Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22127 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22127 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 31/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14012/2016 R.G. proposto da :
NOME COGNOME , elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. CAMPANIA n. 10967/2015 depositata il 04/12/2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
L’avv. NOME COGNOME ha proposto davanti alla CTR della Campania ricorso per revocazione ex art. 395 n. 4 c.p.c. della sentenza n. 80/07/2015 della stessa Commissione che, in parziale accoglimento del gravame erariale contro la sentenza di primo grado della CTP di Napoli, aveva accertato maggiori redditi del
contribuente, pari ad euro 18.748,34, così confermando in parte l’avviso di accertamento per il 2007 emesso dall’Agenzia delle entrate nei confronti del Russo e dovute le maggiori imposte IRPEF e IVA pretese.
La CTR, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato il ricorso per revocazione in quanto il Russo, lamentando che la decisione d’appello era fondata su elementi di prova che non potevano più essere posti in discussione a seguito di mancata contestazione dell’Ufficio, non aveva denunziato l’errata percezione di un fatto immediatamente emergente dagli atti, bensì aveva censurato un errore nella valutazione degli atti processuali.
Il contribuente ha proposto ricorso per la cassazione di questa sentenza affidato a due mezzi.
Ha resistito con controricorso l’Agenzia delle entrate.
In data 14.12.2022, con atto depositato telematicamente, i due difensori del ricorrente, NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno rappresentato di essersi cancellati dall’albo professionale.
Con ordinanza interlocutoria depositata il 13.6.2024 si è quindi disposto rinvio a nuovo ruolo con comunicazione al ricorrente per la nomina di nuovo difensore.
CONSIDERATO CHE
Preliminarmente va dato atto che alla notifica dell’ordinanza interlocutoria, effettuata sia alla parte personalmente sia presso il domicilio eletto, non ha fatto seguito la costituzione di altro difensore per il ricorrente.
1.1. La cancellazione del difensore del ricorrente dall’albo degli avvocati patrocinanti dinanzi alle giurisdizioni superiori non comporta difatti l’interruzione del giudizio di cassazione, ma consente alla Corte di rinviarlo ad altra udienza (o adunanza), previa comunicazione alla parte dell’ordinanza di differimento, al fine di garantire a quest’ultima la possibilità di nominare un nuovo difensore, atteso che tale evento incide negativamente
sull’esercizio del diritto di difesa e sull’integrità del contraddittorio, la cui inviolabilità, secondo i principi del giusto processo, va garantita anche nel giudizio di legittimità in termini non dissimili da quanto accade nelle fasi di merito (Cass. n. 11300 del 2023); fermo restando che ove la parte, una volta ricevuta tale comunicazione, rimanga inerte e non provveda alla nomina di un nuovo difensore, vengono meno i presupposti per reiterare gli adempimenti prescritti dall’art. 377, comma 2, c.p.c. (Cass. sez. un. n. 1206 del 2006; Cass. sez. un. n. 477 del 2006).
Con il primo motivo si deduce, in relazione a ll’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 395 n. 4 c.p.c., richiamato dall’art. 64 d.lgs. n. 546/1992, in quanto la CTR aveva errato nel ritenere che il giudizio vertesse sulla violazione dell’art. 115 c.p.c. perché la mancata contestazione di un fatto determina la sua incontrovertibilità con effetti vincolanti anche per il Giudice che deve dare rilievo a quel fatto in termini di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità.
2.1. Il motivo è infondato.
2.2. La Commissione, con la sentenza oggetto del presente ricorso, ha del tutto correttamente affermato che quella doglianza del contribuente non denunzia un errore percettivo del fatto ma censura la valutazione dei mezzi di prova, lamentando proprio la violazione dell’art. 115 c.p.c.
2 .3. Nel caso previsto dall’art. 395 n. 4 c.p.c. l”errore percettivo’ consiste in una falsa percezione della realtà o in una svista materiale che abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto la cui verità sia incontestabilmente esclusa ovvero l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita dagli atti o documenti di causa, qualora il fatto non sia stato un punto controverso oggetto della sentenza impugnata (Cass. n. 37382 del 2022; Cass. n. 25752 del 2022), e non ricorre quando la decisione sia conseguenza di una pretesa errata
valutazione od interpretazione delle risultanze processuali, essendo esclusa dall’area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione (Cass. n. 10040 del 2022; Cass. n. 20635 del 2017) e ricadenti su un punto controverso (Cass. n. 2236 del 2022).
2.4. Si afferma, così, che l’errore rilevante ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c.: a) consiste nell’erronea percezione dei fatti di causa che abbia indotto la supposizione dell’esistenza o dell’inesistenza di un fatto, la cui verità è incontestabilmente esclusa o accertata dagli atti di causa (sempre che il fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito terreno di discussione delle parti); b) non può concernere l’attività interpretativa e valutativa; c) deve possedere i caratteri dell’evidenza assoluta e dell’immediata rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti di causa; d) deve essere essenziale e decisivo (Cass. n. 20013 del 2024).
2.5. Il ricorrente considera come errore percettivo quello che, al più, sarebbe un errore di valutazione della prova, tanto è vero che richiama l’art. 115 c.p.c. per avvalorare la supposta incontrovertibilità di quei fatti e ciò conferma che la questione non riguarda la percezione di un dato della realtà oggettiva ma l’applicazione di una norma nell’apprezzamento di una prova. Su tale questione, oltretutto, le deduzioni del ricorrente non paiono neppure in linea con la giurisprudenza di questa Corte sul tema, secondo cui «nel processo tributario, nell’ipotesi di ricorso contro l’avviso di accertamento, il principio di non contestazione non implica a carico dell’Amministrazione finanziaria, a fronte dei motivi di impugnazione proposti dal contribuente, un onere di allegazione ulteriore rispetto a quanto contestato mediante l’atto impositivo, in quanto detto atto costituisce nel suo complesso, nei limiti delle censure del ricorrente, l’oggetto del giudizio» (Cass. n. 19806 del 2019).
Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c., omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti e consistente nell’omessa considerazione degli ulteriori motivi di revocazione della sentenza n. 80/2015 posti a base del ricorso e segnatamente:
era erronea l’affermazione secondo cui nel PVC 28.7.2011, trascritto in stralcio nell’avviso di accertamento, figurassero proventi affluiti sui c/c presso il San Paolo Banco di Napoli e presso il Monte dei Paschi di Siena, mentre in quell’atto si attesta che il solo rilevamento bancario era stato eseguito presso la Banca Popolare di Ancona, così come era erronea l’indicazione del PVC 28.7.2011 quale fonte di accertamento di compensi per euro 18.748,34 ricevuti da compagnie assicuratrici, mentre si trattava del PVC 20.10.2010 che non riporta rilevamenti bancari e riconduce l’accertamento alle dichiarazioni dei clienti;
ii) erroneamente la prova dei compensi erogati da compagnie di assicurazione era stata rinvenuta nelle dichiarazioni mod. 770 che non erano presenti tra gli atti di causa « né in termini documentali né di semplice menzione »;
iii) la sentenza n. 80/2015 era in « netto contrasto » con le sentenze che, con riferimento agli anni di imposta 2005 e 2006, avevano escluso i compensi rilevati nel PVC 20.10.2010 e si poneva così in contraddizione con « l’unicità della fonte di accertamento, costituita, per tutte le annualità dagli stessi due processi verbali constatazione Guardia di Finanza »;
3.1. Inoltre, si lamenta, nel contesto del motivo, l’omessa motivazione sull’istanza di sospensione del termine per proporre ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 398 comma 4 c.p.c., in attesa della decisione sul ricorso per revocazione.
3.2. Il motivo è inammissibile e comunque infondato.
3.3. Va osservato che la censura ex art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. deve riguardare un fatto storico, principale o secondario,
ossia un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, la cui esistenza risulti dalla sentenza o dagli atti processuali, che ha costituito oggetto di discussione tra le parti e ha carattere decisivo (Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017), senza che possano considerarsi tali né le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative, né le singole risultanze istruttorie, ove comunque risulti un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal giudice di merito sulla base delle prove acquisite nel corso del relativo giudizio ( ex multis , v. Cass. n. 10525 del 2022; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. n. 5795 del 2017).
3.4. Né è censurabile ex art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. la pronuncia che ha preso in considerazione il fatto storico rilevante pur non dando atto di tutte le risultanze (Cass. n. 28887 del 2019), come avvenuto in questo caso in cui la pronuncia, sebbene non esamini ex professo i singoli asseriti errori percettivi mostra di averli ben presenti nel momento in cui con formula sintetica ma di portata generale, capace di abbracciare l’intera domanda di revocazione, afferma che « alcuna ipotesi di errore di fatto risultante dagli atti o documenti di causa appare ravvisabile ».
3.5. La censura è veicolata impropriamente attraverso il paradigma ex n. 5 dell’art. 360 c.p.c. , deducendosi, in realtà, ipotesi di falsa applicazione di legge, laddove si sostiene che quelle circostanze rappresentavano errori percettivi che giustificavano l’accoglimento della domanda di revocazione. Anche a voler ritenere superato il vaglio di ammissibilità, il motivo va disatteso perché le circostanze dedotte sono prive dei requisiti che, secondo quanto sopra precisato, possono dar luogo a revocazione: – le erronee indicazioni evidenziate non hanno carattere di essenzialità e decisività; – la questione relativa ai mod. 770 non si configura
come mera svista percettiva ma riguarda il piano della valutazione delle prove, costituite, secondo la sentenza oggetto di revocazione, da « fonti ed i relativi contabili analiticamente riportati nei due PVC della Guardia di Finanza », sottraendosi come tale al rimedio revocatorio, avendo costituito un punto controverso oggetto della decisione (v. Cass. n. 27897 del 2024); il richiamo all”unicità’ della fonte di prova costituita dai PVC del 20.10.2010 e 28.7.2011, al fine di stigmatizzare il contrasto tra pronunce relative a periodi di imposta diversi, evoca una questione giuridica (tra l’altro, del tutto infondata, considerate la discrezionalità dei singoli giudici nella valutazione delle prove e l’autonomia dei singoli periodi di imposta).
3.6. Con riguardo, poi, alla questione dell’omessa motivazione in ordine all’istanza di sospensione ex art. 398 comma 4 c.p.c. , è di tutta evidenza che la censura proposta non si presta ad essere ricondotta al paradigma di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., non essendo stato omesso l’esame di un ‘fatto storico’ nel senso sopra evidenziato. Si tratta di una questione di ordine processuale che appare inammissibile. Da un lato, il provvedimento di rigetto dell’istanza di sospensione del termine per la proposizione del ricorso per cassazione ha natura ordinatoria e non ha alcuna incidenza sulla pronuncia che ha definito il giudizio di revocazione. D’altro lato, la parte non può dolersi della mancata motivazione del rigetto dell’istanza di sospensione atteso che, secondo questa Corte, « In tema di revocazione ordinaria, i vizi di cui ai numeri 4 e 5 dell’art. 395 cod. proc. civ. hanno carattere palese, ossia debbono essere riconoscibili alla semplice lettura della motivazione da parte del soccombente, con la conseguenza che l’impugnazione -atteso il carattere eccezionale della revocazione, non suscettibile di interpretazione estensiva -è ammissibile solo ove detti vizi risultino immediatamente rilevanti ai fini decisori. Ne consegue, inoltre, che l’art. 398, quarto comma,
cod. proc. civ., come modificato dall’art. 68 della legge 26 novembre 1990, n. 353, ed interpretato alla luce dei principi del giusto processo e della sua ragionevole durata, nonché del principio di lealtà processuale di cui all’art. 88, primo comma, cod. proc. civ., non consente al ricorrente per revocazione di giovarsi della sospensione del termine di ricorso per cassazione qualora l’impugnazione per revocazione sia manifestamente infondata » (Cass. n. 20905 del 2013) ; nel rigetto dell’istanza di sospensione, quindi, è implicito il riconoscimento della manifesta infondatezza della revocazione.
Le spese, liquidate come in dispositivo, vanno regolate secondo soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.400,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito; a i sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 24/06/2025.