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Erogazioni liberali: la deducibilità richiede attività

La deduzione fiscale per le erogazioni liberali di un’azienda è stata negata poiché l’associazione beneficiaria, pur avendolo previsto nel suo statuto, non svolgeva concretamente le attività di assistenza sociale e sanitaria. La Corte di Cassazione ha stabilito che, per ottenere il beneficio fiscale, la finalità statutaria deve essere affiancata da un’effettiva e concreta realizzazione delle attività promesse. L’accumulo di fondi senza un loro impiego per scopi sociali osta alla deducibilità delle donazioni.

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Pubblicato il 26 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Erogazioni Liberali: Non Basta lo Statuto, Serve Attività Concreta

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 15960/2024 offre un chiarimento fondamentale sulla deducibilità delle erogazioni liberali a favore di enti con finalità sociali. Il principio affermato è netto: la sola previsione statutaria di svolgere attività di utilità sociale non è sufficiente per garantire il beneficio fiscale all’impresa erogante. È indispensabile che l’ente beneficiario svolga in modo effettivo e concreto le attività per le quali riceve i fondi. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante pronuncia.

I Fatti del Caso: Donazioni a un’Associazione Inattiva

Il caso ha origine da un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di due società, una consolidata e la sua consolidante. L’amministrazione finanziaria contestava la deduzione dal reddito d’impresa di cospicue donazioni effettuate a favore di un’associazione con personalità giuridica. Sebbene lo statuto dell’associazione prevedesse finalità di assistenza sociale e sanitaria, l’Ufficio sosteneva che, di fatto, l’ente non avesse mai svolto tali attività.

Le indagini avevano rivelato che l’associazione, costituita da diversi anni e riconducibile alla stessa compagine familiare delle società donatrici, aveva accumulato un ingente patrimonio di oltre due milioni di euro senza impiegarlo per gli scopi dichiarati. Una minima parte dei contributi (circa il 12%) risultava destinata a spese istituzionali, ma senza dettagli che ne provassero l’effettivo impiego per le finalità prescritte. I giudici di primo e secondo grado avevano già dato ragione all’Agenzia delle Entrate, portando le società a ricorrere in Cassazione.

La Decisione della Corte sulle Erogazioni Liberali

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso delle società, confermando la piena legittimità dell’operato dell’Agenzia delle Entrate. I giudici hanno stabilito che la deducibilità delle erogazioni liberali, ai sensi dell’art. 100, comma 2, lett. a) del T.U.I.R., è subordinata a un doppio requisito: uno formale e uno sostanziale.

Non è sufficiente il requisito formale, ovvero che lo statuto dell’ente beneficiario preveda il perseguimento esclusivo di finalità di utilità sociale. È necessario anche il requisito sostanziale, cioè la prova dell’effettivo e concreto svolgimento di un’attività funzionale al raggiungimento di tali scopi. La prolungata inerzia dell’associazione e la mancata destinazione delle ingenti risorse accumulate sono state considerate prove decisive dell’assenza di tale requisito.

Le Motivazioni della Sentenza

La ratio decidendi della Corte si fonda su principi chiari e rigorosi, volti a prevenire l’abuso di norme agevolative.

Il Requisito Sostanziale dell’Attività Effettiva

Il cuore della motivazione risiede nella distinzione tra la previsione statutaria e la realtà operativa. La norma agevolativa, che rappresenta una deroga al principio generale di inerenza dei costi, si giustifica in un’ottica di sussidiarietà orizzontale, premiando chi supporta enti che concretamente operano per il bene comune. Se l’attività è solo una mera enunciazione sulla carta, viene meno la ragione stessa del beneficio fiscale. La Corte ha sottolineato che l’effettività e la concretezza dell’attività di rilievo sociale sono canoni imprescindibili.

L’Onere della Prova a Carico del Contribuente per le Erogazioni Liberali

Trattandosi di una norma agevolativa, spetta al contribuente che intende beneficiarne dimostrare la sussistenza di tutti i presupposti richiesti dalla legge. In questo caso, le società avrebbero dovuto provare non solo di aver effettuato la donazione, ma anche che l’ente beneficiario svolgeva effettivamente l’attività sociale prevista. La mancata fornitura di tale prova, a fronte delle contestazioni dell’Ufficio, ha reso legittimo il recupero a tassazione dei costi dedotti.

Le Conclusioni

La sentenza n. 15960/2024 lancia un messaggio inequivocabile sia alle imprese che effettuano donazioni sia agli enti del terzo settore che le ricevono. Per le imprese, emerge la necessità di una due diligence sull’operato degli enti che si intende sostenere: non basta verificare lo statuto, ma è prudente accertarsi che l’ente sia concretamente attivo nel perseguimento delle sue finalità. Per gli enti beneficiari, la pronuncia ribadisce l’importanza di utilizzare tempestivamente e in modo trasparente i fondi ricevuti, documentando le attività svolte. L’accumulo di risorse senza un reale impiego per gli scopi istituzionali non solo tradisce la fiducia dei donatori, ma espone questi ultimi a rischi fiscali significativi.

È sufficiente che un’associazione abbia uno statuto con finalità sociali per rendere deducibili le erogazioni liberali che riceve?
No, non è sufficiente. La Corte di Cassazione ha stabilito che al riconoscimento statutario dell’esclusività del fine (requisito formale) deve necessariamente affiancarsi l’effettivo svolgimento di attività funzionali alla sua realizzazione (requisito sostanziale).

Chi deve provare che l’ente beneficiario svolge effettivamente l’attività sociale prevista per legge?
L’onere della prova spetta al contribuente che ha effettuato l’erogazione liberale e intende dedurla dal proprio reddito. In caso di contestazione da parte dell’Agenzia delle Entrate, è il contribuente a dover dimostrare che l’ente beneficiario realizza concretamente le finalità sociali che giustificano il beneficio fiscale.

La legge fissa un termine o un importo minimo per l’utilizzo delle donazioni ricevute da parte dell’ente beneficiario?
La norma (art. 100 T.U.I.R.) non fissa un termine specifico o un limite quantitativo per l’impiego delle donazioni. Tuttavia, la Corte ha chiarito che una prolungata inerzia e il mancato utilizzo delle somme ricevute per un lungo periodo possono essere usati come prova per dimostrare che l’associazione non svolge concretamente l’attività di utilità sociale richiesta, facendo così venir meno il diritto alla deduzione per il donatore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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