Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1290 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 1290 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 20/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16927/2024 R.G. proposto da :
NOME COGNOME elettivamente domiciliato in Massa INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende, con domicilio digitale all’indirizzo PEC EMAIL
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in Roma INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
nonché contro
COGNOME NOME COGNOME
-intimato- avverso la Sentenza della Corte Suprema di Cassazione n. 2120/2024 depositata il 22/01/2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con distinti ricorsi, NOME COGNOME e NOME COGNOME impugnarono innanzi alla Commissione tributaria provinciale di
Massa Carrara gli avvisi di accertamento con i quali l’amministrazione finanziaria aveva ripreso a tassazione, ai fini Irpef e Iva per l’anno 2004, la loro quota di partecipazione al profitto di reato, commesso in concorso con NOME COGNOME e NOME COGNOME che l’Ufficio aveva loro attribuito a titolo di ‘reddito diverso’, ai sensi dell’art. 14, comma 4, della l. 24 dicembre 1993, n. 537.
In particolare, e per quanto ancora di rilievo in sede di legittimità, i contribuenti, unitamente ai loro concorrenti, si erano appropriati della somma di € 7.503.258,35, distraendola dal fallimento dell’impresa individuale COGNOME NOME fu NOME, per il tramite di una società ‘paravento’ denominata RAGIONE_SOCIALE; di tale complessiva somma, all’esito del giudizio penale a carico dei quattro soci di fatto, la Corte d’Appello di Torino con sentenza poi divenuta definitiva -aveva ordinato la restituzione, quale conseguenza civile delle condotte integrative del reato di abuso di ufficio, dichiarato estinto per prescrizione.
La C.T.P. adìta, riuniti i ricorsi, li accolse sul rilievo dell’intervenuta decadenza dell’Ufficio dall’esercizio della potestà impositiva.
Il successivo appello, proposto dall’Amministrazione innanzi alla Commissione tributaria regionale della Toscana, venne respinto.
I giudici regionali -premesso, in disaccordo con i primi giudici, che ostava al rilievo della decadenza l’astratta riconducibilità delle condotte dei contribuenti a fattispecie di reato comportanti obbligo di denuncia, con conseguente raddoppio dei termini per l’esercizio della potestà impositiva -rilevarono, quanto al merito, che dal giudizio penale era emerso che la società RAGIONE_SOCIALE aveva percepito somme in quanto «favorita da un abuso d’ufficio», ma che, per il resto, l’Amministrazione non aveva dato prova convincente della percezione di tali somme da parte degli imputati. Questi ultimi, dunque, erano stati condannati a restituire l’importo distratto in conseguenza della loro riconosciuta responsabilità civile
per il delitto di abuso d’ufficio; ma poiché era stata accertata una locupletazione in capo alla sola società, avente personalità e patrimonio distinti, la condanna pecuniaria doveva intendersi riferita all’adempimento di un obbligo risarcitorio, restando così esclusa -in difetto di ulteriori prove da parte dell’Ufficio la produzione di un reddito imponibile.
La sentenza d’appello è stata impugnata dall’Agenzia delle entrate con ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
Questa Corte di cassazione, con la sentenza indicata in epigrafe, ha accolto i primi tre motivi di ricorso, ritenuto assorbito l’esame della quarta censura e cassato la sentenza, con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado della Toscana.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per revocazione NOME COGNOME sorretto da unico motivo, chiedendo altresì la correzione di errori materiali contenuti nel provvedimento impugnato.
L ‘Amministrazione Finanziaria resiste con controricorso; NOME COGNOME è rimasto intimato.
Il ricorrente, in data 31/12/2024, ha depositato memoria ex art. 380bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, si rileva che il ricorrente ha chiesto procedersi a correzione degli errori materiali contenuti nella sentenza impugnata nella parte in cui riporta che: i) il difensore ha appreso della propria nomina ministeriale due giorni prima del 6 dicembre (punto 5. pag.5); ii) l’Avv. COGNOME è stato indicato come difensore ‘ dei controricorrenti ‘ (punto 5. Pag. 5); iii. l’ asserito estratto della sentenza della Corte di Appello di Torino non comparirebbe in tale sentenza (punto 7.3 pag. 13).
1.1. Questa Corte ha affermato che «il procedimento per la correzione degli errori materiali di cui all’art. 287 c.p.c. è esperibile per ovviare ad un difetto di corrispondenza fra l’ideazione del
giudice e la sua materiale rappresentazione grafica, chiaramente rilevabile dal testo stesso del provvedimento mediante il semplice confronto della parte del documento che ne è inficiata con le considerazioni contenute nella motivazione, senza che possa incidere sul contenuto concettuale e sostanziale della decisione» (Cass., Sez. L. 11 agosto 2020, n. 16877).
1.2. E infatti, la procedura di correzione materiale è consentita esclusivamente ove si tratti di rimediare ad una disarmonia tra la formale espressione di una decisione e il suo reale contenuto mentre, invece, è preclusa ove la correzione si risolva nella sostituzione o nella modificazione essenziale della decisione (o quando l’erronea rappresentazione di una circostanza non sia idonea ad incidere in alcun modo sullo sviluppo argomentativo della decisione rispetto alle statuizioni assunte posto che, da un lato, la procedura di correzione di errore materiale non è esperibile laddove l’accoglimento dell’istanza comporti una modifica della decisione non consentita con tale rimedio; dall’altro, l’errore stesso non si configura quando non incida sulla coerenza della motivazione rispetto al dispositivo attingendo elementi ictu oculi superati dal testo del provvedimento impugnato, non ravvisandosi, in tali casi, lo stesso interesse all’emendatio. Il procedimento di correzione di errori materiali non ha natura giurisdizionale, bensì amministrativa e dà luogo ad un mero incidente del giudizio in cui il provvedimento da correggere è stato pronunciato, che non realizza una statuizione sostitutiva di quella corretta, in quanto è diretta esclusivamente ad emendare un difetto di formulazione esteriore dell’atto scritto rispetto al suo contenuto, nel caso in cui questo sia palese sulla base della sua sola lettura.
1.3. Da quanto osservato, ne discende che le fattispecie segnalate sub i) e iii) non possono essere ricondotte all’ambito della correzione di errore materiale, trattandosi di circostanze non
chiaramente rilevabili dal testo stesso del provvedimento, né idonee ad incidere sullo sviluppo argomentativo della decisione.
Rispetto a quella sub ii), pur evidenziandosi che dal frontespizio della sentenza risulta la corretta indicazione dei difensori, va disposta la correzione del segnalato errore materiale, consistente ne ll’utilizzo, da parte dell’estensore della sentenza, del la prima persona plurale anziché della singolare, dovendosi leggere, alla pag. 5, § 5, rigo 23, anziché «il difensore dei controricorrenti», «il difensore del controricorrente».
Con l’unico motivo di revocazione si lamenta, in relazione all’art. 391bis e 395, n. 4, c.p.c., che le argomentazioni con cui la sentenza n. 2120/2024, qui impugnata, ove si dichiara non meritevole di accoglimento l ‘ istanza di aggiornamento della pubblica udienza formulata dal difensore, sarebbero inficiate da errori di percezione.
2.1. L’art. 391bis cod. proc. civ. stabilisce che «Se la sentenza pronunciata dalla Corte di cassazione è affetta da errore di fatto ai sensi dell’articolo 395, numero 4), la parte interessata può chiederne la revocazione». Quest’ultima disposizione prescrive che «Le sentenze pronunciate in grado d’appello o in unico grado possono essere impugnate per revocazione se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa» e precisa che «Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare».
2.2. La giurisprudenza di legittimità ha perimetrato l’errore di fatto tracciandone, in primo luogo, il confine rispetto alla violazione o falsa applicazione di norme di diritto sostanziali o processuali, laddove l’errore di fatto riguarda solo l’erronea presupposizione
dell’esistenza o dell’inesistenza di fatti considerati nella loro dimensione storica di spazio e di tempo, non potendosi far rientrare nella previsione il vizio che, nascendo ad esempio da una falsa percezione di norme che contempli la rilevanza giuridica di questi stessi fatti, integri gli estremi dell’ error iuris , sia che attenga ad obliterazione delle norme medesime, riconducibile all’ipotesi della falsa applicazione, sia che si concreti nella distorsione della loro effettiva portata, riconducibile all’ipotesi della violazione.
2.3. Resta, quindi, esclusa dall’area del vizio revocatorio la sindacabilità di errori formatisi sulla base di una pretesa errata valutazione o interpretazione di fatti, documenti e risultanze processuali che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico-giuridico, perché siffatto tipo di errore, se fondato, costituirebbe un errore di giudizio, e non un errore di fatto (Cass., Sez. U., 27/12/2017, n. 30994; Cass., Sez. U., 11/04/2018, n. 8984; Cass. 14/04/2017, n. 9673, § 4-5).
2.4. In sintesi, la combinazione dell’art. 391-bis e dell’art. 395 n. 4 non prevede come causa di revocazione della sentenza di cassazione l’errore di diritto sostanziale o processuale e l’errore di giudizio o di valutazione.
2.5. L’errore di fatto previsto dall’art. 395, n. 4, cod. proc. civ., poi, deve consistere, al pari dell’errore revocatorio imputabile al giudice di merito, nell’affermazione o supposizione dell’esistenza o inesistenza di un fatto la cui verità risulti invece, in modo indiscutibile, esclusa o accertata in base al tenore degli atti o dei documenti di causa; deve essere decisivo, nel senso che deve esistere un necessario nesso di causalità tra l’erronea supposizione e la decisione resa; deve presentare i caratteri della evidenza ed obiettività; infine, non deve cadere su un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata (Cass. 28/02/2007, n. 4640; Cass. 20/02/2006, n. 3652; Cass. 11/04/2001, n. 5369).
2.6. In particolare, il punto si può dire controverso quando sia, appunto, oggetto di controversia, ossia incerto e per questo dibattuto. È la contestazione di un fatto a renderlo incerto e a farlo divenire giustiziabile; il che comporta l’assoggettamento di esso al dibattito del processo. Per sciogliere l’incertezza che deriva dalla contestazione proposta da una delle parti, il giudice deve quindi valutare la contestazione stessa stabilendo se essa sia fondata, o no. Perciò, se vi è valutazione del contrasto tra le parti, non può esservi alcuna svista percettiva.
2.7. Con particolare riferimento alla deduzione di un errore nella lettura degli atti interni al giudizio di cassazione, Cass., Sez. U., 27/11/2019, n. 31032 ha precisato che l’impugnazione per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione è ammessa nell’ipotesi di errore compiuto nella lettura degli atti interni al giudizio di legittimità, errore che presuppone l’esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti di causa; pertanto, è esperibile, ai sensi degli artt. 391-bis e 395, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la revocazione per l’errore di fatto in cui sia incorso il giudice di legittimità che non abbia deciso su uno o più motivi di ricorso, ma deve escludersi il vizio revocatorio tutte le volte in cui la pronunzia sul motivo sia effettivamente intervenuta, anche se con motivazione che non abbia preso specificamente in esame alcune delle argomentazioni svolte come motivi di censura del punto, perché in tal caso è dedotto non già un errore di fatto (quale svista percettiva immediatamente percepibile), bensì un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso e, quindi, un errore di giudizio, in cui la revocazione non è ammissibile essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione (Cass. 29/03/2022, n. 10040).
2.8 Occorre ancora evidenziare che, con riguardo al sistema delle impugnazioni, la Costituzione non impone al legislatore ordinario altri vincoli oltre a quelli, previsti dall’art. 111 Cost., della ricorribilità per cassazione per violazione di legge di tutte le sentenze ed i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari e speciali, e che non appare irrazionale la scelta del legislatore di riconoscere ai motivi di revocazione una propria specifica funzione, escludendone gli errori giuridici e quelli di giudizio o valutazione, proponibili solo contro le decisioni di merito nei limiti dell’appello e del ricorso per cassazione (Cass. 16/09/2011, n. 18897).
2.9. Inoltre, quanto all’effettività della tutela giudiziaria, anche la Corte di giustizia dell’UE riconosce la necessità che le decisioni giurisdizionali, divenute definitive dopo l’esaurimento delle vie di ricorso disponibili (o dopo la scadenza dei termini previsti per questi ricorsi), non possano più essere rimesse in discussione e ciò al fine di garantire sia la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, sia l’ordinata amministrazione della giustizia (Cass., Sez. U., 28/05/2013, n. 13181; cfr. Corte giust., 03/09/2009, in causa C2/08, RAGIONE_SOCIALE; Corte giust., 30/09/2003, in causa C-224/01, COGNOME; Corte giust., 16/03/2006, in causa C-234/04, Kapferer).
2.10. Gli approdi nomofilattici sopra ricostruiti trovano riscontro univoco nella giurisprudenza costituzionale (Corte Cost. n. 17 del 1986; Corte Cost. n. 36 del 1991; Corte Cost. n. 207 del 2009), laddove essa segue il percorso evolutivo del contenimento del rimedio revocatorio per le decisioni di legittimità ai soli casi di «sviste» o di «puri equivoci» e nega rilievo a pretesi errori di valutazione, così recependo il ristretto ambito dell’errore di fatto previsto dell’art. 395, n. 4, cod. proc. civ.
2.11. Dunque l’interpretazione non solo letterale e sistematica, ma pure quella costituzionalmente e convenzionalmente orientata, degli artt. 391-bis e 395 n. 4 portano a non ammettere la
revocazione delle decisioni di legittimità della Corte di cassazione per pretesi errori giuridici (sostanziali o processuali) oppure circostanziali, diversi dalla mera svista su fatti non resi oggetto di controversia, rispondendo la «non ulteriore impugnabilità in generale» all’esigenza, tutelata come primaria dalle stesse norme della Carta fondamentale della CEDU, di conseguire l’immutabilità e definitività della pronuncia all’esito di un sistema variamente strutturato (Cass. 29/04/2016, n. 8472).
2.12. Il carattere d’impugnazione eccezionale della revocazione, prevista per i soli motivi tassativamente indicati dalla legge, comporta l’inammissibilità di ogni censura non compresa nel novero di quelle indicate (Cass. 07/05/2014, n. 9865).
Alla luce di tali principi, il motivo è inammissibile, essendo prospettata, in concreto, la non corretta valutazione, da parte della Corte, della sussistenza del legittimo impedimento del difensore.
3.1. Allega il ricorrente che la Corte, nel dare atto che l’istanza « non contiene alcun riferimento all’impossibilità di sostituzione del difensore impedito mediante delega conferita ad un collega, facoltà generalmente consentita dall’art. 9 del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, e tale da rendere riconducibile all’esercizio professionale del sostituito l’attività processuale svolta dal sostituto » (sentenza, p. 6), sarebbe incorsa in un errore di fatto, non avendo tenuto conto del tenore letterale della istanza di rinvio, ove si affermava che «visto la delicatezza degli argomenti da trattare ed il breve preavviso è impossibile, oltre che inopportuna, una eventuale sostituzione».
3.2. Tuttavia, deve rilevarsi che la Corte ha dato atto che l’istanza non conteneva alcun riferimento specifico all’impossibilità di sostituzione del difensore impedito mediante delega conferita ad un collega ex. art. 9 del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, riferimento che, effettivamente, non era in detti termini contenuto nell’istanza in questione, che faceva riferimento alla ‘ delicatezza degli
argomenti da trattare ‘ ed al ‘ breve termine di preavviso ‘ , ma non esplicitava per quali concrete ragioni la sostituzione processuale del difensore fosse impossibile, tanto che lo stesso istante adduceva concomitanti ragioni di opportunità.
3.3. Tant’è che, anche nelle difese svolte con la memoria difensiva, il ricorrente evoca le difficoltà di far sottoscrivere al proprio cliente una nuova procura speciale, che assume notarile, nel periodo tra il 6 ed il 12 dicembre, senza nuovamente esplicitare le ragioni della impossibilità di ricorrere al più snello strumento della sostituzione processuale.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente Agenzia delle entrate, delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo. Non si procede alla liquidazione delle spese in relazione alla posizione di NOME COGNOME in assenza di attività difensiva.
P.Q.M .
La Corte:
preliminarmente dispone che la sentenza di questa Corte di Cassazione n. 2120/2024 depositata il 22/01/2024 venga corretta, dovendosi leggere, alla pag. 5, § 5, rigo 23, anziché «il difensore dei controricorrenti», «il difensore del controricorrente»;
dispone che la correzione sia annotata, a cura della cancelleria, sull’originale della predetta sentenza;
dichiara il ricorso inammissibile;
condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente Agenzia delle entrate, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto. Così deciso in Roma, il 14/01/2025.