Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9064 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9064 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’AVV_NOTAIO generale dello Stato ;
–
ricorrente –
Contro
NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO per procura in calce al controricorso
– controricorrente – e nei confronti di
RAGIONE_SOCIALE, in persona del direttore pro-tempore;
-intimata –
Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio n. 8840/18, depositata il 14 dicembre 2018.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25 gennaio 2024 dal consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
REVOCAZ
1.L’RAGIONE_SOCIALE notificava avviso conseguente all’accertamento di plusvalenza in relazione ad una cessione immobiliare. La CTP accoglieva in parte le doglianze e rideterminava la base imponibile. L’RAGIONE_SOCIALE così emetteva nuova cartella per le residue imposte. La contribuente impugnava e la CTP rigettava il ricorso. La CTR, adìta in sede d’appello, rigettava anch’essa il ricorso e la contribuente proponeva avverso tale decisione ricorso in revocazione, sul presupposto che i giudici d’appello avrebbero basato la decisione sull’erronea rappresentazione circa l’esistenza di un atto di riliquidazione invero non esistente. La CTR accoglieva la domanda di revocazione.
L’RAGIONE_SOCIALE propone ricorso in cassazione basato su un motivo. La contribuente resiste a mezzo di controricorso mentre l’RAGIONE_SOCIALE della riscossione, nonostante la regolarità della notifica, è rimasta intimata.
CONSIDERATO CHE
1.Anzitutto dev’essere respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 12 del d.m. 16 aprile 2014, in quanto lo stesso vieterebbe che l’atto del processo notificato a mezzo pec non ammetta scansioni di immagini, poiché senza entrare nel merito della rilevanza di prescrizioni amministrative circa la validità degli atti processuali, l’indicazione riportata riguarda evidentemente la fonte del documento in sé e non il contenuto di sue specifiche parti, laddove lo stesso sia incontestato essere costituito da un documento testuale.
2.Con l’unico complesso motivo l’RAGIONE_SOCIALE denuncia violazione dell’art. 395, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., avendo la CTR in sede di giudizio revocatorio basato la propria pronuncia sull’erroneo presupposto che la sentenza revocata avesse supposto l’esistenza di un atto specifico di riliquidazione, la cui esistenza avrebbe però costituito punto controverso tra le parti.
2.1. E’ pacifico, come emerge dagli stralci degli atti riportati, che tra le parti era controversa non l’esistenza di un determinato atto materiale riliquidazione, ma la sua necessità (ritenuta dalla contribuente e negata dall’RAGIONE_SOCIALE) come atto espresso, da adottarsi in conseguenza dell’accoglimento parziale operato dalla sentenza della CTP che aveva rideterminato la base imponibile su cui calcolare la plusvalenza. La CTR in sede di revocazione, invece, ha ritenuto che la precedente pronuncia (quella d’appello, resa dalla stessa CTR) avesse equivocato ritenendo sussistente siffatto atto esplicito, che essa accertava invece come materialmente insussistente.
Ciò detto, il nucleo della sentenza di revocazione qui impugnata consiste nel ritenere anzitutto che l’RAGIONE_SOCIALE non avesse affatto emesso un atto di riliquidazione, cosa presupposta dalla sentenza di appello, e inoltre che ‘Ciò dimostra da un lato l’incomprensibile modo di determinazione RAGIONE_SOCIALE imposte da parte dell’Ufficio tramite l’emissione di cartelle plurime, con sistematica cadenza temporale, senza notificare e depositare mai la riliquidazione e l’effettivo debito della ricorrente. Dall’altro dimostra l’erroneità del Giudice allorché ritiene la cartella (…) quale ‘saldo’ della pretesa tributaria assunta ‘correttamente’ determinata dalla riliquidazione’.
In altri termini con la pronuncia in sede di revocazione, interpretando la sentenza revocata come contenente un errore percettivo, la CTR entra effettivamente nella questione disputata, circa la necessità o meno di un espresso atto di riliquidazione, e sulla correttezza della pretesa fatta valere dall’RAGIONE_SOCIALE.
Certamente però l'(in)esistenza di un espresso atto di riliquidazione non era controverso nel giudizio d’appello, anzi come detto le parti ivi disputavano (fin dal primo grado, definito con sentenza resa dalla CTP n. 1112 del 2016 come si ricava dalla parte ‘in fatto’ della sentenza di revocazione) proprio circa la relativa necessità, ritenendo la contribuente l’illegittimità dell’agire della p.a. che ha
formulato le sue pretese appunto senza procedere all’espresso atto di riliquidazione (annullando le cartelle e poi iscrivendo a ruolo un nuovo debito per l’importo derivante dall’applicazione della riduzione della base imponibile stabilita dalla sentenza della CTP n. 527 del 2010), mentre l’amministrazione riteneva di aver bene agito emettendo una nuova cartella senza annullare la vecchia per la differenza RAGIONE_SOCIALE imposte rispetto all’iscrizione provvisoria, e poi emettendo un atto di sgravio limitatamente alle sanzioni e alla maggior imposta richiesta, in quanto non si era inizialmente tenuto conto della spettanza della tassazione separata, sicché il resultato era quello dell’imposta ed accessori effettivamente dovuti (facendo evidentemente la somma algebrica fra l’ultima cartella e lo sgravio).
Ma il tutto, appunto, sul presupposto che mai venne emesso uno specifico ed espresso atto di riliquidazione.
A fronte di ciò la sentenza di revocazione ha accertato che il giudice dell’appello avrebbe effettivamente supposto la materiale esistenza di un atto (quello di riliquidazione) in effetti materialmente insussistente. Spingendosi a ritenere che il giudice d’appello l’avrebbe ritenuta posta in essere a seguito della pronuncia che aveva rideterminato la base imponibile, e ne ha dedotto che in modo incontrovertibile il giudice d’appello ha ritenuto esistente tale specifico atto.
Tuttavia, come anticipato, l’asserito vizio della sentenza di revocazione come denunciato in questa sede attiene espressamente al fatto che essa ha affrontato un motivo di revocazione involgente un fatto controverso, il che palesemente non è.
Infatti, come si ricava da quanto sopra, non era controversa l’esistenza di uno specifico atto di riliquidazione, pacificamente insussistente per tutte le parti, ma piuttosto la sua giuridica necessità essendo, secondo la tesi dell’RAGIONE_SOCIALE, lo stesso implicito
negli atti posti in essere, e invece secondo la contribuente necessario come atto da porsi specificamente in essere.
Che poi la CTR, in sede di revocazione, sulla base di un accertamento di fatto – nella specie basato sul ritenuto esame del documento inesistente da parte del giudice d’appello e, sul riferimento ad esso e addirittura sulla sua notifica, pag. 4 della sentenza abbia ritenuto che la decisione d’appello si sia appunto basata considerando esistente un fatto (o meglio in questo caso un atto o documento) pacificamente inesistente, ciò attiene alla congruità o meno dell’accertamento, ma non ai requisiti dell’art. 395, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., perché è evidente per quanto già detto che l’atto specifico di riliquidazione era pacificamente e incontrovertibilmente inesistente e dunque non controverso.
In altri termini con l’accertare, erroneamente o meno non interessa ai fini della prospettazione, che la sentenza d’appello aveva supposto un fatto (un atto) la cui esistenza era incontrastabilmente esclusa, non si è discostata dai limiti previsti dall’art. 395, num. 4), cod. proc. civ. per il giudice della revocazione, e ciò nulla ha a che vedere con la questione giuridica invece davvero controversa fra le parti (la necessità o meno di quell’atto pacificamente inesistente).
Né può sostenersi che la sentenza di revoca si sia limitata nella specie ad un riesame della ratio decidendi della pronuncia d’appello , avendo proceduto non già ad un giudizio di fatto inerente alla presenza di un documento in realtà non presente, ma alla interpretazione di un atto certamente presente – la cartella di pagamento aggiuntiva -qual specifico atto di riliquidazione, disattendendo le conclusioni su cui sul punto era giunto il giudice d’appello. Infatti, sempre a pag. 4, la sentenza di revocazione, dopo aver appunto riportato che il giudice della pronuncia revocanda aveva ‘considerato esistente l’atto di riliquidazione, lo abbia esaminato e ad esso abbia fatto riferimento’, precisa che la
riliquidazione era però ‘inesistente. Così come è inesistente, ovviamente, la sua presunta notifica a parte istante. Quindi si è in presenza di un classico errore revocatorio, essendo la sentenza fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrovertibilmente esclusa’.
Aldilà della perspicuità o meno di tali osservazioni, emerge dunque che il giudice della revocazione abbia proprio inteso affermare che il giudice della sentenza revocanda avesse preso in esame un supposto atto specifico di riliquidazione, abbia su esso basato la decisione, e sia invece emerso in sede di giudizio di revocazione l’insussistenza di tale atto.
2.2. Quanto alla restante parte del motivo, con essa l’RAGIONE_SOCIALE fa notare che gli ulteriori errori individuati dalla decisione di revocazione sarebbero consistiti nel non aver rilevato che la successiva cartella ritenuta (dal giudice d’appello) valida sarebbe, in realtà, stata annullata da due sentenze, e che sempre i giudici d’appello avrebbero presupposto come esistente una istanza del contribuente (per lo sgravio) in realtà mai presentata.
Ebbene tali supposti errori non potevano essere rilevati in quanto ad essi faceva difetto il requisito della rilevanza.
Ciò in quanto l’ammontare dei tributi richiesti era al postutto compatibile con la decisione originaria della CTP.
Anche tale profilo è dunque infondato, perché l’annullamento RAGIONE_SOCIALE cartelle determina certo il potere dell’ufficio di iscrivere nuovamente a ruolo, ma ciò sulla base di un nuovo titolo (che lo stesso ufficio riporta essere stato a sua volta impugnato) mentre l’RAGIONE_SOCIALE ricorrente non esplica dove risulterebbe la richiesta di tassazione separata, che anzi la controricorrente nega di aver richiesto mai.
In definitiva il ricorso è inammissibile, con aggravio di spese per l’RAGIONE_SOCIALE soccombente.
Nulla per le spese relative alla controversia con l’RAGIONE_SOCIALE riscossione, infatti rimasta intimata.
Nei confronti dell’RAGIONE_SOCIALE non sussistono i presupposti processuali per dichiarare l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.p.r. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non potendo tale norma trovare applicazione nei confronti RAGIONE_SOCIALE Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento RAGIONE_SOCIALE imposte e tasse che gravano sul processo (cfr. Cass.n.1778 del 29/01/2016).
P. Q. M.
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso.
Condanna l’RAGIONE_SOCIALE al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese, in favore della controricorrente, in € 2300,00,00 oltre rimborso forfettario nel 15 % dell’onorario, i.v.a. e c.p.a. se dovute, ed oltre ad esborsi per € 200,00.
Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2024