Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9571 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9571 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 12/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5788/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimata- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della CAMPANIA-SEZ.DIST. SALERNO n. 6665/2021 depositata il 15/09/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
1. Lo svolgimento del processo è così descritto dalla sentenza in epigrafe:
A seguito di richiesta di rimborso per credito IVA relativo alle annualità 2012-2014, presentato dalla società RAGIONE_SOCIALE per l’importo complessivo di € 115.000,00 con accensione anche di relativa polizza fideiussoria, l’Agenzia dell’Entrate emetteva il provvedimento n. 64926/2015 con il quale sospendeva il predetto rimborso evidenziando di aver dato avvio all’attività istruttoria, tesa alla verifica dell’esistenza dei presupposti per l’erogazione, ai sensi dell’art. 30 del DPR n. 633/1972.
La società procedeva pertanto all’impugnazione del provvedimento, innanzi alla CTP di Salerno .
Nel relativo giudizio l’Agenzia dell’Entrate si costituiva, richiamando, per la prima volta, l’art. 38 bis del DPR 633/72 che consentiva all’ente impositore di sospendere in via preventiva il rimborso nei casi in cui era stato contestato a carico del contribuente il reato di emissione o di utilizzo di false fatture, fino alla concorrenza dell’ammontare dell’IVA indicata nelle predette fatture, fino alla definizione del relativo procedimento penale.
Sulla base di tale normativa l’Agenzia rilevava che erano state contestate alla RAGIONE_SOCIALE l’utilizzo di fatture emesse dalla ditta individuale RAGIONE_SOCIALE derivanti da operazioni soggettivamente inesistenti, stante il ruolo di società cartiera di tale ultima ditta, come rilevato dalla relativa indagine della Guardia di Finanza.
La CTP di Salerno emetteva la sentenza n. 295/10/2015, con la quale dichiarava inammissibile il ricorso in ragione della mancata allegazione del provvedimento impugnato, nonché l’esistenza di validi motivi legittimanti la sospensione stante la pendenza di accertamenti e di procedimenti penali in corso.
Proponeva appello la società, lamentando sia l’erroneità della decisione in ordine al mancato deposito dell’atto impugnato che risultava regolarmente depositato in sede di costituzione in giudizio, sia la carenza di motivazione in quanto solo successivamente l’Agenzia aveva integrato la motivazione della sospensione.
In subordine, la società riteneva che quanto affermato dall’art. 38 bis poteva applicarsi relativamente all’ammontare dell’IVA indicat nelle fatture contestate, pari ad € 54.024,00 per cui alcuna sospensione poteva
operare per il residuo importo di € 60.976,00, legittimamente spettante .
La CTR della Campania, sez staccata di Salerno, sez. 9°, emetteva la sentenza n. 5495/2017, con la quale rigettava l’appello della contribuente ritenendo di dover condividere l’iter logico-giuridico seguito dai primi giudici, dichiarando legittima la sospensione in attesa della definizione del procedimento penale.
Propone ricorso per revocazione la RAGIONE_SOCIALE rilevando la erroneità della pronuncia con revocazione della stessa ex art. 395, n. 4) cpc eccependo:
l’errore di fatto in cui erano incorsi i Giudici di secondo grado sulla base degli atti e documenti di causa, in considerazione che le fatture oggetto di contestazione in sede penale davano luogo ad una IVA pari ad € 54.024,00 di importo inferiore alla somma richiesta a rimborso, per cui la sospensione prevista dall’art. 38 bis del DPR 633/1972, poteva essere applicata solo per la concorrenza di tale somma e non per l’intero. Rileva che erroneamente nella decisione veniva affermato che la fattispecie rientrava nei limiti quantitativi imposti dal Legislatore, con evidente percezione sbagliata dei documenti prodotti, confermati per gli importi dalla stessa Agenzia delle Entrate ;
la legittimità della richiesta di annullamento del provvedimento di sospensione del rimborso quanto meno per l’importo di € 60.976,00, quale parte residuale del chiesto rimborso di € 115.000,00 detratt la parte dell’IVA oggetto di contestazione (€ 54.024,00).
La CTR della Campania, pronunciando in sede di revocazione, con la sentenza in epigrafe, così decideva:
n accoglimento del ricorso per revocazione ed in parziale riforma della sentenza impugnata, dichiara sussistente il diritto al rimborso della somma di € 60.976,00, quale differenza tra il rimborso richiesto e le somme contestate, rimanendo valida la sospensione per l’importo di € 54.024,00, oggetto di contestazione e di attività di accertamento.
2.1. Essa così, essenzialmente, per quanto di ragione, motivava:
Venendo al caso che ci occupa, non vi è dubbio che il provvedimento di sospensione, ai sensi dell’art. 38 bis del DPR 633/72, emesso dall’Agenzia delle Entrate, deve considerarsi legittimo, ricorrendo i presupposti previsti dalla normativa, sia in ordine al limite quantitativo sia al limite temporale, risultando la esistenza di attività di accertamento per
una parte dell’imposta chiesta a rimborso per € 54.024,00, trattandosi di operazioni soggettivamente inesistenti con pendenza del relativo procedimento penale.
Tuttavia, in sede di appello la parte ha contestato la erroneità del provvedimento emesso che aveva sospeso l’intero importo chiesto a rimborso, ritenendo che tutt’al più poteva essere post in attesa solo la parte in contestazione, con possibilità di erogazione del residuo spettante pari ad € 60.976,00.
Orbene, in sede di decisione i Giudici hanno omesso di pronunciarsi su tale censura, affermando semplicemente che la fattispecie rientrasse entro i limiti previsti dal richiamato art. 38 bis del DPR 633/72.
Questa Commissione ritiene che la censura mossa alla decisione sia fondata, sul presupposto che proprio la normativa richiamata stabilisce che l’esercizio del potere di sospensione di cui all’art. 38, possa avvenire con il limite quantitativo dell’ammontare dell’imposta oggetto del contestato reato.
Per cui la censura in ordine alla erogazione della parte legittima andava valutata ed accolta, stante il riconoscimento da parte della stessa Agenzia delle Entrate, dell’importo di € 54.024,00.
Da tanto ne deriva la sussistenza dell’errore di fatto della decisione, nella parte in cui non ha esaminato o valutato tale motivo di censura, con conseguente ammissibilità e fondatezza dell’azione revocatoria.
Propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate con un motivo; la contribuente resta intimata.
Considerato che:
Con l’unico motivo di ricorso si denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 395 comma 1 n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.’.
1.1. ‘ontrariamente all’assunto di controparte, avallato acriticamente alla CTR, l’Ufficio nei propri scritti difensivi giustifica la sospensione del rimborso richiamando l’articolo 38 bis DPR 633/1972 (come da provvedimento impugnato) chiarendone la portata normativa, ma insiste per il rigetto integrale (e non parziale) delle istanze del contribuente, instando, di conseguenza, per la conferma del provvedimento di sospensione del rimborso per l’intero importo ivi indicato. Il contribuente, a sua volta,
nell’analizzare l’articolo 38 bis comma 3 DPR 633/1972, afferma che in base a detta norma la sospensione dovrebbe operare nei limiti quantitativi prescritti dalla stessa, ma nelle conclusioni insiste esclusivamente per l’annullamento totale dell’atto. Ne consegue che la sentenza impugnata revoca la decisione sulla base di una falsa rappresentazione dei fatti di causa e ciò in contrasto con i principi richiamati nelle premesse. A ben intendere, infatti, le censure che la parte muove alla sentenza di cui chiede la revocazione integrano piuttosto l’errore di diritto, censurabile dinanzi alla Corte di Cassazione, configurabile nella presunta violazione dell’articolo 38 bis comma 3 (ora comma 8) del DPR 633/1972 e non certamente l’errore di fatto siccome rappresentato’.
2. Il motivo è fondato.
In tema di errore di fatto revocatorio, s’è affermato che esso ‘consiste in una falsa percezione della realtà o in una svista materiale che abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso, oppure l’inesistenza di un fatto positivamente accertato dagli atti o documenti di causa, purché non cada su un punto controverso e non attenga ad un’errata valutazione delle risultanze processuali’ . S’è poi precisato che ‘l’errore di fatto rilevante ai fini della revocazione della sentenza, compresa quella della Corte di cassazione, presuppone l’esistenza di un contrasto fra due rappresentazioni dello stesso oggetto, risultanti una dalla sentenza impugnata e l’altra dagli atti processuali; il detto errore deve: a) consistere in un errore di percezione o in una mera svista materiale che abbia indotto, anche implicitamente, il giudice a supporre l’esistenza o l’inesistenza di un fatto che risulti incontestabilmente escluso o accertato alla stregua degli atti di causa, sempre che il fatto stesso non abbia costituito oggetto di un punto controverso sul quale il
giudice si sia pronunciato, b) risultare con immediatezza ed obiettività senza bisogno di particolari indagini ermeneutiche o argomentazioni induttive; c) essere essenziale e decisivo, nel senso che, in sua assenza, la decisione sarebbe stata diversa’ .
Recentissimamente – in materia di revocazione delle pronunce della Corte si cassazione, ma alla stregua, per quanto non specificamente riferito al giudizio di cassazione, di assunti generali validi per la revocazione ‘tout court’ – Sez. U, Ordinanza n. 20013 del 19/07/2024 (Rv. 671759 -01) propone un quadro di sintesi secondo cui ‘l’errore rilevante ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c.: a) consiste nell’erronea percezione dei fatti di causa che abbia indotto la supposizione dell’esistenza o dell’inesistenza di un fatto, la cui verità è incontestabilmente esclusa o accertata dagli atti di causa (sempre che il fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito terreno di discussione delle parti); b) non può concernere l’attività interpretativa e valutativa; c) deve possedere i caratteri dell’evidenza assoluta e dell’immediata rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti di causa; d) deve essere essenziale e decisivo; e) deve riguardare solo gli atti interni al giudizio di cassazione e incidere unicamente sulla pronuncia della Corte’.
Con più specifica attinenza al caso di specie, s’è infine aggiunto che, ‘in tema di revocazione delle sentenze per errore di fatto ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c., nella nozione di punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare rientra non solo il fatto che è stato controverso in ragione di un effettivo dibattito fra le parti, ma anche quello che, introdotto da una parte per mezzo di un atto difensivo, è divenuto per ciò solo controvertibile, così da formare comunque oggetto, implicito o esplicito, della successiva pronuncia con cui il giudice di merito ha definito il processo’ .
2.1. Ora, tornando al caso di specie, è lo stesso giudice della revocazione ad affermare che – integralmente confermato dalla CTP il provvedimento di sospensione – la contribuente aveva proposto appello chiedendo l’annullamento integrale o almeno parziale – ‘relativamente’ (cioè) ‘all’ammontare dell’IVA indicat nelle fatture contestate’ – del provvedimento: ragion per cui la misura della somma cautelata con la sospensione è pacificamente entrata nel ‘thema decidendum’, sulle contrapposte posizioni della parte pubblica e di quella privata, e su tale ‘thema decidendum’ è scesa la decisione del giudice d’appello, che ha condiviso ‘ l’iter logicogiuridico seguito dai primi giudici’, per l’effetto reiterando la legittimità, anche in punto di misura della somma cautelata, del provvedimento impugnato. Un tanto, per quanto sopra, vale di per sé ad escludere la sussistenza di un errore revocatorio.
Inoltre, è lo stesso giudice della revocazione ad identificare l’errore compiuto dal giudice d’appello nel non aver considerato -‘ omeo di pronunciarsi su tale censura ‘ – che ‘ proprio la normativa richiamata stabilisce che l’esercizio del potere di sospensione di cui all’art. 38, possa avvenire con il limite quantitativo dell’ammontare dell’imposta oggetto del contestato reato ‘. In buona sostanza, secondo il giudice della revocazione, l’art. 38 -bis DPR n. 633 del 1972 consente l’adozione della cautela entro il limite della concorrenza della somma portata dalle fatture contestate. Nondimeno – proprio in forza di tale prospettazione del giudice della revocazione -l’addebito che questo muove al giudice di appello attiene, non già ad un ‘error facti’, ma ad un vero e proprio ‘error iuris’: ‘sub specie’ dell’omessa pronuncia (categoria nondimeno impropriamente evocata a fronte di una semplice mancata condivisione, da parte del giudice di appello, delle tesi difensive della parte provata) e comunque della violazione dell’art. 38 -bis DPR n. 633 del 1972. In entrambe le declinazioni, trattasi, come
testé detto, di un ‘error iuris’, denunciabile unicamente con il ricorso per cassazione (dalla parte privata non proposto, come riferito in ricorso) e non con l’azione di revocazione, in difetto di alcun errore percettivo, qualificabile come semplice svista, caratterizzato da tali ‘immediatezza ed obiettività’, da non aver ‘bisogno di particolari indagini ermeneutiche o argomentazioni induttive’ (per recuperare le parole delle Sezioni Unite).
Alla luce di quanto precede, il ricorso merita accoglimento.
Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere cassata. Peraltro, non essendo necessari ulteriori accertamento di fatto, questa Suprema Corte è abilitata a decidere la causa nel merito, rigettando l’originario ricorso per revocazione spiegato dalla contribuente.
L’esito del giudizio comporta la compensazione delle spese di merito.
La contribuente deve essere condannata a rifondere all’Agenzia ricorrente le spese di legittimità, liquidate, secondo tariffa, come in dispositivo.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso.
Per l’effetto, cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, rigetta l’originario ricorso per revocazione spiegato da RAGIONE_SOCIALE
Compensa tra le parti le spese di merito.
Condanna RAGIONE_SOCIALE a rifondere all’Agenzia delle entrate le spese del presente grado di giudizio, liquidate in euro 5.800, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso a Roma, lì 13 febbraio 2025.