Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22229 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22229 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 01/08/2025
Revocazione
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17494/2024 R.G. proposto da:
NOME COGNOME rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso per revocazione, e ad esso congiunta, dall’avv. NOME COGNOME con indicazione di indirizzo pecEMAIL
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore p.t ., domiciliata in ROMA, alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis ;
– controricorrente –
nonché
AGENZIA DELLE ENTRATE-RISCOSSIONE
-intimata-
per la revocazione dell ‘ ordinanza della Corte di cassazione n. 14684/2024, pubblicata in data 27 maggio 2024: udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4 luglio 2025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME impugnava l’avviso di presa in carico per l’avvio dell’attività di riscossione notificatogli per intervenuta definitività dell’avviso di accertamento presupposto.
In particolare, denunc iava sia l’omessa notifica dell’atto presupposto sia l’inesistenza della notifica dell’atto impugnato perché notificato ad un indirizzo privo di qualsivoglia collegamento del contribuente. L’avviso era invero stato notificato in data 02 /05/2014 in INDIRIZZO a Milano, sebbene il contribuente fosse residente in Gran Bretagna a far data dal 2007. Censurava poi la carenza di motivazione dell’avviso e il difetto di allegazione dell’atto presupposto.
Costituitosi l’Ufficio, la CTP accoglieva il ricorso.
Ricorreva in appello l’Ufficio, rilevando come il contribuente fosse ancora fiscalmente residente in Italia, avendo omesso di comunicare la variazione del suo domicilio all’estero.
Costituitosi il contribuente, la CTR accoglieva il gravame riformando la decisione di primo grado sulla scorta della giurisprudenza relativa al l’ iter notificatorio del contribuente in Italia, ossia con notifica perfezionatasi a mani del portiere dello stabile, cui aveva poi fatto seguito l’invio della seconda lettera raccomandata.
Il contribuente proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello sulla base di due motivi, cui resisteva l’Amministrazione finanziaria con controricorso , mentre rimaneva intimato l’Agente della Riscossione .
Questa Corte, con l’ordinanza in epigrafe indicata, rigettava il ricorso.
Contro tale ordinanza il contribuente ha proposto ricorso per revocazione affidato a cinque motivi, a cui ha resistito con controricorso la sola Agenzia delle entrate , mentre è rimasta intimata L’ADER .
Il ricorso è stato fissato per l’adunanza camerale del 4 luglio 2025.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Appare opportuno premettere all’esame dei motivi i costanti principi espressi da questa Corte in tema di revocazione.
1.1. L’art. 391bis c.p.c. stabilisce che «Se la sentenza pronunciata dalla Corte di cassazione è affetta da errore di fatto ai sensi dell’articolo 395, numero 4), la parte interessata può chiederne la revocazione».
Quest’ultima disposizione prescrive che «Le sentenze pronunciate in grado d’appello o in unico grado possono essere impugnate per revocazione se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa» e precisa che «Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare».
1.2. La consolidata giurisprudenza di questa Corte ha perimetrato l’errore di fatto tracciandone, in primo luogo, il confine rispetto alla violazione o falsa applicazione di norme di diritto sostanziali o processuali, laddove l’errore di fatto riguarda solo l’erronea presupposizione dell’esistenza o dell’inesistenza di fatti considerati nella loro dimensione storica di spazio e di tempo, non potendosi far rientrare nella previsione il vizio che, nascendo ad esempio da una falsa
percezione di norme che contempli la rilevanza giuridica di questi stessi fatti, integri gli estremi dell’ error iuris , sia che attenga ad obliterazione delle norme medesime, riconducibile all’ipotesi della falsa applicazione, sia che si concreti nella distorsione della loro effettiva portata, riconducibile all’ipotesi della violazione. Resta, quindi, esclusa dall’area del vizio revocatorio la sindacabilità di errori formatisi sulla base di una pretesa errata valutazione o interpretazione di fatti, documenti e risultanze processuali che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico giuridico, perché siffatto tipo di errore, se fondato, costituirebbe un errore di giudizio, e non un errore di fatto (Cass., Sez. U., 27/12/2017, n. 30994, e Cass., Sez. U., 11/04/2018, n. 8984).
In sintesi, la combinazione dell’art. 391bis e dell’art. 395 n. 4 non prevede come causa di revocazione della sentenza di cassazione l’errore di diritto sostanziale o processuale e l’errore di giudizio o di valutazione.
1.3. L’errore di fatto previsto dall’art. 395, n. 4, c.p.c., poi, deve consistere, al pari dell’errore revocatorio imputabile al giudice di merito, nell’affermazione o supposizione dell’esistenza o inesistenza di un fatto la cui verità risulti invece, in modo indiscutibile, esclusa o accertata in base al tenore degli atti o dei documenti di causa; deve essere decisivo, nel senso che deve esistere un necessario nesso di causalità tra l’erronea supposizione e la decisione resa; deve presentare i caratteri della evidenza ed obiettività; infine, non deve cadere su un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata (Cass. 28/02/2007, n. 4640; Cass. 20/02/2006, n. 3652; Cass. 11/04/2001, n. 5369).
1.4. Occorre ancora evidenziare che, con riguardo al sistema delle impugnazioni, la Costituzione non impone al legislatore ordinario altri vincoli oltre a quelli, previsti dall’art. 111 Cost., della ricorribilità per
cassazione per violazione di legge di tutte le sentenze ed i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari e speciali, e che non appare irrazionale la scelta del legislatore di riconoscere ai motivi di revocazione una propria specifica funzione, escludendone gli errori giuridici e quelli di giudizio o valutazione, proponibili solo contro le decisioni di merito nei limiti dell’appello e del ricorso per cassazione (Cass. 16/09/2011, n. 18897). Gli approdi nomofilattici sopra ricostruiti trovano riscontro univoco nella giurisprudenza costituzionale (Corte Cost. n. 17 del 1986; Corte Cost. n. 36 del 1991; Corte Cost. n. 207 del 2009), laddove essa segue il percorso evolutivo del contenimento del rimedio revocatorio per le decisioni di legittimità ai soli casi di «sviste» o di «puri equivoci» e nega rilievo a pretesi errori di valutazione, così recependo il ristretto ambito dell’errore di fatto previsto dell’art. 395, n. 4, c.p.c.
1.5. Dunque l’interpretazione non solo letterale e sistematica, ma pure quella costituzionalmente orientata, degli artt. 391bis e 395 n. 4 portano a non ammettere la revocazione delle decisioni di legittimità della Corte di cassazione per pretesi errori giuridici (sostanziali o processuali) oppure circostanziali, diversi dalla mera svista su fatti non resi oggetto di controversia, rispondendo la «non ulteriore impugnabilità in generale» all’esigenza, tutelata come primaria dalle stesse norme della Carta fondamentale della CEDU, di conseguire l’immutabilità e definitività della pronuncia all’esito di un sistema variamente strutturato (Cass. 29/04/2016, n. 8472).
1.6. Con particolare riferimento alla deduzione di un errore nella lettura degli atti interni al giudizio di cassazione, le Sezioni unite, con la sentenza n. 31032/2019, hanno precisato che l’impugnazione per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione è ammessa nell’ipotesi di errore compiuto nella lettura degli atti interni al giudizio di legittimità, errore che presuppone l’esistenza di divergenti
rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti di causa; pertanto, è esperibile, ai sensi degli artt. 391bis e 395, primo comma, n. 4, c.p.c., la revocazione per l’errore di fatto in cui sia incorso il giudice di legittimità che non abbia deciso su uno o più motivi di ricorso, ma deve escludersi il vizio revocatorio tutte le volte in cui la pronunzia sul motivo sia effettivamente intervenuta, anche se con motivazione che non abbia preso specificamente in esame alcune delle argomentazioni svolte come motivi di censura del punto, perché in tal caso è dedotto non già un errore di fatto (quale svista percettiva immediatamente percepibile), bensì un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso e, quindi, un errore di giudizio, in cui la revocazione non è ammissibile essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione (Cass. 29/03/2022, n. 10040).
L’errore , quindi, può anche cadere sul contenuto degli atti processuali oggetto di cognizione del giudice ma deve trattarsi di una mera svista di carattere materiale e meramente percettivo, riferita a fatti univocamente e incontestabilmente percepibili nella loro ontologica esistenza e insuscettibili di diverso apprezzamento, non potendo rilevare un errore che implichi un benché minimo margine di apprezzamento o di valutazione o di giudizio per la sussunzione del fatto (Cass., Sez. U., 16/11/2016, n. 2336; Cass. 25/05/2018, n. 13140).
Non è, quindi, idonea ad integrare errore revocatorio, rilevante ai sensi ed agli effetti di cui agli artt. 391bis e 395, n. 4) c.p.c., la valutazione, ancorché errata, del contenuto degli atti di parte e della motivazione della sentenza impugnata. Analogamente rientra nell’attività valutativa, inidonea a integrare errore revocatorio, l’interpretazione del significato della sentenza impugnata, della quale
la Corte di legittimità dà conto in motivazione (Cass. 27/04/2018, n. 10184).
I nfine, d’altro canto, rientra fra i requisiti necessari della revocazione che il fatto oggetto della supposizione di esistenza o inesistenza non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciarsi; pertanto, non è configurabile l’errore revocatorio qualora l’asserita erronea percezione degli atti di causa abbia formato oggetto di discussione e della consequenziale pronuncia a seguito dell’apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dal giudice (Cass. 04/04/2019, n. 9527).
1.6. Il carattere d’impugnazione eccezionale della revocazione, prevista per i soli motivi tassativamente indicati dalla legge, comporta l’inammissibilità di ogni censura non compresa nel novero di quelle indicate (Cass. 07/05/2014, n. 9865).
Tutto ciò premesso, si rileva che con il primo motivo, proposto ai sensi degli artt. 391bis c.p.c. e 395, quarto comma, c.p.c., il ricorrente deduce l’ errore revocatorio sulla collocazione temporale della notifica che ha inciso sul ragionamento della Corte nell’ordinanza impugnata, tanto da indurla a ritenere l’ultrattività del primo domicilio in Italia, ex artt. 58, comma 5, e 60 del d.P.R. n. 600/1973.
Con il secondo motivo di revocazione proposto ai sensi degli artt. 365 ss., 375, primo comma, n. 5, 391bis e 395, quarto comma, c.p.c., si denuncia un errore revocatorio sulla sussistenza di una «deduzione/eccezione/domanda/contestazione» circa la violazione dell’art. 58 e 60 da parte dell’Agenzia delle Entrate , poiché questa Corte avrebbe -nella pronuncia qui gravata – presupposto sussistente un ‘eccezione dell’Agenzia delle Entrate circa la violazione di tale norma .
2.1. I due motivi vanno esaminati congiuntamente e sono inammissibili, in quanto si fondano su una non corretta lettura dell ‘ ordinanza impugnata.
Essi assumono che dall’affermazione in essa contenuta e per cui «in forza della previsione dell’art. 58 comma 5 del DPR 600 del 1973, andava effettuata dall’Amministrazione finanziaria entro il sessantesimo giorno successivo alla data dell’avvenuta variazione anagrafica e, soltanto dopo questa data al domicilio estero, ai sensi dell’art. 142 c.p.c. », sarebbe evincibile una ricostruzione del fatto storico diversa da quella pacificamente emergente dagli atti, in quanto nel caso concreto la notifica dell’avviso di accertamento non era avvenuta entro i 60 giorni dalla variazione anagrafica (primo motivo); inoltre, la contestazione dell’ufficio non era relativa alla previsione dell’art. 58,comma 5, citato (secondo motivo).
In realtà, come emerge dalla lettura dell ‘o rdinanza, tale passaggio è contenuto nella parte della decisione in cui viene integralmente riportato il testo di un precedente (e cioè Cass. n. 13126/2019), mentre appare evidente che la Corte abbia perfettamente inquadrato il fatto storico allorquando poi, nella quinta pagina nella ricostruzione della fattispecie concreta, evidenzia che al tempo della notifica il contribuente era iscritto all’AIRE da tre anni.
Con il terzo motivo di revocazione, proposto ai sensi degli artt. 391bis c.p.c. e 395, quarto comma, c.p.c., si deduce l’errore revocatorio, consistente nella falsa presupposizione che la fattispecie de qua fosse collocata temporalmente in un momento in cui non poteva trovare applicazione la sentenza della Corte Costituzionale n. 366/2007, in quanto il rapporto intercorso con l’Agenzia delle Entrate doveva considerarsi concluso; la Corte avrebbe, cioè, presupposto falsamente che l’ iter notificatorio dell’avviso di accertamento n. T9D013D04742/2013 fosse stato definitivamente completato prima della pronuncia della Corte Costituzionale n. 366 del 07/11/2007, sicché la statuizione di illegittimità costituzionale non avrebbe potuto trovare applicazione nel caso di specie,
3.1. Anche tale motivo è inammissibile per ragioni analoghe a quelle esposte nell’esame dei primi due motivi; risulta infatti censurata una parte della decisione laddove viene trascritto il testo di altra decisione, indicata per la rilevanza dei principi giuridici affermati, peraltro estrapolando una sola parte della citazione.
Del resto nessun elemento della decisione lascia intendere che la Corte abbia ritenuto avvenuta prima del 2007 la notificazione in questione.
Con il quarto motivo di revocazione, proposto ai sensi degli artt. 391bis e 395, quarto comma, c.p.c., si deduce che la Corte abbia deciso la controversia sottoposta al suo vaglio partendo dall’erronea presupposizione che il contribuente avesse eletto domicilio in Italia e/o che avesse indicato un domicilio italiano all’interno della dichiarazione dei redditi; evidenzia, infatti, che la dichiarazione dei redditi non era mai stata prodotta in giudizio e che la causa verteva sulla necessità o meno di comunicare l’avvenuta iscrizione all’AIRE .
Con il quinto motivo di revocazione, proposto ai sensi degli artt. 391bis e 395, quarto comma, c.p.c., si deduce che per un abbaglio dei sensi la Corte ha erroneamente ritenuto di doversi pronunciare sugli effetti di una (insussistente) elezione di domicilio in Milano, contenuta nella dichiarazione dei redditi, benché tale circostanza non fosse stata oggetto del giudizio, in alcun grado.
4.1. I due motivi vanno esaminati congiuntamente e sono anch’essi inammissibili in entrambi i profili censori.
Il primo risulta mal posto in quanto la questione del domicilio non è stata valutata dalla Corte in base alle risultanze probatorie evidenziate dal ricorrente, e del resto ciò neanche sarebbe potuto avvenire, avendo invece la CTR affermato che la notifica era avvenuta nel «domicilio di Milano», evidentemente recependo le difese dell’ Amministrazione, che aveva sostenuto che la parte avesse ancora
il domicilio fiscale in Italia, anche alla stregua delle risultanze dell’anagrafe tributaria , il che deve anche far escludere che il fatto sia stato introdotto solo nel giudizio di cassazione.
La Corte ha, sul punto, osservato che «l’avviso di accertamento è stato ricevuto dal portiere al domicilio fiscale in Milano, con successiva spedizione di raccomandata informativa, dove poi è stato notificato anche l’atto di presa in carico, poi regolarmente impugnato dal contribuente nei termini come accertato dalla CTR», cui consegue che «la notifica possa ritenersi validamente eseguita avendo la parte spiegato tempestive difese».
La questione della necessità o meno della comunicazione della iscrizione all’AIRE è evidentemente , infine, questione di diritto, non deducibile come errore revocatorio.
In definitiva, per tutte le complessive ragioni esposte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Alla soccombenza segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite unicamente in favore dell’Agenzia delle entrate che ha svolto attività difensiva.
Occorre, infine, dare atto – a i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012 – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento delle spese, in favore dell’Agenzia delle entrate, nella misura di euro 5.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
A i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 4 luglio 2025.