sgravio in autotutela, rendendo noto di non volersi adeguare agli studi di settore.
A fronte di tale comunicazione, sussistendo incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione dei redditi presentata dal contribuente in relazione all’anno 2002, l’Ufficio avrebbe dovuto chiedere al dichiarante di fornire opportune delucidazioni, prima di procedere all’iscrizione a ruolo dell’imposta da versare.
1.3 Il motivo è infondato.
1.4 Per costante giurisprudenza di legittimità, la notifica della cartella di pagamento a sèguito di controllo automatizzato ex art. 36-bis del D.P.R. n. 600 del 1973 è legittima anche se non preceduta dalla comunicazione di irregolarità (cd. ‘avviso bonario’); né il contraddittorio endoprocedimentale è invariabilmente imposto dall’art. 6, comma 5, della legge n. 212 del 2000 (Statuto del contribuente), che lo prevede solo quando sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione (cfr. Cass. n. 16494/2024, Cass. n. 3955/2024).
1.5 Al riguardo, è stato precisato che tale ultima situazione non ricorre necessariamente nelle ipotesi previste dalle norme innanzi citate, le quali implicano un controllo documentale sui dati contabili direttamente riportati in dichiarazione, senza margini di tipo interpretativo (cfr. Cass. n. 33344/2019, Cass. n. 27716/2016); del resto, se il legislatore avesse voluto prescrivere l’osservanza del contraddittorio preventivo in tutti i casi di iscrizione a ruolo derivante dalla liquidazione dei tributi che risultano dalla dichiarazione, non avrebbe posto la condizione di cui al citato inciso
(cfr. Cass. n. 15584/2014, Cass. n. 8342/2012).
1.6 Non si è, inoltre, mancato di puntualizzare che non sono configurabili incertezze su aspetti rilevanti ove le differenze fra la dichiarazione del contribuente e la cartella di pagamento siano dovute semplicemente al mancato versamento delle varie imposte dovute in base alla prima (cfr. Cass. n. 9218/2018).
1.7 Ai surriferiti princìpi di diritto si è correttamente uniformata la CTR siciliana, la quale ha affermato che «il procedimento di liquidazione a norma del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 36 bis, … non richiede nè avviso di accertamento nè comunicazione di irregolarità, trattandosi di verifica meramente cartolare fondata sul solo controllo obiettivo dei dati formali contenuti nella dichiarazione dei redditi» .
1.8 Non sussiste, perciò, il dedotto «error in iudicando» .
Con il secondo motivo, anch’esso proposto a norma dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., sono lamentate la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973 e degli artt. 53, comma 1, e 7, comma 1 ( recte: 97, comma 1, nel testo in vigore anteriormente alle modifiche apportate dall’art. 2 della L. Cost. n. 1 del 2012 n.d.r.), Cost., nonché la falsa applicazione dell’art. 2, comma 8bis , del D.P.R. n. 322 del 1998.
2.1 Si censura l’impugnata sentenza per aver a torto negato al contribuente la facoltà di emendare anche in sede contenziosa la propria dichiarazione dei redditi, in presenza di errori che lo espongano al pagamento di tributi maggiori di quelli effettivamente dovuti, indipendentemente dalla mancata presentazione di apposita dichiarazione integrativa ex art. 2, comma 8bis , del D.P.R. n. 322 del 1998.
2.2 Viene soggiunto che nel caso di specie l’errore commesso dal COGNOME consistito nell’aver indicato nel rigo RG4 del modello UNICO 2003, al fine di adeguare il proprio reddito agli studi di settore, per un
ammontare complessivo di 92.356 euroemergeva in tutta evidenza dalla documentazione da lui prodotta in giudizio, da cui era possibile arguire che i ricavi dichiarati non erano stati in realtà percepiti.
2.3 Il motivo è infondato.
2.4 Per consolidato orientamento di questa Corte regolatrice, l’emendabilità della dichiarazione fiscale deve correttamente circoscriversi alle sole ipotesi di meri errori materiali nell’indicazione dei dati relativi alla quantificazione delle poste reddituali, positive o negative (ad es., errori di calcolo o inesatta liquidazione degli importi), ovvero anche formali (come la non corretta individuazione della voce del modello in cui collocare la posta), rimanendo, pertanto, esclusa la fattispecie in cui il contribuente, con la stessa dichiarazione, abbia inteso esercitare un’opzione riconosciutagli da una norma tributaria, come quando egli esprima la volontà di uniformarsi agli studi di settore.
2.5 Detta opzione integra, infatti, esercizio di un potere discrezionale di scelta, riconducibile a una tipica manifestazione di autonomia negoziale diretta a incidere sull’obbligazione tributaria e sul conseguente effetto vincolante di assoggettamento all’imposta, con la conseguenza che eventuali errori commessi dal dichiarante assumono rilevanza soltanto ove sussistano i requisiti di essenzialità e riconoscibilità ex art. 1428 c.c., norma da ritenersi applicabile, ai sensi dell’art. 1324 dello stesso codice, anche agli atti unilaterali fra vivi a contenuto patrimoniale (cfr. Cass. n. 9828/2022, Cass. n. 35131/2021, Cass. n. 31237/2019, Cass. n. 19410/2015).
2.6 Nel caso in esame, il COGNOME nemmeno indica in quale delle specifiche e tassative ipotesi previste dall’art. 1429 c.c. rientrerebbe l’errore da lui asseritamente commesso, limitandosi genericamente a prospettare di essere incorso in una mera disattenzione in sede di compilazione del modello UNICO 2003.
2.7 La censura va, pertanto, rigettata, pur rendendosi necessario correggere «in parte qua» , ai sensi degli artt. 384, ultimo comma, c.p.c. e 62 comma 2, del D. Lgs. n. 546 del 1992, la motivazione dell’impugnata sentenza, la quale risulta incentrata sul non pertinente richiamo al principio generale di indisponibilità dell’obbligazione tributaria e sulla ritenuta possibilità di rettifica dell’errore mediante una dichiarazione integrativa ex art. 2, comma 8bis , del D.P.R. n. 322 del 1998, con la quale, invece, il contribuente non avrebbe comunque potuto revocare la volontà di adeguamento agli studi di settore precedentemente manifestata (cfr. Cass. n. 18757/2014).
Per le ragioni illustrate, il ricorso deve essere respinto.
Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Poiché il giudizio è stato definito in conformità alla proposta formulata dal Consigliere delegato ai sensi del comma 1 dell’art. 380bis c.p.c., devono trovare applicazione -giusta quanto disposto dal comma 3 dello stesso articolo, contemplante un’ipotesi normativa di abuso del processo (cfr. Cass. Sez. Un. n. 27433/2023)i commi 3 e 4 dell’art. 96 c.p.c..
5.1 Il ricorrente va, conseguentemente, condannato al pagamento:
(a)di una somma equitativamente determinata a favore della controparte;
(b)di un’ulteriore somma di denaro, stabilita nel rispetto dei limiti di legge, in favore della Cassa delle Ammende.
5.2 Per la relativa quantificazione si rimanda ugualmente al dispositivo.
Stante l’esito dell’impugnazione, viene resa nei confronti del ricorrente l’attestazione di cui all’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), inserito dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in 2.400 euro, oltre ad eventuali oneri prenotati a debito, nonchè a pagare alla stessa Agenzia l’ulteriore somma di 1.200 euro ex art. 96, comma 3, c.p.c.; condanna, altresì, il ricorrente al pagamento della somma di 750 euro in favore della Cassa delle Ammende, a norma dell’art. 96, comma 4, c.p.c..
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 (Testo Unico delle spese di giustizia), dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione