Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2079 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 2079 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15586/2020 R.G. proposto da : COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale pro tempore , domiciliata ex lege in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
Per la revocazione della SENTENZA della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE ROMA n. 25983/2019 depositata il 15/10/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/12/2024 dal Co: COGNOME NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il contribuente NOME COGNOME era destinatario di avviso di accertamento per l’anno 2004 con il quale l’Ufficio disconosceva l’esenzione Irpef del reddito da trattamento di quiescenza per invalidità percepita, irrogando le conseguenti sanzioni.
I gradi di merito erano sfavorevoli alla parte contribuente, salvo l’annullamento delle sanzioni pronunciato nel grado di appello.
Ricorreva dunque per cassazione la parte contribuente affidandosi a quattro strumenti, illustrati altresì con memoria depositata in prossimità della pubblica udienza. Re sisteva l’Agenzia delle entrate con tempestivo controricorso e interponendo altresì ricorso incidentale per i capi di propria soccombenza.
Con sentenza n.25983/2019, depositata il 15 ottobre 2019, questa Suprema Corte di legittimità rigettava il ricorso della parte privata, accoglieva il ricorso incidentale della parte pubblica e, decidendo nel merito, rigettava il ricorso originario del contribuente, confermando così la ripresa a tassazione.
Avverso questa pronuncia proponeva ricorso per revocazione la parte contribuente, ai sensi dell’articolo 391 bis e 395, numero 4, del codice di procedura civile, iscritto al rgn. 15586/2020 ed affidato ad unico motivo, cui rispondeva l’Agenzia delle entrate con tempestivo controricorso, illustrato da memoria.
Nelle more del giudizio vi era domanda di definizione agevolata della parte privata, con conseguente emissione di decreto di estinzione del giudizio in data 1° luglio 2024. Sennonché, la procedura di definizione agevolata non ha avuto buon fine per reiezione della domanda con diniego da parte dell’Ufficio, donde il Patrono erariale ha presentato domanda di trattazione in udienza in data 10 luglio 2024 e domanda di prosecuzione del giudizio in data 18 luglio 2024. La causa è quindi stata chiamata all’odierna adunanza camerale, in
prossimità della quale la parte privata ha depositato ulteriore memoria ad illustrazione delle proprie ragioni.
CONSIDERATO
Preliminarmente dev’esser esaminata la questione pregiudiziale dell’estinzione del giudizio. Il relativo decreto presidenziale in data 1° luglio 2024 (pubblicato il giorno successivo) è condizionato alla positiva definizione agevolata della controversia, che risulta invece negata con provvedimento del 28 giugno 2024, reso noto con l’atto di opposizione al decreto e domanda di trattazione in udienza del successivo 10 luglio, poi ribadito in data 18 luglio 2024. La parte privata nulla ha obbiettato, né ha impugnato il diniego di definizione agevolata, depositando invece memoria in prossimità dell’odierna adunanza nella quale ha preso posizione sul merito della questione sottesa.
Pertanto, il decreto di estinzione dev’essere revocato ed il giudizio può proseguire con lo scrutinio nel merito del ricorso per revocazione della sentenza di questa Suprema Corte n. 25983/2019.
Viene proposto unico motivo di doglianza.
Con l’unico motivo di doglianza si profila censura ai sensi dell’articolo 391 bis del codice di procedura civile per errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa ai sensi dell’articolo 395, numero 4, del medesimo codice di rito.
Nello specifico, la parte contribuente rappresenta che con sentenza della commissione tributaria regionale per il Veneto numero 999/7/2015 depositata il 10 giugno 2015 e passata in giudicato, è stato accertato in modo definitivo e irretrattabile che l’origine del trattamento di quiescenza in questione deriva da causa di servizio, contratta durante il servizio di leva obbligatorio nell’anno 1985: trattandosi di emolumento conseguente a disabilità contratta per causa di servizio, quanto percepito dal contribuente risulta esente Irpef. Tale ultima sentenza citata si riferisce all’anno d’imposta 2007, ma -riguardando l’accertamento di un fatto con efficacia pluriennale-
se ne chiede qui l’applicazione quale estensione di giudicato esterno anche per l’anno d’imposta che è qui in contestazione, cioè l’anno fiscale 2004.
Dall’esame dell’incartamento processuale emerge che la sentenza appena citata è stata pubblicata nelle more del giudizio di cassazione, r.g.n. 3779/2014 sfociato poi nella sentenza revocanda n. 25983/2019, discussa nella pubblica udienza del giorno 26 giugno 2019.
Ora, il motivo di revocazione si incentra sul fatto che sia stata accertata la causa di servizio, tale venendo rappresentato come l’errore percettivo non colto dalla Corte, secondo quanto ribadito tanto in ricorso che in memoria, laddove si afferma che trattasi di documento nuovo (la sentenza n. 999/7/2015) non producibile al momento dell’introduzione del ricorso per cassazione, avverso la sentenza di secondo grado che ha rigettato la domanda di esenzione per l’anno di imposta 2004.
Deve rilevarsi che la sentenza n. 999/7/2015 non risulta prodotta in atti, tantomeno con l’attestazione di passaggio in giudicato. Più radicalmente, tuttavia, avrebbe ben potuto entrare nella cognizione del giudizio conclusosi con la sentenza revocanda e discusso alla pubblica udienza del 26 giugno 2019 (ben quattro anni dopo la sua pubblicazione), dove avrebbe potuto essere annunciata e fatta oggetto di discussione. Peraltro, e conclusivamente, quanto attestato nella predetta sentenza n. 999/7/2015 costituisce elemento probatorio già apprezzato autonomamente da questa Corte e non può quindi considerarsi errore di fatto percettivo, rientrando nella piena valutazione del giudicante, escludendosi così l’errore revocatorio.
In definitiva, il ricorso per revocazione è inammissibile e tale va dichiarato.
Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte revoca il decreto di estinzione del 1° luglio 2024; dichiara inammissibile il ricorso per revocazione;
condanna la parte privata alla rifusione delle spese di lite a favore dell’Agenzia che liquida in €.millequattrocento/00 , oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 115/2002 la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 12/12/2024.