Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31397 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 31397 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 23775-2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato NOME COGNOME giusta procura speciale a margine del ricorso
-ricorrente-
contro
COMUNE DI COGNOME, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avvocati NOME COGNOME E NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al controricorso
-controricorrente-
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore
-intimata- avverso l’ordinanza n. 4217/2019 della SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE, depositata il 13.2.2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 4/12/2024 dal Consigliere Relatore Dott.ssa NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE propone ricorso, affidato ad unico motivo, per la revocazione, ex artt. 391bis e 395 n. 4 c.p.c., dell’ordinanza di questa Corte indicata in epigrafe, che aveva parzialmente respinto il ricorso avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia n. 269/2013, con cui era stata confermata la sentenza n. 85/8/2011 della Commissione tributaria provinciale di Foggia in rigetto del ricorso proposto dall’odierna ricorrente avverso avvisi di accertamento ICI 2008 e 2009 emessi dal Comune di Alberona.
Il Comune resiste con controricorso, Agenzia delle entrate è rimasta intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. Con unico motivo la ricorrente deduce, ex art. 395 n. 4 c.p.c., l’errore di fatto, in cui sarebbe incorso il Collegio, laddove era stato indicato che la base imponibile ICI era stata desunta dalle scritture contabili della società contribuente, sebbene la Commissione tributaria regionale, nella sentenza impugnata, avesse indicato che era stata desunta da una perizia di stima.
1.2. Secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, l’ammissibilità dell’istanza di revocazione di una pronuncia di questa Corte presuppone un errore di fatto riconducibile all’art. 395, n. 4, c.p.c. e dunque un errore di percezione, o una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza (o l’inesistenza) di un fatto decisivo, che risulti invece incontestabilmente escluso (o accertato) in base agli atti e ai documenti di causa (fra le molte, cfr. Cass. n. 442 del 2018), postulando,
l’errore revocatorio, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, l’una desumibile dalla sentenza e l’altra dagli atti e dai documenti processuali, e non concernendo un fatto che sia stato discusso dalle parti e quindi trattato nella pronuncia del Giudice.
1.3. Il discrimine tra l’errore revocatorio e l’errore di diritto risiede, invero, nel carattere meramente percettivo del primo e nell’assenza di quell’attività di valutazione che rappresenta, per contro, l’indefettibile tratto distintivo del secondo (cfr. Cass., S.U., n. 31032 del 2019)
1.4. Ne consegue che l’errore revocatorio che «ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c., richiamato per le sentenze della Corte di cassazione dall’art. 391-bis c.p.c., rientra fra i requisiti necessari della revocazione che il fatto oggetto della supposizione di esistenza o inesistenza non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciarsi; pertanto, non è configurabile l’errore revocatorio qualora l’asserita erronea percezione degli atti di causa abbia formato oggetto di discussione e della consequenziale pronuncia a seguito dell’apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dal giudice» (cfr. Cass. n. 9527 del 2019; Cass. n. 27094 del 2011).
1.5. Come recentemente chiarito, dunque, dalle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. ordinanza n. 20013 del 2024), in tema di revocazione delle pronunce della Corte di cassazione, l’errore rilevante ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c. : a) consiste nell’erronea percezione dei fatti di causa che abbia indotto la supposizione dell’esistenza o dell’inesistenza di un fatto, la cui verità è incontestabilmente esclusa o accertata dagli atti di causa (sempre che il fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito terreno di discussione delle parti); b) non può concernere l’attività interpretativa e valutativa; c) deve possedere i caratteri dell’evidenza assoluta e dell’immediata rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti di causa; d) deve essere essenziale e decisivo; e) deve riguardare solo gli atti interni al giudizio di cassazione e incidere unicamente sulla pronuncia della Corte.
1.6. Poste tali premesse, questa Corte, con l’ordinanza indicata in epigrafe, ha in parte qua affermato quanto segue:« … per quanto concerne
la pretesa violazione dell’art. 5 del d.lgs. 504/92 (il quale dispone che “per i fabbricati classificabili nel gruppo catastale D, non iscritti in catasto, interamente posseduti da imprese e distintamente contabilizzati, fino all’anno nel quale i medesimi sono iscritti in catasto non attribuzione di rendita, il valore è determinato, alla data di inizio di ciascun anno solare ovvero, se successiva, alla data di acquisizione, secondo i criteri stabiliti nel penultimo periodo del comma 3, dell’articolo 7 del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, applicando i seguenti coefficienti: …”), la doglianza della contribuente è infondata in quanto, ricordato che ai sensi del penultimo periodo del comma 3 del predetto art. 7 d.l. 333/92, “per le unità immobiliari classificate o classificabili nel gruppo D possedute nell’esercizio d’impresa, il valore è costituito dall’ammontare, al lordo delle quote di ammortamento, che risulta dalle scritture contabili …”, la sentenza impugnata, laddove ha riconosciuto che il valore dell’impianto eolico era stato determinato nella misura per cui esso specificamente (non il ramo d’azienda poi ceduto e di cui esso faceva parte) risultava iscritto nel bilancio della società ricorrente, ha pienamente applicato la legge…».
1.7. La Commissione tributaria regionale, nella sentenza in oggetto, aveva dunque evidenziato quanto segue: «… Poiché il Parco eolico rientra nella categoria ‘D1’, in mancanza di accatastamento, formalmente richiesto, correttamente il Comune ha provveduto a determinare la base imponibile ICI secondo quanto previsto dall’articolo 5, comma 3°, del D.lgs. n. 504/1992, ovvero in base al valore contabile del parco eolico ottenuto dalla lettura dell’atto pubblico di ‘conferimenti di rami d’azienda in esecuzione di deliberazioni di aumento di Capitale Sociale’ del 30/06/2009 del notaio NOME COGNOME Cesena, con cui la società aveva apportato il proprio ramo d’azienda, costituito dal parco eolico in oggetto. Dalla perizia di stima di parte del dott. NOME COGNOME si rileva che il valore contabile dell’impianto eolico di Alberona è pari ad Euro 42.568.000 ed in base a tale valore, la società appellante ha iscritto nel proprio bilancio il valore della partecipazione nella società RAGIONE_SOCIALE e, sempre in base a tale valore,
la società RAGIONE_SOCIALE ha visto sottoscritte le quote di partecipazione e iscritto nel proprio stato patrimoniale il valore contabile del parco eolico».
1.8. Da quanto esposto emerge dunque l’insussistenza del lamentato errore di fatto dell’ordinanza impugnata, atteso che il valore del parco eolico era stato effettivamente determinato sulla scorta di quanto riportato nelle scritture contabili della società, e precisamente nel bilancio, nella parte in cui era stato iscritto il valore della partecipazione nella società RAGIONE_SOCIALE alla quale era stato conferito, in sede di operazione straordinaria di aumento di capitale, il ramo d’azienda costituito dal Parco eolico in oggetto sulla scorta della relativa perizia di stima notarile.
Il proposto ricorso, pertanto, deve essere respinto.
Le spese tra la ricorrente ed il Comune seguono la soccombenza con liquidazione come da dispositivo, mentre non vi è luogo a provvedere alle spese di lite nei confronti dell’Agenzia delle entrate, rimasta intimata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del Comune controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.800,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, se dovuti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater, del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, tenutasi in modalità da