Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4992 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 4992 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8824/2017 R.G. proposto da:
COGNOME, rappresentato e difeso dall’Avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avvocato NOME Salvatore in Formia, INDIRIZZO INDIRIZZO.
-ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato.
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LAZIO -SEZIONE DISTACCATA DI LATINA n. 6047/2016, depositata in data 14 ottobre 2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 gennaio 2025 dal Consigliere dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
Avv. Acc. IRPEF 2006
Con avviso di accertamento, per l’anno di imposta 2006, notificato a NOME COGNOME titolare di una quota di partecipazione pari al 50% del capitale della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, l’Agenzia delle Entrate richiedeva il quantum nel medesimo atto dettagliato, in forza del dato per cui l’omessa contabilizzazione di ricavi tra i soci di una Società a responsabilità limitata a ristretta base societaria dovesse ritenersi indice della distribuzione in nero dei medesimi, e comunque in ragione delle chiare risultanze del verbale di constatazione del 4 novembre 2009, redatto dalla competente Guardia di Finanza di Latina.
Avverso l’avviso di accertamento il contribuente proponeva ricorso dinanzi alla C.t.p. di Latina; si costituiva anche l’Ufficio, che chiedeva la conferma del proprio operato.
La C.t.p. di Latina, con sentenza n. 24/06/2013, rigettava il ricorso del contribuente.
Contro tale sentenza proponeva appello il contribuente dinanzi la C.t.r. del Lazio; si costituiva anche l’Agenzia delle Entrate, chiedendo la conferma della sentenza di primo grado.
Con sentenza n. 4659/39/2015 la C.t.r. adita rigettava il gravame del contribuente.
Avverso la sentenza della C.t.r. del Lazio, il contribuente proponeva ricorso per revocazione dinanzi la stessa C.t.r.; si costituiva anche l’Ufficio, chiedendone l’inammissibilità.
La C.t.r., con sentenza n. 6047/40/2016, depositata in data 14 ottobre 2016, rigettava il ricorso per revocazione.
Avverso la sentenza della C.t.r. del Lazio, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 21 gennaio 2025.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione di legge art. 29 D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546» il contribuente lamenta l’ error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. non ha disposto la riunione dei quattro ricorsi per revocazione proposti dal Di COGNOME, con riferimento all’annualità di cui è causa ed altre, avverso altrettante sentenze emesse in appello.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: «Errore di fatto ex art. 395, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.» il contribuente lamenta l’errore di fatto nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. non ha proceduto a verificare l’invalidità dell’atto presupposto a quello ad esso notificato (avviso di accertamento alla società), la quale si sarebbe poi ripercorsa sulla validità dell’avviso al socio.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso, così rubricato: «Errore di fatto sull’esistenza di utili tassabili» il contribuente lamenta l’errore di fatto nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. non si è avveduta, da risultanze processuali, della mancanza di utili tassabili distribuiti ai soci.
1.4. Con il quarto motivo di ricorso, così rubricato: «Ritrovamento di nuovi documenti decisivi» il contribuente lamenta (non specificandolo espressamente in rubrica) l’errore di fatto nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. non ha valutato i nuovi documenti emersi attinenti l’estraneità del contribuente all’attività illecita della società accertata in sede penale.
Il primo motivo di ricorso proposto è inammissibile; con esso, in particolare, parte ricorrente censura la sentenza della C.t.r. nella parte in cui non ha disposto la riunione, derivante da ragioni oggettive e soggettive, di quattro ricorsi per revocazione proposti avverso altrettante sentenze.
2.1. L’art. 29 del d.lgs. n. 546 del 1992 prevede che: «in qualunque momento il presidente della sezione dispone con decreto
alla riunione dei ricorsi assegnati alla sezione da lui presieduta che hanno lo stesso oggetto o sono fra loro connessi. Se i processi pendono dinanzi a sezioni diverse della stessa commissione, il presidente di questa, di ufficio, su istanza di parte o su segnalazione dei presidenti delle sezioni, determina con decreto la sezione davanti alla quale i processi devono proseguire, riservando a tale sezione di provvedere ai sensi del comma precedente».
2.2. Trattasi evidentemente di un potere ordinatorio del giudice che lo esercita, che non tollera censure siccome preordinato al principio dell’economia dei giudizi e che non è sanzionato da alcuna nullità. In questo senso, questa Corte ha chiarito che il provvedimento di riunione di cause non è suscettibile di impugnazione innanzi ad altri uffici giudiziari (Cass. n. 15031/2014). Ancora, similmente, (Cass. 30/09/2022, n. 28539; Cass. 30/03/2018, n. 8024), si è sostenuto che, in tema di connessione di cause, il provvedimento di riunione e di separazione, fondandosi su valutazioni di mera opportunità, costituisce esercizio del potere discrezionale del giudice e ha natura ordinatoria, essendo pertanto insuscettibile di impugnazione e insindacabile in sede di legittimità.
Il secondo motivo di ricorso è ugualmente inammissibile; con esso parte ricorrente censura l’errore di fatto della C.t.r. laddove non ha verificato l’invalidità dell’atto presupposto a quello notificato al contribuente (avviso di accertamento alla società), la quale si sarebbe poi ripercorsa sulla validità dell’avviso al socio.
3.1. La C.t.r. ha rigettato il ricorso in quanto non ha ritenuto che vi fosse stato l’errore di fatto invocato dal contribuente.
In questa materia, con un recente arresto le SS.UU. di questa Corte hanno ulteriormente puntualizzato il principio secondo cui l’errore di fatto revocatorio, ai sensi dell’art. 395, comma 4, cod. proc. civ., consiste in una falsa percezione della realtà, in una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, che abbia condotto ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo,
incontestabilmente escluso dagli atti e dai documenti di causa, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che, dagli stessi atti e documenti, risulti positivamente accertato, sicché i vizi relativi all’interpretazione della domanda giudiziale non rientrano nella nozione di “errore di fatto” denunciabile mediante impugnazione per revocazione (Cass., SS.UU., n. 13417/2023, che richiama anche Cass. n. 6505/2018).
3.2. Nella fattispecie in esame, la C.t.r. ha illustrato adeguatamente che le suindicate caratteristiche non si riscontravano nel preteso errore di fatto denunciato da NOME COGNOME, il quale assumeva che l’errore si sarebbe dovuto desumere dagli atti prodotti in giudizio. In proposito, la C.t.r. ha avuto cura di affermare che il Giudice del gravame, «avendo chiara proprio la rappresentazione della situazione fattuale evidenziata con il ricorso per revocazione, ha ritenuto, in diritto, che tale situazione non fosse idonea a ribaltare la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili già ritenuta dal Giudice di prime cure (v. punto 4.2. della sentenza n. 4550/39/2015)».
3.3. Invece, ricorrendo dinanzi a questa Corte, il contribuente non contesta la natura valutativa dell’errore invocato ma ripropone pedissequamente la censura per revocazione proposta dinanzi al Giudice del merito; ciò è reso palese anche dalla stessa denominazione del motivo proposto e dalla mancanza del riferimento ai motivi elencati all’art. 360, primo comma, cod. proc. civ. per proporre ricorso in cassazione; da qui l’inammissibilità del motivo. Infine, l’errore invocato non sembra comunque decisivo, perchè nessun rilievo ha l’eventuale invalidità della notifica dell’accertamento societario alla società, dato che il ricorrente stesso ammette che tale avviso gli è stato notificato con il suo, quindi, alcuna lesione del diritto di difesa ha subito.
Il terzo motivo, relativo all’errore di fatto concernente la mancanza di utili tassabili distribuiti ai soci, è parimenti inammissibile.
Nella censura non viene dedotto lo specifico motivo di cassazione, né le norme di diritto su cui si fonda e nemmeno indicato gli atti processuali su cui la doglianza si fonda; vieppiù che con essa viene, sostanzialmente, richiesta alla Corte una inammissibile e rinnovata indagine degli atti e documenti di causa.
4.1. In base all’art. 366, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata; ciò comporta l’esatta individuazione del capo di pronuncia impugnata e l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione, restando estranea al giudizio di cassazione qualsiasi doglianza non riguardante il decisum della sentenza gravata. (Cass. 21/07/2020, n. 15517). Infatti, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si traducano in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un «non motivo», è espressamente sanzionata con l’inammissibilità (Cass. 20/10/2016, n. 21296).
4.2. Questa Corte ha già avuto modo di chiarire che il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato dai motivi di
ricorso, che assumono una funzione identificativa, condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 cod. proc. civ. (Cass. 14/05/2018, n. 11603). Si è, altresì, precisato che l’esposizione cumulativa delle questioni non è consentita ove rimetta al giudice di legittimità il compito dì isolare le singole censure teoricamente proponibili; viceversa, la formulazione del motivo deve permettere di cogliere con chiarezza le doglianze cumulate, sicché queste devono essere prospettate in maniera tale da consentirne l’esame separato, esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi (Cass. 23/10/2018, n. 26790).
Infine anche il quarto motivo è infondato.
Esso verte sull’asserito mancato esame di nuova documentazione (‘ritrovamento di elementi decisivi’) relativa all’accertata, in sede penale, estraneità del contribuente all’attività illecita della società.
Sul precipuo punto, reiterate le riflessioni espresse sub 4 e ss, va rilevato che la denuncia di un nuovo documento può integrare un motivo di revocazione ma non una censura di legittimità; vieppiù che non è stata nemmeno illustrata la decisività.
Quanto alla valenza in questa sede del decreto di archiviazione, valgono le considerazioni che seguono.
Va dato atto della nuova disciplina in tema di riforma dei reati tributari intervenuta con il d.lgs. 14 giugno 2024, n. 87 (in esecuzione della delega conferita al Governo dall’art. 20 della legge n. 111 del 2023, pubblicato sulla G.U. n. 150 del 28/6/2024 ed entrato in vigore il 29/6/2024). Tale norma con l’art. 1, comma 1, lett. m. ha introdotto, nel corpo del d.lgs. 10 marzo 2000, n 74, l’art. 21 bis, rubricato ‘Efficacia delle sentenze penali nel processo
tributario e nel processo di Cassazione’, che così dispone, per quel che in questa sede interessa: ‘1.La sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, pronunciata in seguito a dibattimento nei confronti del medesimo soggetto e sugli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario, ha, in questo, efficacia di giudicato, in ogni stato e grado, quanto ai fatti medesimi. 2.La sentenza penale irrevocabile di cui al comma 1 può essere depositata anche nel giudizio di Cassazione fino a quindici giorni prima dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio.’ Tale ius superveniens si applica anche ai casi (come quello per cui è causa in cui la sentenza penale dibattimentale di assoluzione sia divenuta irrevocabile prima dell’entrata in vigore del citato decreto legislativo n. 87 del 2024, purché, alla data di entrata in vigore del d.lgs., sia ancora pendente il giudizio di cassazione contro la sentenza tributaria d’appello che ha condannato il contribuente in relazione ai medesimi fatti, rilevanti penalmente, dai quali egli sia stato irrevocabilmente assolto, in esito a giudizio dibattimentale, con una delle formule ‘di merito’ previste dal codice di rito penale (perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non l’ha commesso) (Cass. 03/09/2024, n.23570). 3.2. Orbene, nel caso di specie, posto che la valutazione va fatta ex officio , non viene in questione una sentenza di assoluzione irrevocabile con le formule suindicate ma un decreto di archiviazione, evidentemente normativamente non contemplato.
5.1. Quanto alla sollevata questione di legittimità costituzionale in punto di compatibilità della composizione delle Commissioni con i dettami del giusto ovvero dell’equo processo e perché la C.t.r. non avrebbe motivato sulla richiesta di rimessione alla Consulta, essa va disattesa. Premesso che anche in questo caso si riscontra la violazione del principio di autosufficienza nella parte in cui non è stato dedotto uno specifico motivo né le norme di diritto su cui si
fonda, essa si palesa irrilevante ai fini della decisione della specifica questione sottoposta al vaglio di questa Corte nonché mancante del requisito della ‘non manifesta infondatezza’, stante il margine di autonomia del legislatore processuale -riconosciuto anche dalla giurisprudenza della Corte europea sull’art. 6 della Cedu nella determinazione della composizione dei Collegi, autonomia che supporta necessariamente la normativa regolatrice delle commissioni tributarie. La questione, peraltro, risulta già rigettata dall’ordinanza n.227/2016 della Corte Costituzionale.
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese processuali che si liquidano in € 6.000,0, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis del medesimo art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma il 21 gennaio 2025.