Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 34669 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 34669 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/12/2024
revocazione
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 31066/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, sedente in Faggiano, in persona del legale rappresentante, assistito, rappresentato e difeso, giusta procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio RAGIONE_SOCIALE in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso la stessa domiciliata in Roma, INDIRIZZO
– controricorrente –
Per la revocazione della sentenza di questa Suprema Corte del 20 luglio 2021, n. 20649.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24 gennaio 2023 dal consigliere NOME COGNOME
Si dà atto che il Sostituto Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso per revocazione e in via subordinata, nel merito, il rigetto del ricorso originario spiegato contro il diniego di definizione agevolata.
Si dà atto altresì che il difensore della contribuente, avv. NOME COGNOME ha concluso per l’accoglimento del ricorso per revocazione e l’accoglimento di quello avverso diniego di definizione agevolata, mentre la difesa erariale ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1.L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione avverso la sentenza n. 110/9/11 pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo, depositata il 18 aprile 2011, affidandosi a due motivi. La contribuente si è costituita in giudizio con controricorso per resistere all’impugnativa. La stessa ha chiesto la sospensione del processo ai sensi dell’art. 6, d.l. 23 ottobre 2018, n.119, e ha poi depositato la domanda di definizione agevolata presentata il 29 maggio 2019, con la prova del versamento della prima rata. Il Centro operativo di Pescara ha quindi opposto diniego alla richiesta di definizione agevolata, in quanto l’atto impugnato non sarebbe stato fra quelli definibili in base alla normativa suddetta. La contribuente ha quindi depositato ricorso avverso tale diniego, fondato su tre motivi, cui l’Agenzia ha resistito a mezzo di deposito di controricorso.
Questa Corte, con la sentenza di cui si chiede la revocazione, ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso avverso il diniego di definizione agevolata, osservando che lo stesso venne depositato oltre il termine di sessanta giorni. Invero, il diniego venne notificato alla contribuente in data 16 marzo 2020, con scadenza al 15 maggio successivo, mentre il ricorso venne notificato a mezzo pec del 29 giugno 2020. La sentenza ha poi deciso nel merito la vertenza, accogliendo il primo motivo del ricorso proposto dall’Agenzia e, assorbito il secondo, cassata la sentenza impugnata, decidendo nel merito ha rigettato il ricorso introduttivo proposto dalla contribuente.
Con il ricorso introduttivo della presente controversia la contribuente afferma che la suddetta sentenza di questa Corte
sarebbe affetta da errore di fatto ai sensi dell’art. 395, primo comma, num. 4), cod. proc. civ., come richiamato dall’art. 391 -bis , cod. proc. civ., con richiesta, in sede rescissoria, di riesame del ricorso avverso il diniego di definizione agevolata e del merito del ricorso per cassazione, decidendo nel merito. L’Agenzia si è costituita per resistere al mezzo.
Con una prima ordinanza interlocutoria resa il 23 gennaio 2023 la causa veniva rimessa sul ruolo a seguito dell’astensione di un componente del collegio, e successivamente con una seconda ordinanza interlocutoria del 28 giugno 2023 veniva disposta la rimessione in pubblica udienza.
Infine, la difesa della ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con l’unico motivo (per quanto non autonomamente articolato) la ricorrente deduce che la decisione di questa Corte sarebbe affetta da errore di fatto, quindi un errore materiale o di svista che suppone l’esistenza o inesistenza di un fatto la cui verità risulta rispettivamente esclusa o accertata; errore che sarebbe altresì decisivo. L’errore siffatto consisterebbe nella specie nell’essere il termine per l’impugnazione del diniego ricaduto nel periodo di sospensione dei termini per liquidazione, controllo, accertamento, riscossione e contenzioso, previsto dall’art. 29, comma 3, d.l. 8 aprile 2020, n. 23, in relazione all’art. 67, comma 1, del d.l. 17 marzo 2020, n. 18. Periodo che era ricompreso fra l’otto marzo e il 31 maggio 2020.
Il termine di sessanta giorni, a fronte della notifica del 16 aprile 2020, sarebbe così decorso solo a partire dal primo giugno, col ché il ricorso del 29 giugno sarebbe stato pienamente tempestivo.
1.1. Il ricorso è inammissibile.
Ciò che palesemente la parte ricorrente imputa alla sentenza è non già di essere caduta in errore circa le date di proposizione del ricorso o di notifica dell’atto impugnato, su cui non v’è questione,
ma di non aver fatto applicazione di una norma di legge che disponeva la sospensione del termine. La mancata applicazione di una disposizione di legge ad una determinata fattispecie non configura certo un errore di fatto, ma semmai (la prospettazione di) un errore di diritto, e ciò nella stessa prospettazione di chi lo rappresenta.
Con riferimento all’ipotesi di valutazione dei dati temporali, va ricordato che l’errore di fatto riguarda solo l’erronea presupposizione dell’esistenza o dell’inesistenza di fatti considerati nella loro dimensione storica di spazio e di tempo, non potendosi far rientrare nella previsione il vizio che, nascendo ad esempio da una falsa percezione di norme che contemplino la rilevanza giuridica di questi stessi fatti, integri gli estremi dell’ error iuris , sia che esso attenga ad obliterazione delle norme medesime, riconducibile all’ipotesi della falsa applicazione, sia che si concreti nella distorsione della loro effettiva portata, riconducibile all’ipotesi della violazione (vedasi tra le tante Cass., Sez. U., 27/12/2017, n. 30994 e sent. ivi cit. a § 3.4; conf. Cass., Sez. U., 27/12/2017, nn. da 30995 a 30997).
Occupandosi del computo dei termini in relazione alla prospettazione dello stesso come affetto da un errore di fatto, questa Corte ha coerentemente stabilito che l’errore revocatorio si deve risolvere in un abbaglio o svista nell’applicazione del calendario comune (Cass. 4565/2018), il che nella specie non è poiché palesemente, come detto, nessun errore sul punto si riscontra né viene denunziato.
Conseguentemente mancano i presupposti stessi per l’applicazione della disposizione di cui all’art. 391 -bis, cod. proc. civ.
Né vale l’argomento per cui si tratterebbe nella specie di ipotesi di vulnus al diritto alla difesa, posto che l’inammissibilità della revocazione delle decisioni della Corte di cassazione ai sensi dell’art. 395 n. 5 cod. proc. civ. non si pone in contrasto – oltre che
con i principi di cui agli artt. 3, 24 e 111 Cost. – con il diritto dell’Unione europea, non recando alcun “vulnus” al principio di effettività della tutela giurisdizionale dei diritti, atteso che la stessa giurisprudenza della Corte di Giustizia riconosce l’importanza del principio della cosa giudicata, rimettendone la concreta attuazione all’autonomia processuale dei singoli Stati membri (Cass. 8630/2019).
Nella specie va altresì osservato che anche ove si fosse aderito alla giurisprudenza superata dalle richiamate pronunce a Sezioni Unite, secondo cui l’errore revocatorio poteva essere rappresentato anche dal mancato computo nel calcolo dei termini a ricorrere del periodo feriale pacificamente applicabile (cfr. Cass. 23445/14), lo stesso ricorso avverso diniego non avrebbe comunque potuto trovare accoglimento in relazione al fatto che ricorre nella specie l’ipotesi della causa di esclusione dalla definizione delle controversie prevista dall’art. 6, comma 5, lett. b, d.l. n. 119/2018, versandosi infatti in tema di somme dovute a titolo di recupero di aiuti di stato.
2.La ricorrente dev’essere condannata al pagamento delle spese. Sussistono i presupposti processuali per dichiarare l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. 24 dicembre 2012, n. 228, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.
P. Q. M.
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in € 7000,00, oltre spese prenotate a debito.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per dichiarare l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 13 novembre 2024