Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 18598 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 18598 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso per revocazione iscritto al n. 16611/2017 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE (CODICE_FISCALE), elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE ROMA n. 10807/2016 depositata il 25/05/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/06/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza in epigrafe indicata, rigettava il ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza n. 42/02/10 depositata il 23 settembre 2010, con la quale la Commissione tributaria regionale del Molise aveva respinto l’appello di RAGIONE_SOCIALE avverso la decisione n. 164/03/05 della Commissione Tributaria Provinciale di Isernia che aveva a sua volta rigettato tre riuniti ricorsi promossi contro altrettanti avvisi di accertamento ICI 1993 1994 1998 emessi dal Comune di Frosolone relativamente ad un «fabbricato» di proprietà della contribuente.
Avverso la suddetta sentenza della Suprema Corte di Cassazione, la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per revocazione, cui ha resistito con controricorso il comune intimato.
Parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ. e successivamente memoria ex art. 380 bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
In via preliminare deve darsi atto che parte ricorrente ha depositato una doppia memoria, rispettivamente ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ. e 380 bis .1 cod. proc. civ., nei termini di legge.
1.1. A prescindere dalla impropria rubricazione della prima memoria sub art. 378 cod. proc. civ., deve ribadirsi, in continuità con orientamento già espresso da questa Corte, che ambedue le memorie sono ammissibili, atteso che ‘ L’art. 380bis .1 c.p.c. consente alle parti di depositare le loro memorie non oltre dieci giorni prima dell’adunanza in camera di consiglio, sicché non può intendersi preclusa alla medesima parte, nel rispetto dell’anzidetto termine, la presentazione di più memorie, senza che il deposito di una prima memoria implichi la consumazione del potere di difesa scr itta’ (Cass. 31/08/2020, n.18127).
Quanto alle censure, in via rescindente il ricorrente deduce che l’accatastamento nella categoria D/10 è stato attribuito al cespite in data 5.3.2002 perché in precedenza tale categoria non risultava ancora istituita (essendo stata creata con l’art. 1 del d.P.R. 139/1998), sicché la Corte di Cassazione – nel correggere la motivazione, confermando la decisione del CTR ed affermando il diverso presupposto del mancato accatastamento nella corretta categoria, necessario per l’esenzione avrebbe commesso errore di fatto suscettibile di revocazione.
Lamenta dunque, con riferimento al secondo motivo di ricorso proposto nell’originario ricorso per cassazione concluso con decisione di cui si chiede la revocazione, formulato in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. per violazione e falsa applicazione dell’art. 9 d.l. 557/1993, dell’art. 23 l. 14/2009 e dell’art. 2 d.P.R., che il cespite risulterebbe in realtà essere votato all’attività agricola come risultante rispettivamente nella concessione edilizia rilasciata dal Comune, nell’autorizzazione di agibilità ed abitabilità e nell’accertamento della proprietà immobiliare urbana, sicché, contrariamente a quanto affermato in sentenza, indipendentemente dalla classificazione catastale e dalla iscrizione nel catasto fabbricati, non avrebbe dovuto essere soggetto ad ICI.
Il ricorso è inammissibile.
Questa Corte si è già pronunciata (Cass. 12/07/2018, n. 1482) su caso del tutto analogo, con il quale si deduceva l’errore revocatorio ritenendo che il motivo di ricorso fosse stato erroneamente dichiarato inammissibile dalla Corte per difetto di autosufficienza, in quanto la visura catastale (attestante l’accatastamento D/10 del fabbricato), era stata richiamata ed indicata negli atti di causa, e che la Corte avrebbe errato nel ritenere che negli anni oggetto di accertamento (in quel caso riferito alle annualità 1995, 1996 e 1997) fosse possibile conseguire la categoria D/10, in quanto tale categoria era stata istituita nell’intero
territorio nazionale solo successivamente, con il d.p.r. 139/1998 del 12.5 1998, entrato in vigore dal 27.1.2000.
4.1. Non vi è ragione per discostarsi da tale orientamento.
4.2. Quanto al primo errore prospettato (in punto di dichiarata carenza di autosufficienza) questa Corte (Cass. n. 14608/2007; id. n.9835/2012 e, di recente, Cass. ord. n. 20635 del 31/08/2017), è ferma nel ritenere che <‹In tema di revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, la configurabilità dell'errore revocatorio presuppone un errore di fatto, che si configura ove la decisione sia fondata sull'affermazione di esistenza od inesistenza di un fatto che la realtà processuale induce ad escludere o ad affermare, non anche quando la decisione della Corte sia conseguenza di una pretesa errata valutazione od interpretazione delle risultanze processuali, essendo esclusa dall'area degli errori revocatori la sindacabilità di errori di giudizio formatisi sulla base di una valutazione. Ne consegue l'impossibilità di configurare errore revocatorio nel giudizio espresso dalla sentenza di legittimità impugnata sulla violazione del principio di autosufficienza in ordine a uno dei motivi di ricorso, per omessa indicazione e trascrizione dei documenti non ammessi dal giudice d'appello››.
4.2.1. Questa Corte ha infatti reiteratamente affermato l'impossibilità di configurare l'errore revocatorio nel giudizio espresso dalla sentenza di legittimità impugnata sulla violazione del principio di autosufficienza in ordine a uno dei motivi di ricorso, per omessa indicazione e trascrizione dei documenti non ammessi dal giudice d'appello. Da tale orientamento non vi è ragione di discostarsi.
4.2.2. Inoltre, deve osservarsi anche che questo tipo di errore si sostanzia, in realtà, in un errore di diritto, insuscettibile per definizione di impugnazione con il rimedio della revocazione (Cass., sez. un, ord. 30/10/2008 n. 26022 (Rv. 605295)), riservato all'errore di fatto.
4.3. Quanto, poi, alla seconda prospettazione, è evidente che le circostanze ivi dedotte non integrano il concetto di "fatto" nell'accezione rilevante di cui all'art. 395 n. 4 cod. proc. civ.. Secondo l'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, infatti, l'errore revocatorio deve, tra l'altro, consistere in una errata percezione del fatto, in una svista di carattere materiale, oggettivamente ed immediatamente rilevabile, tale da avere indotto il giudice a supporre la esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo incontrovertibile, oppure a considerare inesistente un fatto accertato in modo parimenti indiscutibile; non cadere su di un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata e non consistere in un vizio di assunzione del fatto, né in un errore nella scelta del criterio di valutazione del fatto medesimo. Sicché detto errore non soltanto deve apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche, ma non può tradursi, in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, ovvero di norme giuridiche e principi giurisprudenziali: vertendosi, in tal caso, nella ipotesi dell'errore di giudizio, inidoneo a determinare la revocabilità delle sentenze della Cassazione (fra le tante S.U. n. 7217/2009, nonché n. 22171/2010; n. 23856/2008; n. 10637/2007; n.7469/2007; n. 3652/2006; n. 13915/2005; n. 8295/2005).
5. Parte ricorrente ha fatto inoltre riferimento, con la memoria ex art. 380 bis .1 cod. proc. civ., alla Convenzione EDU, citando il caso COGNOME c. Italia per contestare l'eventuale eccesso di formalismo della decisione nell'ipotesi in cui si ritenesse che il riscontrato vizio di autosufficienza non possa essere oggetto di revocazione. Trattasi di ulteriore esplicazione della questione in diritto già dedotta con i motivi introduttivi, sicché deve ritenersi ammissibile, imponendo la successiva analisi della argomentazione proposta.
5.1. Ritiene però la Corte che tale riferimento non sia del tutto congruo rispetto alla fattispecie in oggetto.
5.2. Deve rilevarsi, in primo luogo, che la materia impositiva fiscale ( tax matter ) – quale certamente è quella interessante presente fattispecie – non rientra nell'ambito dei 'diritti civili' tutelati dalla Convenzione EDU (Corte EDU, 12/07/2001, RAGIONE_SOCIALE c. Italia ; Corte EDU, 22/11/2006, Jussila c.d Finlandia; Corte EDU, 3/11/2022, RAGIONE_SOCIALE cRAGIONE_SOCIALE Belgique ; Corte EDU, 19/10/2023 Locascia and others vINDIRIZZO ).
5.2.1. Tuttavia, la Corte di Strasburgo ha precisato che l'art. 6 non tutela solo le libertà ed i diritti fondamentali tutelati dalla Convenzione EDU stessa, ma tutti i 'diritti' riconosciuti dall'ordinamento interno.
5.2.2. In ciò si differenzia, quanto alle disposizioni di diretta rilevanza in materia processuale, dall'art. 13 della Convenzione EDU (e correlata giurisprudenza) in tema di diritto ad un ricorso effettivo, che si riferisce, invece, solo alle posizioni giuridiche tutelate dalla Convenzione EDU (CEDU, M.S.S. c. Belgio e Grecia , 2011, § 288), in cui non rientra la materia fiscale impositiva.
5.2.3. Per poter parlare dell'esistenza di un 'diritto', inteso quale nozione 'autonoma' derivante dalla Convenzione e tutelato dall'art. 6 CEDU, deve poi esservi una 'controversia' relativa a un 'diritto' del quale si possa affermare, almeno per motivi sostenibili, che sia riconosciuto dal diritto interno, a prescindere – per quanto appena detto – dal fatto che esso sia tutelato dalla Convenzione o meno (CEDU, Boulois c. Lussemburgo , 2012, § 90; Denisov c. Ucraina , 2018, § 44; Bilgen c. Turchia , 2021, §§ 56 e 63). Tali elementi sussistono nel caso di specie.
5.2.4. Ciò chiarito, rilevato che la sentenza invocata dal ricorrente (il caso COGNOME c. Italia ) attiene in parte qua all'art. 6 della Convenzione EDU, considerato altresì che si verte certamente in tema
di diritti tutelati dall'ordinamento interno, deve dunque passarsi ad analizzare la pertinenza e la rilevanza di detta decisione rispetto al caso di specie.
5.2.5. In proposito, si deve rammentare che la giurisprudenza sovranazionale della Corte di Strasburgo ha, al contrario di quanto afferma il ricorrente, confermato, in termini generali, la validità della regola della autosufficienza, nella parte che riguarda l'istituto nella sua essenza, proprio in occasione del citato caso COGNOME c. Italia.
5.2.6. Tale controversia riguardava difatti diversi ricorsi riuniti, con riferimento solo ad uno dei quali la Corte EDU si è pronunciata riconoscendo l'eccesso di formalismo nel caso concreto, mentre, nel complesso, la Corte alsaziana non ha affatto messo in discussione l'istituto della autosufficienza in sé considerato, come emerge dai pfg. 96-101 della decisione (Corte EDU, 28/11/2021, COGNOME e altri contro Italia §§ 96-101).
5.2.7. Ne consegue che il riferimento giurisprudenziale dedotto nel ricorso non assume rilievo dirimente nel caso di specie.
5.3. Anche sotto tale profilo non vi è dunque ragione di discostarsi dal precedente in termini poc'anzi richiamato, alla luce delle considerazioni sopra esposte in riferimento al caso concreto in analisi.
In ragione di quanto illustrato, consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza, secondo la liquidazione di cui al dispositivo.
8 . In conseguenza dell'esito del giudizio ricorrono i presupposti processuali per dichiarare la sussistenza dei presupposti per il pagamento di una somma pari al contributo unificato previsto per la presente impugnazione, se dovuto, ai sensi dell'art. 13, c omma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso per revocazione.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 3.000,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovu to per il ricorso principale, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 26/06/2024.