Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18622 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18622 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/07/2025
Revocazione -errore di fatto –
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19893/2024 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE nella persona del proprio rappresentante legale, rappresentata e difesa dagli Avvocati COGNOME NOME e NOME COGNOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in Milano INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO è domiciliata ex lege .
-controricorrente – per la revocazione della sentenza della CORTE DI CASSAZIONE n. 3953/2024, depositata in data 13 febbraio 2024.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16 aprile 2025 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME
Fatti di causa.
Si legge dalla sentenza oggetto di ricorso per revocazione:’ Con avviso di accertamento n. CODICE_FISCALE/2013, la Direzione
Provinciale di Vicenza dell’Agenzia delle Entrate rettificava, ai sensi per gli effetti degli artt. 37, 39, 40 e 41 – bis del D.P.R nr. 600/73 la dichiarazione Modello Unico 2004, relativa al periodo d’imposta 1.1.2004 – 30.9.2004 dalla società RAGIONE_SOCIALE di COGNOME Giancarlo RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE, esercente l’attività di corriere espresso e franchisee della società RAGIONE_SOCIALE (corriere espresso di primaria rilevanza internazionale facente capo alla Royal Mail inglese e titolare del marchio RAGIONE_SOCIALE, partecipata da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME in modo diretto ed indiretto (tramite la società RAGIONE_SOCIALE) accertando: un maggiore reddito d’impresa pari ad euro 6.826.901,00; l’omessa effettuazione, dichiarazione e versamento di ritenute pari ad euro 174.066,00.
L’avviso di accertamento veniva notificato, ai sensi e per gli effetti dell’art. 14 del d.lgs. nr. 472/97, anche alla società RAGIONE_SOCIALE (interamente partecipata dalla societa RAGIONE_SOCIALE ed esercente attività di direzione e coordinamento delle diverse imprese licenziatarie del marchio RAGIONE_SOCIALE ed operanti sul territorio italiano), cessionaria (in forza di apposito atto di conferimento) del ramo d’azienda già di titolarità della società RAGIONE_SOCIALE
In particolare, il recupero a tassazione si fondava sulla riqualificazione dell’operazione di conferimento d’azienda, realizzata nel 2004, tra la RAGIONE_SOCIALE e la società in epigrafe, articolatasi nei termini di cui in appresso, ricavabili dagli ampi stralci dell’avviso di accertamento, come riportati da entrambe le parti nei propri atti difensivi:
cessione in data 16.9.2004 in favore della RAGIONE_SOCIALE (società costituita in data 3.9,.2004, partecipata da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME) di tutte le quote possedute da NOME COGNOME, NOME COGNOME
COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME nelle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE; le plusvalenze relative alle partecipazioni cedute risultavano affrancate in conseguenza della rivalutazione, effettuata ai sensi dell’art. 5 della legge n. 448/01 ed assoggettate ad imposta sostitutiva;
ii) trasformazione, in data 23.9.2004, della società RAGIONE_SOCIALE in «RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME RAGIONE_SOCIALE» e della società RAGIONE_SOCIALE in «RAGIONE_SOCIALE COGNOME Giancarlo RAGIONE_SOCIALE »
iii) per effetto del trasferimento delle quote societarie facenti capo ai Sigg.ri NOME COGNOME NOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME e della trasformazione di cui sopra: a) la società RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME & C. risultava partecip;ata nella misura dell’80% dalla società RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME RAGIONE_SOCIALE e nella misura del 20% dalla società RAGIONE_SOCIALE; b) la RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME RAGIONE_SOCIALE era partecipata nella misura del 100% dalla società RAGIONE_SOCIALE; c) la società RAGIONE_SOCIALE era, di fatto, titolare dell’intero capitale sociale della RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME & C.;
iv) conferimento, in data 30.9.2004, da parte della RAGIONE_SOCIALE di COGNOME Giancarlo RAGIONE_SOCIALE del proprio ramo d’azienda nella società RAGIONE_SOCIALE; il valore dell’azienda conferita veniva quantificato in € 7.538.420,00, con riconoscimento di una quota di partecipazione nel capitale della società in epigrafe pari al 5% e dal valore nominale di € 1.000,00, corrispondente al 5% del capitale. Il conferimento così eseguito determinava: l’emersione, in capo alla società conferente, di un reddito tassabile pari ad € 6.826.901,00, che, in applicazione delle previsioni di cui all’art. 5 del D.P.R nr. 917/86, veniva imputato nella misura dell’0,1% ai soci accomandatari, nella misura dell’80% alla società RAGIONE_SOCIALE, nella misura residua alla società RAGIONE_SOCIALE; l’imputazione, in applicazione delle previsioni di cui all’art. 5 del
D.P.R nr. 917/86, della quota di reddito ascritta alla società RAGIONE_SOCIALE al socio unico RAGIONE_SOCIALE che, pertanto, indicava come componenti positive sia i redditi trasferiti direttamente dalla RAGIONE_SOCIALE sia quelli derivanti dalla partecipazione totalitaria posseduta nel capitale della società RAGIONE_SOCIALE;
v) cessione, in data 15.10.2004, da parte della RAGIONE_SOCIALE di COGNOME RAGIONE_SOCIALE, alla società RAGIONE_SOCIALE della partecipazione, acquisita a seguito del conferimento del ramo d’azienda effettuato il 30.9.2004. nel capitale della societàRAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE per la somma di € 7.600.000,00, che non dava luogo all’emersione di materia imponibile in quanto il prezzo era in linea con il valore della partecipazione;
vi) sterilizzazione da parte della società RAGIONE_SOCIALE delle componenti positive in oggetto, con indicazione, nella dichiarazione dei redditi relativa al bilancio chiuso al 30 giugno 2005, tra le variazioni in diminuzione, al rigo RF55, dell’importo di € 7.808.363,00, in merito al quale la società non produceva alcuna a documentazione giustificativa; vii) liquidazione e cancellazione dal Registro delle imprese : delle societa RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
4. Evidenziava l’Ufficio che i contratti posti in essere avevano inteso creare uno schermo giuridico volto ad oscurare il reale intento dei contraenti che, di fatto, non avevano mai voluto gli effetti dei negozi posti in essere, tendendo piuttosto alla realizzazione di effetti diversi da quelli tipicamente attribuibili agli strumenti giuridici utilizzati. L’effetto ricercato, in realtà, era stato quello di far confluire, per trasparenza, in capo a RAGIONE_SOCIALE, interposta ad hoc , gli utili conseguiti dalle partecipate RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE al fine di abbatterli tramite i maggiori oneri opportunamente predisposti dalla RAGIONE_SOCIALE.
5. Il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE veniva accolto dalla CTP di Vicenza, con annullamento dell’atto impositivo impugnato. I giudici
di primo grado ritenevano non ricorrere nella specie le condizioni per l’applicazione dell’art. 14 del d.lgs. n. 472/97, in quanto RAGIONE_SOCIALE era rimasta estranea alle operazioni che avevano comportato la mancata dichiarazione & pagamento dell’imposta sulla plusvalenza. Inoltre, alla data della cessione dell’azienda, intervenuta il 30 settembre 2004, dopo che RAGIONE_SOCIALE si era trasformata da RAGIONE_SOCIALE, il debito per imposta non era ancora esistente, essendo invece sorto successivamente, nell’anno 2005, a seguito della presentazione della dichiarazione dei redditi della RAGIONE_SOCIALE riportante indebita variazione in diminuzione.
Sull’appello dell’Amministrazione, la C.t.r. del Veneto lo accoglieva, riformando la sentenza di primo grado, ed in particolare osservando: i) che, ai fini della tempestività della notificazione dell’avviso di accertamento, andavano ravvisati i presupposti per la proroga dei termini di cui all’art. 43 comma 3, del DPR 600/73; ii) nel merito, che la cessione della partecipazione non poteva ritenersi liberatoria con riguardo al debito tributario, già maturato, in quanto rientrava in una complessiva operazione con caratteristiche frodatorie, come esplicitamente enunciato nell’atto di accertamento ‘ .
Avverso la sentenza di secondo grado, la Società proponeva ricorso, su sette motivi, cui resisteva, con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Questa Corte, con sentenza n. 3953/2024, depositata in data 13 febbraio 2024, rigettava il ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE confermando la sentenza della C.t.r. del Veneto.
Avverso questa sentenza la Società ha proposto ricorso per revocazione , ai sensi dell’art.391 bis c.p.c., sulla base di unico motivo. L ‘Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
9.Il ricorso è stato trattato nella camera di consiglio del 16 aprile 2025 in prossimità della quale la ricorrente ha depositato memoria.
Ragioni della decisione
1. Con l’unico motivo di ricorso -così rubricato: «Nullità in relazione al combinato disposto degli artt. 391 bis e 395, primo comma, n. 4 cod. proc. civ.: la sentenza impugnata è effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa»- la Società deduce l’errore di fatto nel quale sarebbe incorsa questa Corte essendo la sentenza impugnata erroneamente fondata sull’esistenza di una connivenza di GLSE riguardo alla ‘articolata ragnatela di operazioni attuate da COGNOME, il cui unico scopo è stato quello di dismettere la società a costi fiscali pressocchè azzerati. In particolare, la ricorrente individua il prospettato errore di fatto nel seguente passo della sentenza impugnata: l’intreccio di atti preordinati ad occultare materia imponibile secondo uno schema artificioso e circolare culminato nella cessione finale, è chiaramente delineato e dai giudici di merito e descritto nel controricorso con ampio richiamo, anche mediante riproduzione integrale delle parti salienti, all’avviso di accertamento.
Secondo la prospettazione difensiva, in modo assolutamente divergente rispetto all’errata rappresentazione della realtà fattuale riportata nel capo della sentenza testè richiamato, sin dall’avviso di accertamento emesso dall’Ufficio emerge unicamente che l’attività accertativa ha riguardato, esclusivamente, la posizione fiscale di COGNOME e la frode commessa dai suoi soci, mentre nessun elemento probatorio relativo ad una eventuale connivenza di RAGIONE_SOCIALE è mai stato accertato, identificato e ivi riportato. In altri termini, la ricorrente evidenzia che l’intero avviso di accertamento non spendeva neppure una parola riguardo all’operato di RAGIONE_SOCIALE e sul come la stessa sarebbe stata compartecipe rispetto al disegno fraudolento posto in essere da COGNOME e dai suoi soci così come sia i giudici di merito che l’Ufficio, in sede di controricorso, avevano sempre valorizzato gli elementi fattuali a supporto della frode posta in essere da COGNOME e dai suoi soci senza mai provare il benchè
minimo elemento a supporto della connivenza e compartecipazione alla frode della ricorrente.
In sintesi, secondo la prospettazione difensiva, la falsa rappresentazione fattuale relativa alla connivenza di RAGIONE_SOCIALE che la sentenza, impugnata per revocazione, ha incomprensibilmente ritenuto presunta e in ogni caso provata da parte dell’Ufficio renderebbe immediatamente intellegibile l’errore revocatorio cui è conseguita l’errata applicazione, al caso di specie, della previsione normativa di cui all’art.14, commi 4 e 5 del d.lgs.n.472 del 1997.
Il ricorso è inammissibile.
2.1. Con un recente arresto (ordinanza n.13417 del 16 maggio 2023) le Sezioni unite di questa Corte hanno ulteriormente puntualizzato il principio secondo cui l’errore di fatto revocatorio, ai sensi dell’art. 395, comma 4, c.p.c., consiste in una falsa percezione della realtà, in una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, che abbia condotto ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo, incontestabilmente escluso dagli atti e dai documenti di causa, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che, dagli stessi atti e documenti, risulti positivamente accertato, sicché i vizi relativi all’interpretazione della domanda giudiziale non rientrano nella nozione di “errore di fatto” denunciabile mediante impugnazione per revocazione (fra le tante, in senso conforme Cass. n. 6505 del 2018).
Ancora, in tema di revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, la configurabilità dell’errore revocatorio di cui all’art. 391 bis c.p.c. presuppone un errore di fatto, che si configura ove la decisione sia fondata sull’affermazione di esistenza od inesistenza di un fatto che la realtà processuale induce ad escludere o ad affermare, non anche quando la decisione della Corte sia conseguenza di una pretesa errata valutazione od interpretazione delle risultanze processuali, essendo esclusa dall’area degli errori
revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione (Cass. n. 10040 del 2022).
Inoltre, sempre secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte <> (cfr. Cass.n.27662 del 2018, richiamata di recente, da Cass. n.27897 del 29 ottobre 2024).
2.2. Nel caso in esame, le circostanze e le deduzioni svolte in ricorso non integrano l’ipotesi dell’errore revocatorio secondo i principi sopra richiamati, apparendo piuttosto che la ricorrente tenti di investire la Corte delle doglianze già in precedenza prospettate.
Dalla lettura della sentenza n. 3953/2024, oggetto di revocazione, emerge che la Corte ha rigettato il primo e secondo motivo di ricorso (sulla dedotta violazione dell’art. 14 d.lgs. 472/1997 e dell’art. 83 d.p.r. 917/1986 per mancata partecipazione della cessionaria allo schema frodatorio), così argomentando: ‘L’intreccio di atti preordinati ad occultare materia imponibile secondo uno schema artificioso e circolare, (v. Racc/2012/772UE, in part. § 4.4) culminato nella cessione finale, è chiaramente delineato dai giudici di merito e descritto nel controricorso con ampio richiamo, anche mediante riproduzione integrale delle parti salienti, all’avviso di accertamento’.
Appare evidente, dalla complessiva lettura della motivazione, che tale passo si riferisce genericamente ai vari atti posti in essere, per occultare la materia imponibile, culminati nella cessione finale. Invero, la motivazione prosegue specificandosi che ‘La posteriorità
della dichiarazione infedele della cedente non riveste pertanto rilievo, atteso che l’obbligazione tributaria sorge ex lege con il verificarsi del presupposto di fatto del tributo, da riferirsi alla prefigurazione e messa in atto dello schema in oggetto, laddove la dichiarazione fiscale e il successivo accertamento non fanno parte del meccanismo costitutivo del rapporto d’imposta, ma sono rivolti solo a darvi ultima esecuzione.’, fondando l’assunto con ampio richiamo ai precedenti giurisprudenziali in materia di responsabilità ai sensi del citato art.14 (v.pgg.12 e 13 della sentenza impugnata) per giungere, in applicazione ai richiamati principi, alla valutazione della correttezza, in diritto, sul punto della sentenza della Commissione tributaria regionale.
2.3. Da quanto sin qui esposto è, quindi, evidente che, nella specie, non solo nessuna svista percettiva è imputabile alla Corte ma, ancora prima, che il passo motivazionale censurato, lungi dall’essere inficiato dal prospettato errore di fatto, costituisce una delle argomentazioni del complessivo impianto valutativo, oggetto di discussione tra le parti, tramite il quale la Corte è giunta alla decisione assunta e che la ricorrente mira, inammissibilmente nella sostanza, a rivedere e riformare.
Le spese seguono il criterio della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile.
Condanna la ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese processuali che si liquidano in € 8.200,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis del medesimo art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma in data 16 aprile 2025.