Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5487 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 5487 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24952/2017 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME con domicilio digitale presso la propria casella di posta elettronica;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana n. 748/2017, depositata il 21 marzo 2017. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 dicembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
-L’Agenzia delie Entrate di Prato emetteva nei confronti della RAGIONE_SOCIALE un avviso di accertamento per l’anno 2006 sul presupposto che la contribuente (avente natura effettiva di società immobiliare di comodo), aveva effettuato nel decennio 2000/2010 più acquisti di beni immobili, uno solo dei quali venduto in tale arco temporale (altra vendita verrà effettuata fuori periodo monitorato, nel 2013), e per converso aveva concesso in uso (vuoi per locazione vuoi per comodato) più immobili a persone di famiglia o a società riconducibili al nucleo familiare della proprietà societaria.
Avverso tale avviso, la RAGIONE_SOCIALE proponeva dapprima ricorso al giudice provinciale e poi, respinto il ricorso di primo grado, alla Commissione tributaria regionale che confermava la sentenza di primo grado.
-Avverso la pronuncia della Commissione tributaria regionale, la contribuente proponeva sia ricorso per cassazione innanzi alla Suprema Corte che, parallelamente, ricorso per revocazione innanzi alla Commissione regionale. Proponeva poi, altresì, istanza di sospensione dell’efficacia della sentenza impugnata con ricorso per cassazione.
Riunite le cause di revocazione e quella introdotta per la sospensione dell’efficacia della sentenza, la Commissione tributaria regionale dichiarava inammissibile il ricorso, condannando la ricorrente al pagamento delle spese di lite.
-La società ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
L’ Agenzia delle si è costituita con controricorso.
-Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e/o falsa applicazione degli art. 395 n. 4 e n. 5 e 398, quarto comma, cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 n . 3 cod. proc. civ. Parte
ricorrente evidenzia che, pienamente consapevole della incompatibilità logica tra errore di fatto revocatorio ed errore di diritto ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ., ha impugnato la sentenza n. 361/8/2016 della Commissione tributaria regionale della Toscana in sede di revocazione, lamentando degli errori di fatto revocatorio ( ex art. 395 n. 4 cod. proc. civ.) e ha censurato la medesima pronuncia in sede di legittimità, sollevando esclusivamente dei vizi di violazione di legge, in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. – vizio in alcun modo incompatibile con l’impugnazione ex art. 395 n. 4 cod. proc. civ. Si evidenzia sul punto che la proposizione del ricorso per revocazione non sospende automaticamente i termini per la proposizione del ricorso in sede di legittimità, o viceversa, essendo necessario, a tal fine, che il giudice, su istanza di parte, disponga la sospensione dei termini dell’uno o dell’altro. Da qui, la possibile concorrenza dei due mezzi. Posta l’ammissibilità del ricorso per revocazione, se ne dovrebbe apprezzare, altresì, la fondatezza. La Commissione tributaria regionale, infatti, nella pronuncia n. 361/8/2016 impugnata mediante il rimedio revocatorio, sarebbe incorsa nel vizio contemplato all’art. 395, n. 4, cod. proc. civ., nel momento che ha asserito l’inesistenza: a) delle operazioni economiche effettuate dalla Sanluca nell’arco del decennio compreso fra il 2000 e il 2010, le quali sono state attestate dall’Amministrazione Finanziaria stessa nell’atto impositivo impugnato; b) della cessione “al grezzo” di una parte del fabbricato ad uso residenziale, posto in INDIRIZZO a Prato, avvenuta in data 24 giugno 2013, la quale ha consentito alla Società di conseguire una plusvalenza di oltre 180 mila euro. Laddove i giudici dell’appello avessero preso atto della sussistenza di tali elementi, sarebbero giunti a una decisione diversa, non potendo in alcun modo sostenere, come invece hanno fatto, che non sia stata fornita alcuna prova certa in merito alla effettiva esistenza dell’attività commerciale RAGIONE_SOCIALE
1.1. -Il motivo è inammissibile.
Nelle more è intervenuta l’ estinzione del giudizio di cassazione avverso la sentenza n. 361/8/2016 della Commissione tributaria regionale della Toscana per cessazione della materia di contendere, avendo l’Agenzia delle entrate dato atto che la parte contribuente ha presentato domanda di definizione agevolata della controversia.
Le censure formulate risultano peraltro inammissibili.
L’errore di fatto previsto dall’art. 395 n. 4, cod. proc. civ., idoneo a costituire motivo di revocazione, consiste in una falsa percezione della realtà o in una svista materiale che abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso, oppure l’inesistenza di un fatto positivamente accertato dagli atti o documenti di causa, purché non cada su un punto controverso e non attenga ad un’errata valutazione delle risultanze processuali (Cass., Sez. VI-1, 26 gennaio 2022, n. 2236).
La pronuncia impugnata non ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso sul presupposto della pendenza del ricorso per cassazione ma ha ritenuto che la parte non avesse denunciato un errore revocatorio. La Commissione tributaria regionale ha infatti correttamente rilevato che le doglianze non erano volte a censurare un errore revocatorio, bensì la valutazione che i giudici avevano operato circa la questione dell’effettivo esercizio di un’attività commerciale da parte di Sanluca.
-Con il secondo motivo di ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 9 del d.P.R. 633/1972 e 30 della l. 724/1994, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ. Ferme le assorbenti considerazioni contenute nel primo motivo, l’illegittimità della sentenza emergerebbe anche sotto un diverso ed ulteriore profilo, essendo fondata su assunti errati, ossia: (a) la mancata dimostrazione dello svolgimento di attività commerciale di compravendita, costruzione e locazione di beni immobili da parte
della COGNOME; (b) la mancata dimostrazione della effettuazione di operazioni di costruzione, compravendita e locazione di immobili da parte della Società nel corso dell’anno 2006. Da una semplice lettura degli atti processuali e dell’avviso di accertamento impugnato, sarebbe agevole constatare come sia documentalmente provato che la Sanluca svolge attività commerciale di compravendita, costruzione e locazione di beni immobili, come dimostrato dalle operazioni economiche poste in essere dalla Società nell’arco temporale compreso tra il 2006 ed il 2010 le quali sono state accertate dalla stessa Amministrazione Finanziaria nell’atto impositivo impugnato, nonché dalla cessione di una porzione del fabbricato ad uso residenziale del 24 giugno 2013.
Con il terzo motivo di ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 19 bis DPR 633/1972, in relazione all’art. 360 co.l n. 3 cod. proc. civ. La sentenza dei Giudici della revocazione sarebbe comunque errata anche per ciò che, nel disconoscere la detrazione dell’IVA assolta sugli acquisti relativi alla ristrutturazione dei fabbricati, non ha tenuto conto delle diverse aliquote applicate ai beni e servizi acquistati/commissionati dalla Società, le quali sono evincibili chiaramente dal semplice esame delle relative fatture
2.1. -Entrambi i motivi, da trattarsi congiuntamente, sono inammissibili.
Si tratta di valutazioni che non possono essere censurate in sede di impugnazione di una pronuncia resa su istanza di revocazione, essendo stata correttamente dichiarata l’ inammissibilità della revocazione per mancanza dei presupposti relativi all’errore di fatto revocatorio su punto non controverso e mirando le censure a evidenziare un’errata valutazione delle risultanze processuali.
-Il ricorso va dunque rigettato.
Le spese del giudizio vengono compensate in ragione dell’ intervenuta estinzione del giudizio di cassazione relativo all’atto impositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile, compensando le spese del giudizio.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione