Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5423 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 5423 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 01/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16283/2024 R.G. proposto da : ASSOCIAZIONE SPORTIVA DILETTANTISTICA COGNOME RAGIONE_SOCIALE OF COGNOME, COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO
DEI PORTOGHESI, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso ORDINANZA di CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE ROMA n. 12107/2024 depositata il 06/05/2024. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/12/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Dal ricorso per revocazione che ne occupa, in punto di fatto, si apprende quanto segue:
La RAGIONE_SOCIALE è un’associazione sportiva dilettantistica che ha come scopo istituzionale l’insegnamento, la promozione e la diffusione della danza .
A seguito dell’autorizzazione rilasciata dal PM , la Guardia di Finanza -Tenenza di Castelfranco Veneto, il successivo 24.3.2011, effettuava l’accesso presso la sede legale dell’associazione nonché presso l’abitazione del Presidente e di sua moglie .
Iniziava così l’attività investigativa della Guardia di Finanza di Castelfranco Veneto nei confronti dell’ASD RAGIONE_SOCIALE. Tale verifica culminava con la notifica, in data 3.5.2011, del PVC n. 677/2011. Successivamente, sulla scorta di quanto riportato nel PVC della Guardia di Finanza e altresì negli allegati a quest’ultimo, l’Agenzia delle Entrate -Direzione Provinciale di Treviso notificava tra il 2012 e il 2014 a Cinderella School of Ballet, nonché a tutti i componenti del Consiglio Direttivo, n. 6 avvisi di accertamento con i quali contestava, in relazione agli anni d’imposta 2006, 2007, 2008, 2009 e 2010 l’asserito omesso versamento di IRES ed IRAP, la pretesa omessa dichiarazione e l’asserito omesso versamento di IVA, il preteso mancato rilascio di alcuni scontrini fiscali/ricevute fiscali, l’asserita omessa registrazione di operazioni attive e la pretesa omessa tenuta delle scritture contabili obbligatorie. Il valore complessivo della ripresa fiscale, per imposte, interessi e sanzioni, ammontava a Euro 262.761,61.
Tali contestazioni si fondavano sull valutazione secondo cui solo formalmente COGNOME avrebbe assunto la veste di associazione
sportiva dilettantistica svolgendo, in concreto, attività di prestazione di servizi .
In relazione alle annualità d’imposta 2007 e 2008 è stata emessa da Codesta Corte l’ordinanza 5823/2023, di accoglimento del ricorso per cassazione a suo tempo proposto ed ora pende giudizio di rinvio avanti la CGT 2° grado del Veneto .
l giudizio in esame trae origine dall’impugnazione di due avvisi di accertamento, con i quali l’Agenzia delle Entrate -Direzione Provinciale di Treviso, con riferimento agli anni di imposta 2009 e 2010, pretendeva dagli odierni ricorrenti il pagamento di ingenti somme di danaro, a titolo di imposte .
All’udienza dell’1.12.2014 venivano riuniti i due procedimenti e all’esito della discussione veniva emessa la sentenza n. 915/02/14, depositata il 15.12.2014 , con la quale i giudici trevigiani, rigettando i ricorsi e compensando le spese,
-accoglievano l’eccezione di giudicato esterno formulata dall’Ufficio «essendo la sentenza n. 74/06/2013 della C.T.P. di Treviso, relativa alla fattispecie identica per l’anno d’imposta 2006 passata in giudicato»;
-rilevavano che «la C.T.R. di Venezia con la sentenza n. 1440/08/2014 depositata in data , pronunciandosi in relazione alla presente eccezione dell’Ufficio circa la sussistenza del giudicato esterno, lo riconosceva affermando che ‘argomentazione assorbente nella decisione è l’oggettiva sussistenza del giudicato esterno, relativo al contenzioso per l’anno 2006» .
Avverso la sentenza resa dalla CTP di Treviso proponevano gravame l’ASD COGNOME e i componenti del Consiglio Direttivo
-difetto di motivazione;
-assenza dei presupposti individuati dalla stessa Agenzia delle Entrate nella circolare n. 9 del 24.4.2013 per ritenere che l’associazione sia stata retta senza l’osservanza dei principi di democraticità;
-applicazione generalizzata del giudicato formatosi in relazione all’anno d’imposta 2006 ed omessa considerazione che ciascun periodo di imposta è autonomo e va singolarmente considerato.
Si costituiva nel giudizio d’appello l’Agenzia delle Entrate -Direzione Provinciale di Treviso prendendo posizione sulle censure mosse alla sentenza trevigiana e rinnovando l’eccezione di giudicato esterno .
A seguito della discussione in pubblica udienza del 3.7.2015, la sezione 7ª della Commissione Tributaria Regionale di Venezia Mestre con
la sentenza n. 1375/2015, pronunciata in pari data e depositata il successivo 14.9.2015, respingeva l’appello .
Con ricorso notificato in data 16 -18.3.2016 gli odierni ricorrenti impugnavano avanti a Codesta Corte di Cassazione la sentenza resa dalla CTR Veneto sulla scorta dei seguenti motivi :
«Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 e 2909 c.c., 115, 116 e 324 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c.»;
«Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 e 2909 c.c., 115, 116 e 324 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c.»;
«Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 7 e 148 dpr 917/86, 90 l. 289/2002 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c.»;
«Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c.»;
«Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 36, comma 2, n. 4 D.Lgs. n. 546/1992 in combinato disposto con l’art. 111, comma VI Cost., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c.».
Di interesse particolare, ai fini che qui ci occupano, il motivo n. 3 speso dai ricorrenti.
L’Agenzia delle Entrate rimaneva intimata.
Con ordinanza n. 12107 del 24/01/2024, pubblicata il 06/05/2024, la Sez. 5 Civ. di questa Suprema Corte rigettava il ricorso, così testualmente motivando:
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 e 2909 c.c., 115, 116 e 324 c.p.c. in mancanza tra gli atti di causa di copia autentica della sentenza n. ’76/06/2013′.
Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 e 2909 c.c., 115, 116 e 324 c.p.c., in quanto gli elementi richiamati dalla CTR erano diversi da quelli accertati con l’asserito giudicato esterno.
Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 7 e 148 d. P. R. n. 917/1986 e 90 l. n. 289/2002, in quanto la CTR aveva esteso gli accertamenti di cui alla sentenza della CTP per il 2006 ai successivi anni di imposta caratterizzati, però, da condizioni di fatto diverse, in quanto l’Associazione si era iscritta all’AICS, convocava le assemblee, redigeva i bilanci annuali e non perseguiva alcuno scopo di lucro.
Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. in quanto l’Ufficio, che aveva l’onere di provare quanto affermato nell’atto impositivo, non aveva prodotto nel giudizio né il PVC né i suoi allegati, cosicché gli accertamenti in fatto svolti nella sentenza impugnata, fondati soltanto sulle deduzioni dell’Agenzia, erano privi di qualunque supporto probatorio.
Con il quinto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 36 comma 2 n. 4 d.lgs. n. 546/1992 in combinato disposto con l’art. 111 comma 6 Cost. in quanto la sentenza era viziata da motivazione apparente.
Deve prioritariamente esaminarsi quest’ultimo motivo, che è infondato.
6.1. Non essendo più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” .
6.2. In questo caso, la motivazione esiste e raggiunge il minimo costituzionale, rendendo chiaramente intelligibili le ragioni della decisione: da un lato, si evidenzia il ‘giudicato esterno’ costituito dalla precedente pronunzia sull’avviso di accertamento per l’anno 2006 della CTP di Treviso e, d’altro lato, si accertano una serie di elementi fattuali che, secondo la CTR, «non risultano variati nelle annualità 2009/2010». Pertanto, la CTR afferma «pienamente applicabile al caso in esame il principio del ‘giudicato esterno’, come definito dai giudici di primo grado», ritenendo, inoltre, che, «in ogni caso, in base agli elementi indicati (..) la ‘RAGIONE_SOCIALE School of ballet’ anche per le annualità in esame abbia svolto attività commerciale».
Emergono, quindi, due distinte rationes decidendi, ciascuna di per sé sufficiente a sorreggere la soluzione adottata, con il conseguente onere del ricorrente di impugnarle entrambe, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione (Cass. n. 17182 del 2020): in questo caso, il primo, il secondo e il terzo motivo aggrediscono la prima ratio, fondata sul giudicato esterno, mentre il quarto motivo aggredisce la seconda, riguardante l’autonomo accertamento dei presupposti fattuali della natura di società commerciale della Associazione anche nel corso degli esercizi 2009 e 2010.
Orbene, il primo motivo è fondato, dal momento che non risulta la produzione della sentenza in copia autentica con attestato di passaggio in giudicato, per cui non sussistono i presupposti per affermare la sussistenza di un giudicato esterno (Cass. n. 21469 del 2013; Cass. n. 6024 del 2017), restando così assorbiti il secondo e terzo motivo.
Il quarto motivo, invece, è, per un verso, inammissibile e, per altro verso, infondato.
9.1. Va premesso che la produzione del processo verbale di constatazione non rappresenta un adempimento imprescindibile del processo tributario. In primo luogo, dalla sua mancata produzione non deriva l’inammissibilità del ricorso . Nel processo tributario il PVC rileva come mezzo di prova, rimesso quindi all’onere dispositivo delle parti e salvo l’esercizio dei poteri officiosi del giudice ex art. 7 d.lgs. cit. (Cass. n. 35393 del 2019). A questa stregua, in situazioni di oggettiva incertezza il giudice, in funzione integrativa degli elementi istruttori in atti e non per sopperire ad una carenza istruttoria delle parti, può ordinare la produzione del PVC richiamato nell’avviso impugnato e non prodotto (Cass. n. 16476 del 2020; Cass. n. 12383 del 2021; Cass. n. 955 del 2016), salvo il caso in cui il materiale probatorio acquisito agli atti imponga una determinata soluzione della controversia (Cass. n. 24464 del 2006). Peraltro, non può essere «affermato come principio assoluto» che dalla mancata produzione del PVC derivi una carenza di prova a carico dell’Ufficio, perché «la situazione deve essere distinta in relazione ad ogni caso» (Cass. n. 16476 del 2020 in motivazione), spettando al giudice la decisione iuta alligata et probata (Cass. n. 35393 del 2019 in motivazione).
9.2. Invero, secondo l’art. 115 c.p.c., come sostituito dall’art. 45 comma 14 della l. n. 69/2009, il giudice può porre a fondamento della decisione i fatti che non sono stati specificamente contestati: in altri termini, la parte è sollevata dall’onere di provare il fatto non specificamente contestato (Cass. n. 16028 del 2023), perché la mancata contestazione conferisce al fatto carattere non controverso e «rende superflua la prova» (Cass. n. 8213 del 2013). Ciò costituisce principio generale del processo, suscettibile di essere applicato anche nel giudizio tributario, seppure al netto della specificità dettata dalla non disponibilità dei diritti controversi nel processo de quo; va precisato che esso concerne esclusivamente il piano (probatorio) dell’acquisizione del fatto non contestato, ove il giudice non sia in grado di escluderne l’esistenza in base alle risultanze ritualmente assunte nel processo . Nel processo
tributario, in coerenza con la veste di attore in senso sostanziale dell’Ufficio la cui pretesa impositiva è quella risultante dall’atto impugnato, sia per il petitum che per la causa petendi, costituita quest’ultima dai presupposti di fatto e di diritto posti a fondamento di quell’atto (Cass. n. 17231 del 2019), i fatti su cui si fonda la domanda sono contenuti nell’avviso di accertamento (o di rettifica); sebbene questo non sia l’atto introduttivo del processo, ne costituisce «l’oggetto (immediato), per lo meno nei casi in cui venga in questione la pretesa fiscale in esso riportata» e «la cognizione del giudice è limitata dai profili che siano stati contestati col ricorso», cosicché i fatti e i profili non contestati col ricorso divengono fatti pacifici sul piano della prova della loro storica esistenza (Cass. n. 2196 del 2015 in motivazione; v. anche Cass. n. 12287 del 2018).
9.3. Quindi, diversamente da quanto ritenuto dai ricorrenti, l’Agenzia ha l’onere di provare non tutto quanto riportato nell’avviso di accertamento ma solo i fatti oggetto di specifica contestazione; riguardo ad essi la doglianza risulta ampiamente carente, limitandosi a riportare «alcuni esempi», tratti oltretutto dalle controdeduzioni erariali nel corso del processo e non dall’avviso di accertamento, in cui l’Ufficio aveva richiamato PVC e allegati, senza però dar conto della posizione assunta dai ricorrenti rispetto alle deduzioni in fatto dell’Agenzia.
Non essendo state inficiate entrambe le rationes su cui si regge la sentenza impugnata, il ricorso va in conclusione rigettato.
I contribuenti in epigrafe, come anticipato, propongono ricorso per revocazione avverso detta ordinanza di questa S.C., affidandosi ad un motivo. Resiste con articolato controricorso l’Agenzia delle entrate. I contribuenti ulteriormente insistono per l’accoglimento del ricorso con memoria telematica.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso si denuncia: ‘Errore di fatto risultante dagli atti e documenti della causa: quello secondo il quale il terzo motivo di ricorso avrebbe aggredito la prima ‘ratio decidendi’ (giudicato esterno) della sentenza e non, invece, la seconda, relativa all’autonomo accertamento dei presupposti fattuali della natura di società commerciale della associazione; la
decisione è fondata sulla supposizione di questo fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa’.
1.1. L’ordinanza impugnata afferma che ‘il primo, il secondo e il terzo motivo aggrediscono la prima ratio, fondata sul giudicato esterno, mentre il quarto motivo aggredisce la seconda’, decidendo che ‘il primo motivo è fondato , restando così assorbiti il secondo e terzo motivo’. ‘La Corte è incorsa, tuttavia, in un evidente errore di fatto derivante da una errata percezione del motivo di ricorso (per cassazione) proposto. Dalla lettura della decisione, infatti, emerge chiaramente da parte del Collegio la affermazione dell’inesistenza o la negazione dell’esistenza di un fatto (che secondo la giurisprudenza più accreditata può consistere in un fatto processuale), cioè la circostanza che vedeva il terzo motivo di ricorso aggredire, delle due rationes decidendi di cui risulta(va) composta la decisione d’appello, quella relativa all’esistenza e all’invocabilità del giudicato esterno e non invece, come è, quella relativa alla natura di società commerciale della ASD. Valga il vero. Si impone come doverosa, a questo punto, la trascrizione dell’intero motivo n. 3 del ricorso per cassazione proposto, bordato in nero per comodità di individuazione: ‘. Segue integrale riproduzione. ‘Ebbene, il fatto che tale motivo non si riferisse alla questione del giudicato esterno era facilmente percepibile sin dalla sua intitolazione . Ma, come è corretto che sia, non volendo soffermarsi solo al titolo del motivo ed andando invece ad analizzarne il contenuto, le conclusioni cui si perviene non possono essere diverse; l’incipit del motivo era perentorio nel disegnare il perimetro della censura: ‘. Seguono riproduzioni per stralci del terzo motivo di ricorso per cassazione e della sentenza d’appello. ‘Appare quindi manifesto che la censura si riferisse alla seconda delle due rationes decidendi individuate dalla Corte, vale a dire quella relativa all’accertamento dei presupposti fattuali circa la reale natura della ASD. Ma se ancora dubbio
potesse esservi, le nebbie dello stesso verrebbero senz’altro dissolte dal contenuto di pag. 16 del ricorso per cassazione, dove i ricorrenti proponevano un chiaro elenco dei documenti, dimessi nei precedenti gradi di giudizio, prodotti a sostegno della conferma della natura di ASD di Cinderella: ‘. Segue fotoriproduzione. ‘Come è possibile evincere dalla ricostruzione sopra operata, quindi, la Corte ha supposto (e affermato) l’inesistenza negli atti di causa di un fatto (quello secondo cui il motivo n. 3, dichiarato assorbito dall’accoglimento del motivo n. 1, si riferisse all’aggressione della prima ratio decidendi, vale a dire quella del giudicato esterno) la cui verità è positivamente stabilita’. ‘La decisività e l’essenzialità dell’errore sono insite in questo: il collegio di legittimità, nel considerare il motivo n. 3 di cassazione come dedicato alla censura della prima delle due rationes decidendi (giudicato esterno), dopo aver accolto il primo motivo, indica il secondo e per l’appunto il terzo ‘assorbit’ e, quindi, non l esamina’. ‘Dalla considerazione, operata dalla Corte, secondo cui il quarto motivo (l’unico, a detta del Collegio, dedicato alla censura della seconda ratio decidendi) è da considerarsi «per un verso inammissibile e per altro verso infondato» (pag. 5 ultima riga) discende poi il rigetto del ricorso’. ‘È evidente invece che, laddove fosse stato preso in esame per ciò che era realmente (vale a dire una critica alla seconda ratio decidendi della sentenza d’appello) il risultato dell’impugnazione sarebbe stato radicalmente diverso. Come si può capire ciò? Semplice, dalle motivazioni per le quali è stato dichiarato infondato il quarto motivo di impugnazione proposto ‘. ‘Quindi, il ragionamento della Corte, ancorché riferito al quarto motivo, è il seguente: il motivo è infondato perché i contribuenti non hanno specificato quali fatti, tra quelli riportati negli avvisi di accertamento, essi abbiano specificamente contestato. Ebbene: a pag. 16 del ricorso per cassazione sono contenute le specifiche
contestazioni che la Corte afferma di non aver rinvenuto nel quarto motivo’.
Il motivo è inammissibile.
Esso, già dal punto di vista linguistico, ed oltremodo da quello concettuale, non allega alcun errore revocatorio, viepiù decisivo e non oggetto di discussione, in cui la Suprema Corte sarebbe incorsa nella sentenza impugnata.
Sulla premessa che il combinato disposto degli artt. 391-bis e 395, n. 4, cod. proc. civ. non prevede come causa di revocazione della sentenza di cassazione l’errore di diritto sostanziale o processuale e l’errore di giudizio o di valutazione (‘né, con riguardo al sistema delle impugnazioni’, come chiarito, ad esempio, da Sez. U, n. 8984 del 2018, ‘la Costituzione impone al legislatore ordinario altri vincoli oltre a quelli, previsti dall’art. 111 Cost., della ricorribilità in cassazione per violazione di legge di tutte le sentenze ed i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari e speciali, sicché non appare irrazionale la scelta del legislatore di riconoscere ai motivi di revocazione una propria specifica funzione, escludendo gli errori giuridici e quelli di giudizio o valutazione, proponibili solo contro le decisioni di merito nei limiti dell’appello e del ricorso per cassazione, considerato anche che, quanto all’effettività della tutela giurisdizionale, la giurisprudenza europea e quella costituzionale riconoscono la necessità che le decisioni, una volta divenute definitive, non possano essere messe in discussione, onde assicurare la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, nonché l’ordinata amministrazione della giustizia’), Sez. U, n. 23306 del 2016, ha espressamente rammentato come, per diritto e giudizio di diritto, debba aversi riguardo unicamente alla sfera di applicazione delle norme, ‘sub specie’, in sintesi, da un lato, dell’individuazione ed interpretazione della norme applicabili e, dall’altro, della sussunzione in esse dei fatti storici, siccome accertati.
Esclusa la ricorribilità in revocazione avverso pronunce di legittimità per errori riguardanti il diritto ed il giudizio di diritto, l’ambito dell’errore revocatorio si riduce, conseguentemente, ai soli casi di ‘sviste’ o ‘puri equivoci’, ad eccezione di errori di valutazione, che invece impingerebbero, essi pure, proprio sulla tipica attività ‘in iure’ della Suprema Corte (cfr. Sez. U, n. 8984 del 2018, che richiama Corte cost. n. 17/1986, n. 36/1991, n. 207/2009).
Le ‘sviste’ di cui innanzi si risolvono classicamente in false (non rappresentazioni, bensì) percezioni della realtà, obbiettivamente ed immediatamente (ossia liquidamente) rilevabili, attinenti all’accertamento o alla ricostruzione della verità o non verità di specifici dati empirici, idonei a dar conto di un accadimento (non interno, ma) esterno al processo (Sez. U, n. 23306 del 2016).
L’errore deve, allora, apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o – men che mai – di indagini o procedimenti ermeneutici (già Sez. U, n. 561 del 2000, cui ‘adde’, per tutte, Sez. U, n. 4413 del 2016).
Ai fini della revocazione, cioè, rileva solo il contrasto tra la rappresentazione di un fatto univocamente emergente dagli atti e dai documenti e la supposizione del medesimo fatto posta a base della decisione del giudice, oltretutto in termini di esclusione reciproca e non di semplice diversità tra l’una e l’altra. È per tale ragione che l’errore revocatorio è rappresentato da un errore percettivo risultante ‘ictu oculi’ dagli atti processuali e tale da aver indotto la stessa Corte di cassazione a fondare la valutazione della situazione processuale sulla supposta inesistenza (od esistenza) di un fatto, positivamente acquisito (od escluso) nella realtà del processo, che, ove invece esattamente percepito, avrebbe determinato una diversa valutazione della situazione processuale, e
non anche nella pretesa errata valutazione di fatti esattamente rappresentati (Sez. U, n. 26022 del 2008).
In ciò si apprezza anche il necessario requisito della decisività dell’errore, nel senso che, ove il giudice se ne fosse avveduto, avrebbe reso una decisione diversa.
È poi essenziale che la questione, asseritamente frutto di errore, non sia stata oggetto di discussione tra le parti, giacché, in tal caso, si verterebbe eventualmente di errore valutativo e non percettivo. Invero, ‘il fatto oggetto della supposizione di esistenza o inesistenza non deve avere costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciarsi: sicché non è configurabile l’errore revocatorio qualora l’asserita erronea percezione degli atti di causa abbia formato oggetto di discussione e della consequenziale pronuncia a seguito dell’apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dal giudice’ (Cass. n. 23306 del 2016).
Alla luce di tali premesse, venendo al caso di specie, nella giurisprudenza di legittimità, già s’è avuto modo di statuire che non può ritenersi inficiata da errore di fatto la pronuncia della S.C. della quale si censuri la valutazione di uno dei motivi del ricorso, ritenendo che sia stata espressa senza considerare le argomentazioni contenute nell’atto d’impugnazione, perché in tal caso è dedotta un’errata considerazione ed interpretazione e quindi un’attività valutativa e non percettiva dell’oggetto di ricorso (Cass., n. 10466 del 2011; Cass., n. 7488 del 2011).
5.1. In sintesi, recentemente, s’è ribadito che ‘in tema di revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, la configurabilità dell’errore revocatorio di cui all’art. 391 bis c.p.c. presuppone un errore di fatto, che si configura ove la decisione sia fondata sull’affermazione di esistenza od inesistenza di un fatto che la realtà processuale induce ad escludere o ad affermare, non anche quando la decisione della Corte sia conseguenza di una
pretesa errata valutazione od interpretazione delle risultanze processuali, essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione’ (Cass. n. 10040 del 2022, in un caso in cui la S.C. ha escluso la rilevanza dell’erroneo accertamento dell’esistenza di un giudicato interno).
5.2. ‘A fortiori’, anche una risposta al motivo di ricorso per cassazione ritenuta insoddisfacente o incompleta -come sostanzialmente paventato nel motivo in disamina -esula dalla nozione di errore revocatorio.
Escluso dunque che, nella specie, sia di per sé allegata e rappresentata l’esistenza di un errore revocatorio, tale non essendo la pretesamente erronea lettura del terzo motivo del ricorso per cassazione da parte della S.C. nell’ordinanza impugnata, v’è solo da aggiungere che un tale errore, per vero, non si configura affatto.
6.1. Il terzo motivo del ricorso per cassazione era letteralmente vertito sulla contestazione dell’esistenza del giudicato esterno ritenuta dalla CTR nella sentenza d’appello. Infatti, nello sviluppo illustrativo, alla cui stregua, evidentemente, deve essere interpretata la rubrica, la ‘violazione e/o falsa applicazione degli artt. 7 e 148 dpr 917/86, 90 l. 289/2002 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c.’ è espressamente collegata all’allegazione secondo cui
all’esito del contenzioso relativo all’anno d’imposta 2006 la CTP di Treviso con la sentenza n. 74/6/2013, dopo aver precisato che «la parte non ha indicato alcun elemento per superare la presunzione dell’Ufficio. Non c’è iscrizione al CONI, non ci sono le domande di affiliazione alla società sportiva dilettantistica (poche domande -5 -senza data certa non sono significative), non ci sono le convocazioni di assemblee, non ci sono partecipazioni a gare o tornei o a dimostrazioni varie delle attività», ha statuito essere l’associazione ricorrente «una società commerciale, che offre servizi, e che quindi sia soggetta al normale regime fiscale» (cfr. pag. 5 e 6 atto controdeduzioni sub doc. 7).
Ebbene, deve ritenersi questa la disposizione invocata con efficacia di giudicato esterno dalla CTR di Venezia.
A detta dei giudici d’appello la persistenza dal 2006 degli elementi riscontrati dai verificatori e «posti a base dell’accertamento» sintomatici della «natura commerciale della ‘RAGIONE_SOCIALE School RAGIONE_SOCIALE‘ » renderebbe infondata l’eccezione di parte ricorrente secondo cui, in virtù del disposto di cui all’art. 7 TUIR, ciascun esercizio avrebbe autonomia nei confronti degli altri.
La conclusione cui è frettolosamente giunta la CTR veneziana, (solo) apparentemente in linea con i principi espressi da codesta Corte a Sezioni Unite con la sentenza n. 13916/2006, ad avviso di chi scrive contrasta con il dogma giurisprudenziale, parimenti espresso in detta decisione, secondo cui l’eventuale giudicato formatosi in un giudizio relativo a un periodo d’imposta può avere efficacia preclusiva nel giudizio relativo al medesimo tributo per altro periodo d’imposta solamente fino a quando la qualificazione degli elementi preliminari per l’applicazione di una specifica disciplina tributaria e per la determinazione in concreto dell’obbligazione «non sia venuta meno fattualmente o normativamente» (cfr. Cass. Civ., S.U., 16.6.2006 n. 13916; Cass. Civ. 30.12.2011 n. 30711).
E dunque, a mente del tenore letterale del terzo motivo del ricorso per cassazione, patentemente vertito sull’insussistenza dei presupposti fattuali per l’estensione comunque del ‘decisum’ in ordine ad un anno d’imposta successivo per asserita variazione delle condizioni riguardanti la contribuente, non offrono ora i contribuenti elementi ulteriori donde desumere che questa S.C., nell’ordinanza impugnata, sia caduta, non già semplicemente in errore, ma in un errore di carattere propriamente percettivo.
7. In definitiva, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con le statuizioni consequenziali come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna i ricorrenti a rifondere all’Agenzia le spese di lite, liquidate in euro 5.900, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso a Roma, lì 4 dicembre 2024.