Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6049 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 6049 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 06/03/2025
REVOCAZIONE
sul ricorso iscritto al n. 7196/2020 del ruolo generale, proposto
DA
COGNOME NOME (codice fiscale CODICE_FISCALE, nato a Forlì il 24 agosto 1973, rappresentato e difeso, in ragione di procura speciale e nomina poste in calce al ricorso, dall’avv. NOME COGNOME (codice fiscale CODICE_FISCALE.
– RICORRENTE –
CONTRO
il COMUNE DI COGNOME (codice fiscale CODICE_FISCALE, con sede alla INDIRIZZO in persona del Sindaco pro tempore , NOME COGNOME autorizzato in forza di deliberazione di Giunta comunale del 27 febbraio 2020, n. 35, rappresentato
e difeso, in ragione di procura speciale e nomina poste in calce al controricorso, unitamente e disgiuntamente, dagli avv.ti NOME COGNOME (codice fiscale CODICE_FISCALE), NOME COGNOME (codice fiscale CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME (codice fiscale CODICE_FISCALE.
– CONTRORICORRENTE – per la revocazione della sentenza della Corte di cassazione n. 19197/2019, depositata il 17 luglio 2019, non notificata.
UDITA la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME all’udienza camerale del 3 dicembre 2024.
FATTI DI CAUSA
Con la suindicata sentenza questa Corte -per quanto ora occupa in relazione ai motivi di revocazione – accoglieva il ricorso per cassazione proposto dal Comune di Predappio contro la sentenza n. 1043/2019 della Commissione tributaria regionale dell’Emilia -Romagna , cassava la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigettava gli originari ricorsi del contribuente volti al riconoscimento dell’esenzione dal pagamento dell’ICI per gli anni di imposta 2004/2007, in ragione della dedotta ruralità dei fabbricati oggetto di imposizione.
Tutto ciò, considerando fondato il secondo motivo di impugnazione (« violazione di legge perché l’accatastamento dei fabbricati in D/10 è avvenuto nel 2009 e nel 2010 non in forza del D.L. 70/2011, sicché non può attribuirsi ad esso l’efficacia retroattiva che è connessa alla domanda ed alla messa in atti prevista dal D.L. 70/2011»), assumendo che:
– l’immobile che sia iscritto in catasto dei fabbricati come ‘rurale’, con l’attribuzione della relativa categoria (A/6 o D/10), in conseguenza della riconosciuta ricorrenza dei requisiti previsti dall’art. 9 del D.L. n. 557 del 1993, conv. in legge n. 133 del 1994, non è soggetto all’ICI»;
– il D.L. 70/2011 ha disciplinato le modalità attraverso cui i contribuenti possono fare attribuire agli immobili la categoria A/6 e D/10, con effetto retroattivo ‘in via continuativa a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda”. È però evidente che tale disposizione si riferisce solo alle richieste di classamento presentate con la procedura di cui all’art. 7 del predetto D.L. e non ad altre procedure. In particolare non può riferirsi al caso di specie perché la richiesta di classamento è stata presentata negli anni 2009 e 2010 – e quindi certamente non con le modalità previste da una norma emanata successivamente – i cui effetti non sono assistiti dalla efficacia retroattiva quinquennale prevista dalla citata normativa emanata nel 2011 (cfr. Cass. 12663/2017)» (così nella sentenza impugnata).
NOME COGNOME proponeva ricorso per revocazione contro la predetta sentenza, notificandolo il 17/19/21/25 febbraio 2020, sulla base di quattro motivi, successivamente depositando, in data 11 novembre 2024, memoria ex art. 380bis . 1. c.p.c.
Il Comune di Predappio resisteva con controricorso notificato il 20 marzo 2020, depositando, in data 5 novembre 2024, memoria ex art. 380bis . 1. c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso va dichiarato inammissibile per le ragioni che seguono. E ciò, non senza aver prima ricordato che:
l’errore di fatto previsto dall’art. 395, primo comma, n. 4, c.p.c. (oggetto di richiamo nell’art. 391bis c.p.c.), idoneo a costituire motivo di revocazione, si configura come una falsa percezione della realtà, una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, la quale abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti e documenti, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti o documenti stessi risulti positivamente accertato, e pertanto consiste in un errore meramente percettivo che in nessun modo coinvolge l’attività valutativa del giudice di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività; l’errore revocatorio, pertanto, deve apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche, e non può consistere, per converso, in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, vertendosi, in tal caso, nella ipotesi dell’errore di giudizio (così, anche da ultimo, Cass., Sez. T., 9 settembre 2024, n. 24178, che richiama Cass., Sez. T., 15 dicembre 2022, n. 36870 cit., che richiama ex plurimis , Cass., 29 marzo 2022, n. 10040; Cass., Sez. U., 18 febbraio 2021, n. 4367; Cass., 11 gennaio 2018, n. 442; Cass., 29 ottobre 2010, n. 22171);
-non costituisce, pertanto, errore revocatorio l’interpretazione e la valutazione degli atti di causa (cfr., tra le tante, anche da ultimo, Cass., Sez. II, 28 febbraio 2024, n. 5270) e non costituiscono vizi revocatori eventuali errori di giudizio o di valutazione (cfr., ex multis , così, anche da ultimo,
Cass., Sez. T., 9 settembre 2024, n. 24178, cit., che richiama Cass., Sez. I, 13 dicembre 2023, n. 34854);
-l’errore deve poi avere carattere decisivo, nel senso che senza di esso la decisione sarebbe stata di contenuto diverso (cfr., tra le tante, Cass., Sez. II, 30 maggio 2022, n. 17379) e favorevole a chi invoca l’errore , e cadere su di un punto non controverso tra le parti e cioè su di un punto che non ha costituito oggetto di dibattito tra le parti (cfr. così, anche da ultimo, Cass., Sez. T., 9 settembre 2024, n. 24178, cit., che richiama, ex multis, Cass., Sez. III, 15 marzo 2023, n. 7435).
Con il primo motivo di ricorso il contribuente ha eccepito, ai sensi degli art. 391bis e 395, primo comma, num. 4, c.p.c., l’errore di fatto in cui sarebbe incors a la Corte per aver fondato la decisione sul contenuto precettivo dell’art. 7 d.l. n. 70/2011, laddove sia in primo grado, che in appello, le difese del Comune avevano solo riguardato la portata applicativa dell’art. 42 -bis d.l. 159/2007, in rapporto all’art. 9 d.l. n. 557/1993, senza interessare la questione dell’efficacia retroattiva della presentazione della domanda di variazione catastale, profilo questo che non era stato esaminato nemmeno dal Giudice dell’appello, con conseguente inammissibilità del motivo di ricorso per cassazione, laddove la Corte di legittimità aveva considerato una violazione di legge da parte del Giudice regionale a questi, in realtà, non attribuibile.
2.1. Si tratta di doglianza inammissibile.
Va ricordato che il secondo motivo del ricorso per cassazione aveva riguardato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, num. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 7, comma 2bis , d.l. n. 70/2011, 13, comma 14bis , d.l.
n. 201/2011, 2, comma 5ter , d.l. n. 102/2013, 2 d.m. 26 luglio 2012 ed infine dell’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 546/1992.
La questione dell’operatività o meno dell’applicazione del citato art. 7 d.l. n. 102/2011 era stata, quindi, oggetto di controversia, avendo costituito il contenuto precipuo del secondo motivo di ricorso per cassazione ed è sufficiente tale rilievo, alla luce dei principi sopra esposti, ad escludere la sussistenza dell’errore revocatorio.
2.2. Non va, peraltro, sul punto tralasciato di considerare che detta questione era stata espressamente trattata -diversamente da quanto opinato dal contribuente – dal Giudice regionale nella parte in cui aveva ritenuto fondato il ricorso del contribuente anche in relazione ai beni non censiti in catasto «, in quanto il contribuente ha presentato le domande di variazione catastale nel 2009 e nel 2010 per l’attribuzione delle categorie A/6 e D/10 come stabilito dal comma 2bis dell’art. 7 del DL 70/011 conv. n L. 106/2011 e dal c. 1 del DM 26/07/2012» (così nella parte finale della sentenza n. 1043/9/2017 della Commissione tributaria regionale).
Sennonché, la valutazione del Giudice di merito è stata cassata da questa Corte con la sentenza impugnata, con la quale si è ritenuto, invece, che tali dichiarazioni non potessero riferirsi – per forza di cose – alla procedura prevista dal d.l. n. 70/2011, siccome presentate in tempi anteriori.
Risulta, dunque, palese l’assenza del presupposto fondante la revocazione, emergendo da quanto precede che la questione dibattuta, di natura giuridica, si era sviluppata proprio sull’applicazione del regime agevolativo previsto dall’art. 7 d.l. n. 70/2011.
2.3. In realtà, il motivo tradisce le sue reali ragioni nella parte in cui ha lamentato che nelle controdeduzioni presentate nel giudizio di cassazione che ha dato luogo alla sentenza oggetto di revocazione, il contribuente aveva eccepito l’inammissibilità del ricorso per cassazione (v. pagina n. 7 del ricorso in rassegna) per essersi basato su di una lettura errata della sentenza del Giudice regionale, con ciò involgendo, quindi, una questione valutativa, di interpretazione della decisione e non di fatto, su cui la Corte si è espressa con la pronuncia impugnata.
Con la seconda censura l’istante ha dedotto, ai sensi degli art. 391bis e 395, primo comma, num. 4, c.p.c., l’errore di fatto in cui sarebbe incorsa la Corte per aver accolto il secondo motivo di ricorso presentato dal Comune basandosi sull’assunto che il contribuente non aveva presentato la domanda di variazione ex art. d.l. n. 70/2011, senza però prendere atto che lo stesso non aveva alcun interesse ad inoltrare detta domanda « a motivo del fatto che i fabbricati in contestazione risultavano già accatastati in categoria D/10 già prima dell’entrata in vigore del DL 70/2011» (v. pagina n. 15 del ricorso).
3.1. Anche tale doglianza risulta inammissibile.
Anch’essa, invero, si pone contro la valutazione giuridica compiuta dalla Corte, che è stata risolta, in diritto, considerando come solo la dichiarazione prevista da tale procedura, e non quella presentata dal contribuente, potesse spiegare effetti per il quinquennio antecedente, non essendo concepibile ipotizzare la produzione degli invocati effetti retroattivi sulla base di dichiarazioni presentate prima che il relativo modello procedurale fosse normativamente contemplato.
Insistere ora sul rilievo secondo cui non vi era interesse a presentare la domanda ex art. 7 d.l. n. 70/2011, in quanto i beni erano già accatastati in categoria D/10 sin dall’anno 2009, altro non significa che opporsi alla valutazione della Corte sulla questione giuridica dell’efficacia retroattiva della sola dichiarazione presentata ai sensi del citato decreto legge, emesso dopo l’accatastamento dei beni da parte dell’istante nell’anno 2009, e quindi non riferibile alla procedura già definita dal contribuente, valevole soltanto dalla relativa annotazione e non per i cinque anni anteriori.
Con la terza doglianza il ricorrente ha denunciato, ai sensi degli art. 391bis e 395, primo comma, num. 4, c.p.c., l’errore di fatto in cui sarebbe caduta la Corte per aver fondato la decisione sulla circostanza della mancata presentazione della dichiarazione di variazione, « senza però prendere atto che l’efficacia retroattiva della domanda è limitata ai cinque anni anteriori « cosicché quantomeno per gli anni 2004-2005, anch’essi in contestazione, la mancata presentazione della domanda giammai avrebbe potuto incidere sul riconoscimento della ruralità e per gli effetti sulla debenza dell’ICI» (v. pagina n. 17 del ricorso).
4.1. La contestazione risulta carente di ogni interesse alla sua proposizione e non è, comunque, pertinente ad un errore revocatorio.
Va premesso che il Giudice regionale aveva affermato in parte motiva, senza contestazioni di sorta da parte del ricorrente, che « i fabbricati dei contribuenti vanno assoggettati all’imposta ICI per l’anno 2004 e 2005 a prescindere dall’inoltro della richiesta per il riconoscimento della ruralità a norma del DL. n. 70/2011 dato che l’efficacia retroattiva prevista dalla norma stessa non si estende a tali
periodi di imposta (corte di cass. 6 luglio 2016. N. 13761)», ritenendo, quindi, «il ricorso del contribuente fondato limitatamente agli anni 2006, 2007, 2008, 2009 e 2010 » (benchè l’avviso concernesse solo gli anni 2004/2007, come risulta dall’intestazione della sentenza e dalla seconda riga della parte narrativa della sentenza del Giudice regionale).
La stessa difesa del ricorrente ha richiamato nel ricorso in esame il suindicato passaggio della sentenza della Commissione regionale, considerando «opportunamente evidenziato» (v. pagina n. 17 del ricorso in rassegna) dal Giudice regionale il rilievo della non incidenza della mancata presentazione della citata dichiarazione ai fini del « riconoscimento della ruralità e per gli effetti sulla debenza dell’ICI» (v. pagine nn. 17 e 18 del ricorso) per gli anni 2004/2005.
Ma, se così è e se, dunque, la mancata presentazione della domanda non avrebbe, in ogni caso, potuto incidere sulla debenza dell’ICI pe r i predetti anni 2004/2005, resta indimostrato quale interesse muova ora l’istante alla proposizione del motivo in esame, non potendo ricavarne da esso alcuna utilità.
Così com’è palese la non ipotizzabilità di un errore di fatto revocatorio, avendo la Corte considerato, a monte e con valutazione giuridica di natura assorbente, l’inefficacia retroattiva di una dichiarazione resa negli anni 2009/2010 (e dunque, ove reputata retroattiva, capace di ricomprendere gli anni 2004/2005), siccome non riconducibile al modello procedurale di cui al d.l. n. 70/2011.
Con l’ultima ragione di contestazione il contribuente ha rimproverato alla Corte, sempre ai sensi degli art. 391bis e
395, primo comma, num. 4, c.p.c., l’errore di fatto in cui sarebbe caduta per aver cassato la sentenza senza rinvio, senza considerare che la pretesa ICI aveva riguardato un fabbricato il cui carattere rurale non era in discussione, in ragione del fatto che era stato iscritto in catasto con categoria catastale D/10 sin dall’anno 2000, come riconosciuto dallo stesso Comune e risultante dagli atti interni del giudizio.
5.1. Anche tale contestazione non può ricevere seguito.
Non risulta affatto la circostanza secondo la quale uno dei fabbricati, censiti in categoria D/10 sin dall’anno 2000, era da considerarsi rurale in termini non contestati dal Comune.
Nel ricorso per cassazione, infatti, il Comune dava conto che il giudizio riguardava, nella sostanza, sei fabbricati in relazione alle annualità 2006/2007, cinque dei quali « successivamente (nel 2009-2010) classati in categoria D/10 » (v. pagine nn. 7 ed 8 del ricorso per cassazione) ed uno di essi in A/4.
L’epoca del classamento del bene indicato a pagina 2 del ricorso per cassazione proposta dal Comune (folio 100, p.lla 42, sub. 1, Cat. D/10, località Scopeto, annualità 2004/2007, data di accatastamento 14/7/2000) è stata, quindi, oggetto di esplicita controversia, essendo stato successivamente considerato anch’esso come classato negli anni 2009/2010 e quindi coinvolto (non importa ora se a torto o ragione) nel dibattito processuale, il che esclude l’ipotesi del vizio revocatorio.
Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza.
Non solo. La palese inammissibilità dei motivi di revocazione evidenziano un utilizzo inappropriato dello strumento processuale e, dunque, un suo abuso nell’elaborazione di ragioni consentanee ad un inammissibile quarto grado di giudizio, volto a sovvertire la valutazione compiuta dalla Corte, il che vale a giustificare la condanna al pagamento, in favore del Comune, di una somma equitativamente determinata, ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c.
Tale somma va determinata in misura pari ad una frazione delle spese di lite, oltre interessi legali dalla data di pubblicazione della presente ordinanza (cfr., tra le tante, Cass., Sez. 3^, 4 luglio 2019, n. 17902; Cass., Sez. 3^, 20 novembre 2020, n. 26435; Cass., Sez. 5^, 5 novembre 2021, n. 31870; Cass., Sez. 3^, 26 gennaio 2022, n. 2347; Cass. Sez. U, 28 ottobre 2022, n. 32001; Cass., Sez. 6^-3, 15 febbraio 2023, n. 4725; Cass., Sez. 5^, 12 aprile 2023, n. 9802; Cass., Sez. 5^, 15 giugno 2023, n. 17100; Cass., Sez. T., 29 novembre 2023, n. 33284).
Va, infine, dato atto che sussistono i presupposti di cui all’art 13, comma 1 -quater , d.P.R. n. 115/2002, per il versamento da parte del ricorrente, di una somma pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per il ricorso.
P.Q.M.
la Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in favore del Comune di Predappio nella misura di 3.000,00 € per competenze, oltre al rimborso forfettario delle spese generali ed accessori ed al pagamento
della somma di 200,00 € per esborsi, nonché, ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c., al pagamento, sempre in favore del predetto Comune, della somma di 1.000,00 € equitativamente determinata, oltre interessi legali dalla data di pubblicazione della presente ordinanza.
Dà atto che ricorrono i presupposti di cui all’art 13, comma 1 -quater , d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte del ricorrente, di una somma pari a quella eventualmente dovuta a titolo di contributo unificato per la proposizione del ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 3 dicembre