Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16165 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 16165 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: PAOLITTO LIBERATO
Data pubblicazione: 11/06/2024
RAGIONE_SOCIALE;
-intimata – per la revocazione della ordinanza n. 24339/19, depositata il 30 settembre 2019, della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE; udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 29 aprile 2024, dal AVV_NOTAIO.
Registro Invim Accertamento Ricorso per revocazione
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7825/2020 R.G. proposto da COGNOME NOME e COGNOME NOME, con domicilio eletto in INDIRIZZO INDIRIZZO , presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME ;
-ricorrenti – contro
Rilevato che:
-sulla base di due motivi rescindenti, COGNOME NOME e COGNOME NOME ricorrono per la revocazione della ordinanza n. 24339/19, depositata il 30 settembre 2019, con la quale la Corte ha rigettato il ricorso proposto dagli stessi odierni ricorrenti avverso la sentenza n. 1559/2014, depositata il 18 aprile 2014, della Commissione Tributaria Centrale di Roma che, a sua volta, aveva disatteso il ricorso degli stessi contribuenti avverso avviso di liquidazione emesso per la revoca dei benefici fiscali usufruiti ai sensi della l. 22 aprile 1982, n. 168, art. 3, secondo comma;
1.1 – a fondamento del ricorso per revocazione, i ricorrenti deducono:
nullità ed inesistenza giuridica dell’ordinanza impugnata per violazione dell’art. 132, secondo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., e dell’art. 161, secondo comma, cod. proc. civ. siccome non sottoscritta dal consigliere relatore e, ad ogni modo, per omessa indicazione RAGIONE_SOCIALE conclusioni del pubblico ministero la cui «presenza era necessaria»;
-ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, assumendo che:
«Il DL n. 429/1992, che avrebbe prorogato i termini di decadenza, non può essere applicato al caso in esame in quanto, fa riferimento alla legge n. 289/2002, che prevede la possibilità di richiedere il ‘condono’ per la definizione della controversia anche in materia di imposta di Registro, ma i ricorrenti non hanno mai invocato gli effetti di tale legge che nel caso in esame, non può essere applicata perché non retroattiva»;
« l’unità immobiliare oggetto di ripresa a tassazione non era classata in categoria A/7 al momento della vendita «e come è stato provato con la produzione dell’atto di compravendita (civile abitazione), non esisteva la ‘veranda’ e l’ampliamento eseguito dal
nuovo proprietario edificata dal cessionario dell’immobile, e nessun addebito poteva farsi ai cedenti alla data del 19/10/1992.», così che emergeva, nella gravata pronuncia, un «errore su un fatto che non ha costituito oggetto di discussione tra le parti in quanto, il resistente Ufficio del Registro non si è costituito nel giudizio avanti la Corte di Cassazione e non ha contestato specificamente le difese dei ricorrenti (art. 115 cpc).»;
il debito tributario, ad ogni modo, doveva ritenersi estinto per prescrizione;
-l’RAGIONE_SOCIALE è rimasta intimata.
Considerato che:
l’impugnata ordinanza, nel ripercorrere il contenuto del ricorso per cassazione, ha dato conto della proposizione dei seguenti motivi di ricorso:
«Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art 74 DPR 634/1972 in relazione all’art 19 del DPR 643/1972.
Sostengono in particolare che l’Ufficio del registro sarebbe decaduto dal diritto a richiedere l’imposta suppletiva di registro ritenendo che le varie sospensioni dei termini (D.L. 429/1992) non avrebbero potuto riguardare la compravendita del 1.10.1982 che era stata stipulata 10 anni prima (1.10.1982).
Con un secondo motivo deducono la nullità della sentenza sotto il profilo della carente motivazione nonché la violazione dell’art 3 della legge 1982 nr 168.
Lamentano che l’immobile alla data della registrazione quantunque non accatastato avrebbe presentato caratteristiche che lo avrebbero fatto classificare nella categoria A/3 e che solo successivamente a seguito della variazione catastale avvenuta il 29.7.1985 per ampliamento del bene è stato classificato in A/7.
Osservano che tale variazione di classamento sarebbe successiva alla cessione dell’immobile da parte degli odierni ricorrenti risalente al 1.10.1982 sicché non avrebbe potuto essere richiesta loro l’imposta suppletiva per la decadenza dei benefici fiscali.»;
-in ordine a detti motivi di ricorso, la sentenza ha, poi, rilevato che:
«Il primo motivo è infondato.
L’assunto difensivo, che si basa sull’affermazione che non si applicherebbe la sospensione dei termini per il condono D.L. 429/1992 in quanto l’imposta richiesta è suppletiva e non complementare va disatteso.
Va preliminarmente richiamato, il principio affermato da questa Corte, secondo cui in base al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 42, comma 1, l’imposta di registro liquidata dall’ufficio a seguito dell’accertata insussistenza dei presupposti del trattamento agevolato previsto dal D.L. 7 febbraio 1985, n. 12, (convertito, con modificazioni, nella L. 5 aprile 1985, n. 118) in relazione all’acquisto della “prima casa”, applicato al momento della registrazione dell’atto di trasferimento della proprietà di un bene immobile (nella specie, la natura di abitazione non di lusso dell’immobile trasferito), va qualificata come imposta “complementare”, non rientrando nelle altre specie, positivamente definite, dell’imposta “principale” (in quanto applicata in un momento successivo alla registrazione) e dell’imposta “suppletiva” (in quanto, rivedendo “a posteriori” il criterio di liquidazione in precedenza seguito, non è rivolta ad emendare errori od omissioni commessi dall’ufficio in sede di registrazione) (Cass 2019 nr 1802; Cass 2400/2017; nr 13141/2016).
Dalla natura complementare dell’imposta discende l’applicazione della proroga biennale dei termini per il condono del D.L. 429/1992.
In questa prospettiva giova ricordare che “La proroga di due anni dei termini per la rettifica e la liquidazione della maggiore imposta di registro, ipotecaria, catastale, sulle successioni e donazioni e sull’incremento di valore degli immobili, prevista dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 11, comma 1, in caso di mancata presentazione o inefficacia dell’istanza di condono quanto ai valori dichiarati o agli incrementi di valore assoggettabili a procedimento di valutazione, è applicabile anche all’ipotesi di cui al comma 1 – bis, riguardante la definizione RAGIONE_SOCIALE violazioni relative all’applicazione di agevolazioni tributarie sulle medesime imposte, in quanto, nell’uno e nell’altro caso, l’Ufficio è chiamato a valutare l’efficacia dell’istanza di definizione, cosicché, trattandosi RAGIONE_SOCIALE medesime imposte, sarebbe incongrua l’interpretazione che riconoscesse solo nella prima ipotesi, la proroga dei termini per la rettifica e la liquidazione del dovuto.” (Cass 2017 nr 2889/2017 ;Cass. n. 992/2016; n. 5480/2013; n. 20698/2011; n. 12069/2010; n. 24575/2010, n. 4321/2.009; cfr. anche, in motivazione, Cass. S.U. n. 18574/2016, in tema di applicabilità esclusa – della proroga biennale del termine di accertamento prevista dalla combinazione della L. n. 289 del 2002, art. 11, commi 1 e 1 bis, nel caso di violazioni concernenti la fruizione dell’aliquota agevolata dell’IVA per l’acquisto della prima casa, tributo diverso da quelli ai quali il citato art. 11 fa riferimento).
Ciò posto nel caso di specie è incontestato che l’atto di vendita per il quale è stato richiesto il beneficio fiscale è stato registrato il 19.10.1982 e che l’accatastamento del bene in categoria A/7 è avvenuto in data 8.1.1986.
Correttamente pertanto il Giudice di appello ha escluso la decadenza dell’amministrazione dal potere accertativo dell’imposta non essendo ancora decorsi dal momento della notifica dell’avviso (24.2.1986) i tre anni maggiorati due anni di proroga.
Con riguardo al secondo profilo di censura se ne deve rilevare l’inammissibilità non cogliendo il motivo nei termini in cui è stato dedotto tutte le rationes decidendi dell’impugnata sentenza resa dalla Commissione Tributaria Centrale la quale ha ritenuto non fondate le contestazioni sollevate dai contribuenti in merito alla classificazione in A/7 considerando da un lato che le critiche svolte sul punto implicassero un tipo di valutazione preclusa dall’art. 26 d.p.r. 633/1972 e dall’altro che i contribuenti non avessero specificamente censurato l’affermazione della CT di secondo grado circa la genericità relativamente a tale aspetto RAGIONE_SOCIALE deduzioni ed allegazioni di parte.
Ne consegue che il motivo di ricorso, centrato sulla pretesa carenza di legittimazione passiva dei contribuenti è inammissibile per difetto di interesse e mancanza di decisività, in quanto nessuna contestazione risulta invece focalizzata sulla seconda ratio.
Trova pertanto applicazione il principio secondo il quale “Ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna RAGIONE_SOCIALE quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, in nessun caso potrebbe produrre l’annullamento della sentenza” (Cass 2019 nr 16579; Cass. 9752/2017; Cassazione civile, sez. trib., 10/11/2017, n. 26648 ).»;
-tanto premesso, i due motivi di ricorso per revocazione sono inammissibili;
-quanto al primo motivo -in disparte che, nella fattispecie, si trattava di ordinanza decisoria la cui disciplina (art. 575 cod. proc. civ.) non reca deroga alla regola posta dall’art. 134 cod. proc. civ., quanto alla sottoscrizione del Presidente, e con la prevista (mera) facoltà del pubblico ministero di depositare conclusioni scritte (art. 380bis 1 cod.
proc. civ.) -è del tutto evidente che la parte expressis verbis non fa valere un errore di fatto revocatorio, per tale dovendosi intendere l’errore frutto di una falsa percezione della realtà, una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, la quale abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti e documenti, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti o documenti stessi risulti positivamente accertato, e che pertanto consiste in un errore meramente percettivo che in nessun modo coinvolga l’attività valutativa del giudice di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività; l’errore deve apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche, e non può consistere, per converso, in un preteso, inesatto apprezzamento RAGIONE_SOCIALE risultanze processuali, vertendosi, in tal caso, nella ipotesi dell’errore di giudizio; esso presuppone, quindi, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, RAGIONE_SOCIALE quali una emerge dal provvedimento oggetto di revocazione, l’altra dagli atti e documenti processuali, sempreché la realtà desumibile dal provvedimento non sia frutto di giudizio (v., ex plurimis , Cass., 29 marzo 2022, n. 10040; Cass. Sez. U., 18 febbraio 2021, n. 4367);
4.1 -quanto, poi, al secondo motivo, la Corte ha ripetutamente rilevato che, ai fini della revocazione RAGIONE_SOCIALE sentenze (anche) della Corte di cassazione, è necessario che il fatto oggetto della supposizione di esistenza o inesistenza non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciarsi, così che non è configurabile errore revocatorio qualora l’asserita erronea percezione degli atti di causa abbia formato oggetto di discussione e della consequenziale pronuncia a seguito dell’app rezzamento RAGIONE_SOCIALE risultanze processuali compiuto dal giudice (Cass., 4 aprile 2019, n. 9527; Cass., 15 dicembre 2011, n. 27094);
come di recente rimarcato dalle stesse Sezioni Unite della Corte, difatti, «Il fatto supposto esistente o inesistente non deve aver costituito un punto controverso sul quale il revocando provvedimento si è pronunciato. È quindi esclusa la rilevanza dell’errore, che per ciò stesso cessa di essere un errore revocatorio ed assume i caratteri dell’errore di giudizio, quando sul fatto il giudice si sia pronunciato, giacché l’errore percettivo è intrinsecamente incompatibile con il giudizio … se c’è controversia c’è giudizio, e se c’è giudizio non c’è errore percettivo», atteso che la falsa supposizione (di cui all’art. 395, n. 4, cod. proc. civ.) «non è frutto di una scelta deliberata, ragionata, è una falsa rappresentazione della realtà da ascrivere ad un abbaglio dei sensi, a disattenzione, distrazione, in buona sostanza ad una svista » così che l’errore revocatorio « non è quello concernente l’informazione probatoria ritraibile per via logica dal dato probatorio acquisito al giudizio … il carattere controverso del fatto ‘ sul quale la sentenza ebbe a pronunciare” attiene non ai fatti da provare cui si riferisce l’articolo 2697 c.c., ma al fatto probatorio rilevante per i fini del giudizio: la svista del giudice cade sulla c.d. percezione semplice o percezione oggettuale, documento, foto, dichiarazione, indizio, e così via.» (così Cass. Sez. U., 5 marzo 2024, n. 5792);
4.2 -per di più, va rilevato, col secondo motivo di ricorso per revocazione i ricorrenti introducono una sorta di ulteriore grado di giudizio a fronte di una ordinanza che, come anticipato, ha dichiarato l’inammissibilità del pertinente motivo di ricorso per cassazione in ragione del difetto di specifica censura sulle diverse rationes decidendi che, distinte ed autonome, risultavano poste a fondamento della pronuncia (allora) impugnata;
– le spese del giudizio di legittimità non vanno regolate tra le parti, in difetto di attività difensiva dell’ RAGIONE_SOCIALE, mentre nei confronti di parti ricorrenti sussistono i presupposti processuali per
il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il proposto ricorso, se dovuto (d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, c. 1quater ).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il proposto ricorso per revocazione, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 29 aprile 2024.