Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9073 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9073 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/04/2024
ORDINANZA
Sul ricorso n. 1154-2016, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , cf. 07854831000, in persona del suo legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, dal quale è rappresentata e difesa –
Ricorrente
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE , cf 06363391001, in persona del Direttore p.t.-
Resistente
Avverso la sentenza n. 3398/02/2015 della Commissione tributaria regionale del Lazio, depositata il 12 giugno 2015;
udita la relazione della causa svolta nell’ adunanza camerale del 6 ottobre 2023 dal AVV_NOTAIO,
Rilevato che
Accertamento – 36 bis –
Errore in dichiarazione –
Emendabilità –
Conseguenze
Dalla sentenza impugnata si evince che alla ricorrente fu notificata la cartella di pagamento dell’importo di € 17.352,33 in ragione dell’omesso pagamento dell’IVA, relativa all’anno d’imposta 2016. L’atto trovava fondamento nella compilazione del rigo VA 42 della dichiarazione, dedicato al riconoscimento di maggiori corrispettivi per adeguamento agli studi di settore, cui però non era corrisposto l’effettivo versamento.
La società, che sosteneva l’erronea compilazione della dichiarazione, avendo anzi inserito nella medesima dichiarazione, al rigo RF1, col. 2, una causa di esclusione dall’applicazione degli studi di settore (altre situazioni di non normale svolgimento dell’attività) , impugnò la cartella dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma, che con sentenza n. 6379/63/2014 ne rigettò le ragioni. L’appello proposto dinanzi alla Commissione tributaria regionale del Lazio fu respinto con sentenza n. 3398/02/2015.
Il giudice regionale ritenne che con la compilazione del quadro VA NUMERO_DOCUMENTO la contribuente aveva indicato essa stessa un valore imponibile di adeguamento dei propri ricavi, secondo gli studi di settore; che, pur potendo evincersi come la compilazione del suddetto quadro fosse riconducibile ad un errore, per la contraddittoria compilazione anche del quadro RF, sarebbe stato comunque onere della contribuente manifestare la sua reale volontà con una dichiarazione integrativa, in mancanza della quale l’RAGIONE_SOCIALE aveva correttamente operato. Ne derivava la non opponibilità al pagamento degli importi portati in cartella, restando comunque sempre salva la possibilità di presentazione dell’istanza di rimborso, ai sensi dell’art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602.
La società ha censurato con tre motivi la sentenza, della quale ha chiesto la cassazione. L’RAGIONE_SOCIALE delle entrate ha depositato atto di
costituzione al solo fine della eventuale partecipazione all’udienza di discussione.
All’esito dell’adunanza camerale del 6 ottobre 2023 la causa è stata discussa e decisa.
Considerato che
Con il primo motivo la società lamenta la «violazione e falsa applicazione dell’art. 6 dello Statuto del Contribuente» perché la cartella di pagamento è stata emessa ai sensi dell’art. 36 bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, senza essere preceduta dall’avviso bonario di irregolarità.
Il motivo, che, pur senza un espresso richiamo, va inquadrato nella denuncia dell’errore di diritto prevista dall’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., è inammissibile perché della violazione dell’art. 6 dello Statuto del contribuente, e dell’art. 36 bis comma 3 e 54 bis comma 3, la sentenza non ne tratta affatto, né nel ricorso la società ha indicato quando in appello la questione sia stata sollevata.
Con il secondo motivo la società denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2, d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322.
La contribuente sostiene che la compilazione del rigo VA42, di adeguamento allo studio di settore, era stata solo frutto di un mero errore, non avendo incamerato le somme dichiarate. L’errore era riconoscibile, per aver anche compilato il rigo RF1, colonna 2, codice 7 e ‘non aveva allegato alcun modulo predisposto dall’erario, contenente calcoli sull’entità del tributo da versare’. Conclude con l’affermare che la sola compilazione del rigo VA42 non era sufficiente a ritenere che la contribuente avesse optat o per l’adeguamento agli studi di settore ‘qualora gli studi di settore non siano di fatto allegati alla stessa dichiarazione’. Invoca a tal fine anche il principio di collaborazione e buona fede dell’Amministrazione finanziaria, nonché principi sulla
emendabilità della dichiarazione affermati dalla giurisprudenza di legittimità.
Deve intanto evidenziarsi che l ‘art. 2, commi 8 e 8 bis, del d.P.R. n. 322 del 1998, nella formulazione ratione temporis vigente, prevedeva che «8. Salva l’applicazione delle sanzioni, le dichiarazioni dei redditi, dell’imposta regionale sulle attività produttive e dei sostituti imposta possono essere integrate per correggere errori od omissioni mediante successiva dichiarazione da presentare, secondo le disposizioni di cui all’articolo 3, utilizzando modelli conformi a quelli approvati per il periodo d’imposta cui si riferisce la dichiarazione, non oltre i termini stabiliti dall’articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni. 8-bis. Le dichiarazioni dei redditi, dell’imposta regionale sulle attività produttive e dei sostituti di imposta possono essere integrate dai contribuenti per correggere errori od omissioni che abbiano determinato l’indicazione di un maggior reddito o, comunque, di un maggior debito d’imposta o di un minor credito, mediante dichiarazione da presentare, secondo le disposizioni di cui all’articolo 3, utilizzando modelli conformi a quelli approvati per il periodo d’imposta cui si riferisce la dichiarazione, non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo. L’eventuale credito risultante dalle predette dichiarazioni può essere utilizzato in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo n. 241 del 1997».
È vero che la giurisprudenza di legittimità, anche invocata dalla ricorrente, ha affermato che le denunce dei redditi costituiscono di norma delle dichiarazioni di scienza e come tali possano essere emendate dal contribuente in presenza di errori che lo espongano al pagamento di tributi maggiori. In particolare si è affermato che anche in materia di IVA opera il principio per il quale la dichiarazione del
contribuente, affetta da errore, sia esso di fatto che di diritto, commesso dal dichiarante nella sua redazione, è – in linea di principio – emendabile e ritrattabile, quando dalla medesima possa derivare l’assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico, atteso che la dichiarazione dei redditi non ha natura di atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza e di giudizio, modificabile in ragione dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti; che essa costituisce un momento dell'”iter” procedimentale volto all’accertamento dell’obbligazione tributaria; e che i principi della capacità contributiva e di buona amministrazione rendono intollerabile un sistema legislativo che impedisca al contribuente di dimostrare, entro un ragionevole lasso di tempo, l’inesistenza di fatti giustificativi (cfr. Cass., 30 luglio 2018, n. 20119). Persino qualora la legge subordini la concessione di un beneficio fiscale ad una precisa manifestazione di volontà del contribuente da compiersi attraverso la compilazione di un modulo, detta dichiarazione assume il valore di atto negoziale, come tale irretrattabile anche in caso di errore, in quanto recante indicazioni volte a mutare la base imponibile e come tali inidonee a costituire oggetto di un mero errore formale, salvo che il contribuente dimostri che lo stesso fosse conosciuto o conoscibile da parte dell’Amministrazione (Cass., 16 settembre 2015, n. 18180; 22 gennaio 2013, n. 1427, in applicazione del cui principio nella pronuncia si è ritenuto che in quel caso, relativo all’art. 2 del d.P.R. n. 195 del 1999, non fosse emendabile la dichiarazione ai fini IVA di adeguamento agli studi di settore, effettuata tramite la compilazione del quadro TARGA_VEICOLO, nonostante l’omessa compilazione dei quadri implicanti l’adeguamento agli studi di settore ai fini dell’imposta sui redditi).
Ebbene, è indiscutibile che nel caso di specie le modalità di compilazione della dichiarazione contenessero elementi contraddittori, ossia la compilazione del rigo VA42, ai fini dell’adeguamento agli studi di settore, ma anche l’inserimento, nella medesima dichiarazione, al rigo RF1, col. 2, una causa di esclusione dall’applicazione degli studi di settore.
A fronte di tali dati, descrittivi della vicenda e incontestati, non emerge una loro ponderazione complessiva da parte dell’organo giudicante. Risulta infatti palese come il giudice dell’appello, nel decidere e nel non vagliare se l’ipotesi potesse ricondu rsi nella fattispecie dell ‘errore riconoscibile, non abbia tenuto conto dei principi di diritto enunciati in materia dalla giurisprudenza di legittimità.
Il motivo va dunque accolto.
L’accoglimento del secondo motivo assorbe il terzo, con cui la società si è doluta della violazione e falsa applicazione «dell’art. 2 del Decreto sull’Autotutela n. 37 del 11 febbraio 1997, nonché della Lettera Circolare 195/S del 5.08.1998 secondo cui l’atto sbagliato è annullabile senza limiti di tempo», che peraltro è indirizzato al potere di annullamento e di revoca d’ufficio o di rinuncia all’imposizione in caso di autoaccertamento, spettante all’ufficio che ha emanato l’atto illegittimo.
Il ricorso va in conclusione accolto, la sentenza va cassata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, che in diversa composizione, oltre che alla liquidazione anche delle spese del giudizio di legittimità, procederà all’esame dell’appello, tenendo conto dei principi di diritto enunciati in tema dalla giurisprudenza di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo, rigetta il primo, assorbito il terzo. Cassa la sentenza e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo
grado del Lazio, cui demanda, in diversa composizione, anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il giorno 6 ottobre 2023