Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 30632 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 30632 Anno 2025
Presidente: LA COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 20/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1956/2018 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE RISCOSSIONE;
–
-intimate- avverso SENTENZA di COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DEL LAZIO n. 9801/2016 depositata il 30/12/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/09/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
In data 11 maggio 2011 è stata notificata alla società contribuente una cartella di pagamento con la quale è stato richiesto il versamento della somma complessiva di euro 447,852,00, a titolo di IRAP, IVA, sanzioni e interessi, in relazione all’anno d’imposta
2007. L’importo è stato determinato a seguito del controllo automatizzato della dichiarazione modello NUMERO_DOCUMENTO 2008, presentata dalla medesima società, ai sensi dell’art. 36 -bis del d.P .R. n. 600 del 1973 e dell’art. 54 -bis del d.P.R. n. 633 del 1972. Avverso tale cartella la contribuente ha proposto ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma, che lo ha respinto. La decisione è stata impugnata dalla società con appello proposto innanzi alla Commissione tributaria regionale del Lazio, la quale ha confermato integralmente la pronuncia di primo grado.
Avverso la sentenza della CTR la contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi. L’RAGIONE_SOCIALE è rimasta intimata, senza svolgere attività difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso la contribuente deduce l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., lamentando che la Commissione tributaria regionale del Lazio ha del tutto omesso di esaminare i documenti prodotti in giudizio, tra cui le liquidazioni periodiche IVA mensili relative all’intero anno 2007 e l’elenco RAGIONE_SOCIALE fatture emesse e ricevute nello stesso periodo. Da tali documenti emergeva che l’importo iscritto a ruolo, pari ad euro 291.088, non poteva derivare da un mero errore materiale nella compilazione della dichiarazione, risultando invece evidente che l’imposta a debito maturata nel corso dell’anno 2007 ammontava ad euro 106.656,84, di cui euro 20.923,39 già versati in data 16 maggio e 16 luglio 2007.
Con il secondo motivo si denuncia la violazione dell’art. 116, comma 1, c.p.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., per omessa valutazione degli elementi istruttori offerti nel presente giudizio. La contribuente lamenta che la CTR ha omesso ogni considerazione in merito ai documenti prodotti, già indicati nel
primo motivo di ricorso, nonostante fossero rilevanti ai fini della decisione.
Con il terzo motivo si deduce la violazione RAGIONE_SOCIALE regole in materia di onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., sostenendosi che la sentenza impugnata è illegittima per avere disatteso il principio secondo cui, una volta fornita prova documentale dell’imposta effettivamente dovuta, l’Amministrazione non può pretendere somme ulteriori. In particolare, si ribadisce che l’imposta a debito per l’anno 2007 ammontava ad euro 106.656,84, di cui euro 20.923,39 già versati. Con il quarto motivo si lamenta la violazione del principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per avere la CTR erroneamente qualificato come manifestazione di volontà negoziale, e dunque irretrattabile in sede contenziosa, un errore materiale contenuto nella dichiarazione fiscale. La contribuente evidenzia come la sentenza impugnata abbia confuso l’errore emendabile relativo al contenuto della dichiarazione di scienza con quello relativo alla manifestazione di volontà, affermando che nel caso di specie venisse in rilievo una dichiarazione cui il legislatore subordina la concessione di un beneficio fiscale, e che pertanto non poteva essere rettificata.
Con il quinto motivo si denuncia la violazione degli artt. 36 -bis del d.P.R. n. 600 del 1973, 54 -bis del d.P.R. n. 633 del 1972 e dell’art. 6, comma 5, della l. n. 212 del 2000, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per avere la CTR implicitamente affermato che il potere di valutare l’esistenza di eventuali incertezze nelle dichiarazioni fiscali spetta esclusivamente agli uffici dell’Amministrazione finanziaria. Secondo la contribuente, tale interpretazione svuoterebbe di contenuto la previsione normativa che impone il contraddittorio preventivo, privando il contribuente di una garanzia fondamentale.
Il primo motivo è inammissibile.
Innanzitutto, la sentenza impugnata si colloca in continuità con quella di primo grado, dando luogo a una fattispecie di ‘doppia conforme’. L’inammissibilità travolge il motivo, ai sensi dell’art. 348 ter cod. proc. civ., vertendosi in fattispecie nella quale la società ricorrente è risultata soccombente in entrambi i giudizi di merito, sulla base di statuizioni fondate sui medesimi rilievi in fatto, che hanno disatteso i diversi argomenti – sostanziali e probatori – dalla stessa proposti (cfr. Cass., 9 marzo 2022, n. 7724; Cass., 26 gennaio 2021, n. 1562).
In definitiva, la censura s’infrange nel principio della cd. doppia conforme ex art. 348 ter cod. proc. civ., non avendo la parte attuale ricorrente specificato in ricorso le ragioni di fatto poste rispettivamente a fondamento della decisione di primo grado e di secondo grado, così dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 20 marzo 2024, n. 7442; Cass., 20 settembre 2023, n. 26934; Cass., 28 febbraio 2023, n. 5947; Cass., 9 marzo 2022, n. 7724; Cass., 26 gennaio 2021, n. 1562; Cass., 11 maggio 2018, n. 11439)
Il motivo è inammissibile anche su un convergente piano: non è, infatti, consentito – come pure il mezzo di ricorso aspira a fare censurare l’omesso esame di risultanze istruttorie e gli elementi valutativi apprezzati dal giudice di merito, ogni qualvolta la doglianza si risolva, come nella specie, in una sollecitazione a una diversa lettura del materiale probatorio, non consentita in sede di legittimità. La CTR ha compiuto un accertamento di fatto, mettendo in risalto, nel proprio libero sindacato, i profili di prova che sono parsi ad essa più attendibili. Come chiarito da questa Corte spetta unicamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi,
assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonché la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante (Cass., 13 giugno 2014, n. 13485; Cass., 15 luglio 2009, n. 16499)
Il secondo motivo è inammissibile.
Invero, la censura si fonda su una pretesa erronea valutazione del materiale probatorio, senza indicare alcuna violazione del principio di disponibilità della prova o travisamento del contenuto documentale. La doglianza si risolve in una critica al convincimento del giudice di merito, che ha ritenuto non dimostrato l’errore materiale dedotto dalla contribuente.
Le Sezioni Unite di questa Corte, d’altronde, hanno affermato che « in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato -in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione » (Cass., Sez. U., 30 settembre 2020, n. 20867).
Il terzo motivo non coglie neanch’esso nel segno e va disatteso.
La parte ricorrente prospetta la violazione dell’art. 2697 c.c., ma non allega che il giudice di appello abbia erroneamente attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata, secondo le regole di scomposizione della fattispecie. Al contrario, la CTR ha ritenuto che l’RAGIONE_SOCIALE avesse assolto l’obbligo motivazionale e che la contribuente non avesse fornito prova sufficiente dell’errore dedotto. Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità (Cass., 19 agosto 2020, n. 17313; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26769; Cass., 5 settembre 2006, n. 19064), la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice attribuisca l’onere della prova in modo erroneo, non anche quando, a seguito di una valutazione incongrua RAGIONE_SOCIALE acquisizioni istruttorie, ritenga erroneamente che la parte onerata abbia assolto tale onere. In quest’ultimo caso, si è in presenza di un errore di apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità nei soli limiti in cui sia deducibile il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., e non per violazione di legge.
In realtà, la doglianza si risolve in una critica alla ricostruzione della fattispecie concreta operata dalla CTR, mediata dalla valutazione RAGIONE_SOCIALE risultanze probatorie, e non integra alcuna violazione del precetto normativo invocato.
Il quarto motivo di ricorso è inammissibile.
La CTR ha escluso la sussistenza di un errore materiale nella dichiarazione fiscale sulla base di un accertamento di fatto, ritenendo non dimostrata l’incidenza contabile dell’anomalia dedotta. La pronuncia ha evidenziato come la dichiarazione non fosse stata oggetto di alcuna rettifica e come le allegazioni della contribuente fossero sfornite di riscontro documentale, sia in relazione alla quantificazione dell’imposta dovuta, sia quanto alla riconducibilità dell’errore alla compilazione del modello dichiarativo. Si tratta di una valutazione fondata su elementi istruttori e su un apprezzamento discrezionale riservato al giudice di merito,
insindacabile in sede di legittimità, salvo il vizio di motivazione nei limiti dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., vizio non dedotto secondo i requisiti stabiliti dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass., Sez. U., 30 settembre 2020, n. 20867).
La sentenza d’appello è inequivoca, poiché: i) rileva che l’Ufficio si è limitato alla liquidazione e riscossione di imposte dichiarate e non versate; ii) esclude l’esistenza di un errore nell’imputazione dei centesimi; iii) afferma che l’IVA dovuta coincide con quella indicata in dichiarazione; iv) constata la totale assenza di prova circa l’incidenza contabile dell’asserito errore.
In tale quadro, il richiamo operato dalla CTR alla giurisprudenza che attribuisce valore negoziale alla dichiarazione fiscale nelle ipotesi in cui la fruizione di un beneficio sia subordinata alla sua tempestiva indicazione costituisce un’argomentazione svolta meramente ad abundantiam e priva di qualunque incidenza sul dispositivo. La fattispecie in esame concerneva, infatti, l’omesso versamento di imposte dichiarate in regime di autotassazione, sicché quel diverso riferimento, vistosamente eccentrico rispetto al thema decidendum , si configura come un obiter dictum sprovvisto di rilievo ai fini della decisione.
È principio consolidato che sia inammissibile, in sede di legittimità, il motivo di ricorso volto a censurare un’argomentazione ad abundantiam , non costituente ratio decidendi , poiché inidonea a produrre effetti giuridici e a influire sul dispositivo (Cass., 10 aprile 2018, n. 8755; Cass., 8 giugno 2022, n. 18429).
Ne deriva che il motivo è inammissibile, non censurando la reale ratio decidendi , ma limitandosi a criticare un obiter dictum , insuscettibile di ricorso per difetto di interesse.
Il quinto motivo è infondato.
Questa Corte ha affermato che ‘ L’art. 6, comma 5, della l. n. 212 del 2000 non impone l’obbligo del contraddittorio preventivo in tutti i casi in cui si debba procedere ad iscrizione a ruolo ai sensi
dell’art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, ma solo quando sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, situazione quest’ultima che non ricorre quando la cartella sia stata emessa in ragione del mero mancato pagamento di quanto risultante dalla dichiarazione, sicché in tale ipotesi non è dovuta comunicazione di irregolarità, né, in ogni caso, dalla omissione di detta comunicazione può derivare la non debenza o la riduzione RAGIONE_SOCIALE sanzioni e degli interessi di cui all’art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 462 del 1997′ (Cass. n. 18405 del 2021). Questa Corte già in precedenza aveva evidenziato che ‘ La notifica della cartella di pagamento a seguito di controllo automatizzato è legittima anche se non preceduta dalla comunicazione del c.d. “avviso bonario” ex art. 36 bis, comma 3, d.P.R. n. 600 del 1973, nel caso in cui non vengano riscontrate irregolarità nella dichiarazione; nè il contraddittorio endoprocedimentale è invariabilmente imposto dall’art. 6, comma 5, l. n. 212 del 2000, il quale lo prevede soltanto quando sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, situazione, quest’ultima, che non ricorre necessariamente nei casi soggetti al citato art. 36 bis, che implica un controllo di tipo documentale sui dati contabili direttamente riportati in dichiarazione, senza margini di tipo interpretativo ‘ (Cass. n. 33344 del 2019). Ed ancora prima la giurisprudenza nomofilattica aveva puntualizzato che ‘ L’emissione della cartella di pagamento con le modalità previste dall’art. 36 bis, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, e dall’art. 54 bis, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, non richiede di regola la preventiva comunicazione dell’esito del controllo al contribuente, salvo che la procedura di liquidazione automatizzata non si limiti a rilevare meri errori materiali e richieda rettifiche preventive dei dati contenuti nella dichiarazione, nel qual caso la sua omissione, a seconda che sussistano o meno incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, può costituire mera irregolarità, non incidente sulla
validità della cartella di pagamento, oppure può comportarne la nullità ex art. 6, comma 5, della l. n. 212 del 2000’ (Cass. n. 1711 del 2018).
Il ricorso va, in ultima analisi, rigettato. Nulla va disposto sulle spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Spese irripetibili.
Si dà atto del fatto che, ai sensi del d.P .R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 -quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 -bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 24/09/2025.
Il Presidente
NOME LA COGNOME