Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 16429 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 16429 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/06/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 4869/2023 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE.
-ricorrente-
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende ex lege;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della C.T.R. dell’ABRUZZO n. 482/2022 depositata il 22/07/2022.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Udito il Procuratore Generale, nella persona del Sostituto dott. NOME COGNOME che chiede il rigetto del ricorso;
Udita l’Avvocatura dello Stato, nella persona dell’avv. NOME COGNOME che chiede il rigetto del ricorso;
Uditi i difensori della parte ricorrenti, avv. NOME COGNOME e avv. NOME COGNOME che chiedono l’accoglimento del ricorso .
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME impugna la sentenza della C.T.R. dell’Abruzzo che, in riforma della sentenza della C.T.P. di L’Aquila, ha rigettato il ricorso dalla medesima formulato avverso l’avviso di liquidazione dell’imposta di successione per la somma di euro 43.667,78.
La C.T.R., dato atto che NOME COGNOME, con testamento olografo, era stata nominata erede universale da NOME COGNOME e che con l’atto testamentario erano stati disposti legati in favore di associazioni di ricerca e beneficenza, premesso che la contribuente, impugnando l’avviso di liquidazione, aveva sostenuto di essere in realtà non erede, bensì mera esecutrice testamentaria, essendo tutto il patrimonio della de cuius assorbito dai legati, ha ritenuto che la tesi della ricorrente fosse smentita dalla realtà dei fatti; non solo perché ella era nominata erede nel testamento, ma anche perché aveva accettato l’eredità con beneficio di inventario. Con riferimento alle spese di cui la contribuente pretendeva la deduzione, ha rilevato come le stesse non risultassero da data certa anteriore all’apertura della successione. Sulla base di siffatte considerazioni ha accolto l’appello principale, rigettando l’appello incidentale e condannando l’appellata al pagamento delle spese
di lite, liquidate in euro 1.500,00 per il primo grado di giudizio ed in euro 2.500,00 per il secondo grado di giudizio.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Con requisitoria scritta il Procuratore Generale chiede il rigetto del ricorso.
Con memoria, ex art. 378 cod. proc. civ., la ricorrente replica al controricorso e ribadisce le conclusioni assunte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
NOME COGNOME formula cinque motivi di ricorso.
Con il primo deduce, ex art. 360 comma 1 n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 31 e 58 d.P.R. 600 del 1973. Sostiene che la C.T.R. nel rigettare il ricorso avverso l’avviso di liquidazione dell’imposta di successione ha implicitamente affermato la competenza territoriale dell’Agenzia delle Entrate di L’Aquila, in relazione alla sua emissione, benché la competenza fosse dell’Ufficio di Roma, essendo la contribuente ivi residente. Richiama la giurisprudenza di legittimità sulla nullità dell’atto impositivo emesso dall’organo territorialmente incompetente.
Con il secondo motivo fa valere la violazione e falsa applicazione delle disposizioni di cui all’art. 1362 e segg. cod. civ., in ordine all’interpretazione del testamento, nonché dell’art. 588 cod. civ.. Premette, nella parte narrativa, che con l’avviso di liquidazione l’Ufficio aveva sostenuto come nella dichiarazione di successione non andassero ‘indicati i legati, perché sotto condizione sospensiva ricorrendo nella fattispecie la disposizione testamentaria che lascia all’onerato o a un terzo la scelta dell’oggetto o della qualità del legato’, e che la ricorrente nell’impugnazione dell’atto aveva contestato l’applicabilità dell’art. 632 cod. civ. ed altresì che i legati fossero soggetti a condizione sospensiva, trattandosi di legati in denaro. Mentre per l’immobile, consistente nell’abitazione della defunta, sita in
l’Aquila e profondamente danneggiata dal sisma, che si trovava nel consorzio obbligatorio per la ricostruzione, la ricorrente, proprio in quanto aveva accettato l’eredità con beneficio di inventario, aveva potuto ricevere il contributo statale per la riparazione, al fine della vendita dell’immobile, il cui corrispettivo era stato suddiviso fra le associazioni legatarie, sicché la temporanea intestazione dell’immobile alla medesima si giustificava solo a tal fine. L’Agenzia delle Entrate, dunque, avrebbe potuto, al più, richiedere il pagamento dell’imposta di successione solo relativamente al valore fiscale di detto immobile, pari ad euro 24.296,00. Rileva che la sentenza impugnata, nell’interpretare l’atto di ultime volontà, si è limitata alla constatazione del dato letterale contenuto nella scheda testamentaria, con la quale NOME COGNOME venne nominata erede, senza procedere al suo esame globale, come prescritto dalle pronunce della Corte di Cassazione, secondo la quale, nel rispetto della volontà del testatore, alle parole può essere assegnato dal giudice di merito anche un significato antitetico a quello utilizzato. Osserva che alla ricorrente non è pertoccato alcun cespite, con la conseguenza che ella non è divenuta proprietaria dei beni della testatrice, avendo ricevuto l’incarico di devolvere tutto il patrimonio alle associazioni designate quali legatarie, non potendo, pertanto, essere definita erede.
Con il terzo motivo denuncia, ex art. 360 comma 1 n. 5 cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di contraddittorio fra le parti. Sottolinea la palese inconsistenza della motivazione, che si rende meramente apparente, in particolare in ordine al fatto dedotto dalla ricorrente circa la totale assenza di cespiti in suo favore, anche minimi (quali mobilio o suppellettili), su cui la C.T.R. non ha preso in alcun modo posizione.
Con il quarto motivo si duole, ex art. 360 comma 1 n. 4 cod. proc. civ., della nullità della sentenza per omessa motivazione sul motivo di appello incidentale condizionato con il quale la contribuente aveva indicato le spese di cui chiedeva la deduzione, relative alle spese funebri (euro 4.250,00), a fatture notarili, alle spese per la perizia estimativa di un immobile, alle spese per il progetto RAGIONE_SOCIALE, alle spese per la luce votiva dal 2016 al 2019, per un totale di euro 35.782,11. Assume che la sentenza impugnata, limitandosi ad affermare che la deducibilità delle spese non muta a seconda che l’eredità sia accettat a con beneficio di inventario o meno e che le spese devono risultare da atto scritto avente data certa anteriore all’apertura della successione, ciò non essendo accaduto nel caso di specie, in realtà non coglie il nucleo della censura. Se, infatti, la ricorrente -pur non essendolo- viene riconosciuta erede, allora ha diritto alla deduzione delle spese.
Con il quinto motivo lamenta, ex art. 360 comma 1 n. 4 cod. proc. civ., la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 91, comma 1 e 417 bis cod. proc. civ.. Rappresenta che l’Agenzia delle Entrate si è costituita sia in primo, che in secondo grado di giudizio a mezzo di un funzionario delegato, e ciononostante la C.T.R. ha liquidato le spese in favore dell’Ufficio, benché la Suprema Corte abbia in più occasioni chiarito che in simili ipotesi non spettano né diritti di procuratore, né onorari di avvocato, ma solo le spese, diverse da quelle generali, che l’ente abbia concretamente affrontato in giudizio e che risultino da apposita nota.
Il primo motivo è inammissibile.
La C.T.R. non dà conto della proposizione della suddetta eccezione, che non appare, dalla narrativa della sentenza essere stata formulata con appello incidentale condizionato, ma neppure eventualmente riproposta in seconda
cura, sicché in assenza dell’indicazione della sede in cui il rilievo sarebbe stato sollevato ed in assenza della proposizione di un eventuale vizio di omessa decisione sul punto da parte del giudice di appello, essa deve ritenersi un novum introdotto con il ricorso per cassazione, e come tale non consentito.
Il secondo ed il terzo motivo, che possono essere trattati congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono fondati ed implicano l’assorbimento di quelli ulteriori.
Va innanzitutto precisato che, diversamente da quanto affermato dalla C.T.R., il testamento, con il quale la ricorrente è stata nominata erede, non è un testamento olografo, ma un testamento pubblico ricevuto dal notaio NOME COGNOME in Roma (la circostanza non è contestata ed è documentata all. 2 bis al ricorso per cassazione).
La C.T.R. -nel rispondere al motivo di appello dell’Ufficio, con cui ci si doleva che il primo giudice avesse interpretato il testamento, contra litteram , nel senso che NOME COGNOME fosse stata designata quale esecutrice testamentaria e non quale erede- così afferma: ‘appare evidente che la sig.ra COGNOME sia stata nominata erede sia perché così viene chiamata espressamente nel testamento, sia perché ha accettato l’eredità con beneficio di inventario, accettazione che sarebbe stata inutile se si fosse trattato di una semplice esecutrice testamentaria. Per cui la tesi proposta dalla contribuente non appare sostenibile ed è palesemente contraria alla realtà dei fatti ‘ .
E’ bene premettere che secondo questa Corte ‘l’interpretazione del testamento, cui in linea di principio sono applicabili le regole di ermeneutica dettate dal codice in tema di contratti, con la sola eccezione di quelle incompatibili con la natura di atto unilaterale non recettizio del negozio mortis causa , è caratterizzata, rispetto a quella contrattuale, da una più
penetrante ricerca, aldilà della dichiarazione, della volontà del testatore, la quale, alla stregua dell’art. 1362 c.c., va individuata con riferimento ad elementi intrinseci alla scheda testamentaria, sulla base dell’esame globale della scheda stessa e non di ciascuna singola disposizione. Tuttavia, ove dal testo dell’atto non emergano con certezza l’effettiva intenzione del de cuius e la portata della disposizione, il giudice può fare ricorso ad elementi estrinseci al testamento, ma pur sempre riferibili al testatore, quali, ad esempio, la personalità dello stesso, la sua mentalità, cultura o condizione sociale o il suo ambiente di vita’ (così, da ultimo, Cass. Sez. 2, 07/05/2018, n. 10882). L’accertamento della volontà del testatore si risolve, nondimeno ‘in una indagine di fatto da parte del giudice di merito sindacabile in sede di legittimità solo per violazione delle regole di ermeneutica dettate dal codice civile in tema di contratti e per inadeguatezza della motivazione’ nei limiti di cui al novellato art. 360 n. 5 c.p.c. (così Cass. Sez. 2, n. 10882 del 7/05/2018).
13. Chiariti i limiti del sindacato del giudice di legittimità in tema di interpretazione del testamento, per dare soluzione al quesito posto, è bene partire da alcune considerazioni essenziali, che appaiono sottese alla verifica della motivazione della sentenza impugnata, anche sotto il profilo del rispetto dei criteri di interpretazione negoziale di cui agli artt. 1362 e segg..
L’art. 703 cod. civ. attribuisce all’esecutore testamentario l’obbligo di ‘curare che siano esattamente eseguite le disposizioni di ultima volontà del defunto’. Egli, dunque, agisce come vero e proprio garante della volontà del defunto, ma può, ai sensi dell’art. 701 cod. civ., essere anche erede o legatario, ben potendo il testatore attribuire al medesimo il suo patrimonio o una quota di esso, oppure un bene determinato, ciò non ostando all’incarico di dare attuazione alla volontà espressa dal de cuius. D’altro canto, l’istituzione di erede implica che il
medesimo sia designato a subentrare al testatore in universum ius , per l’intero o per una quota.
Nell’interpretare la scheda testamentaria, occorre, allora, partire dall’indagine dell’effettiva volontà del de cuius , verificando, al di là delle espressioni usate, quale fosse l’intenzione del testatore (art. 1362, comma 1 cod. civ.), indagando il senso complessivo dell’atto (art. 1363 cod. civ.) ed attribuendo, nel dubbio, a quelle espressioni il senso secondo il quale esse possono avere qualche effetto, anziché quello secondo cui non ne avrebbero alcuno (1367 cod. civ.).
Ora, è chiaro che nominare un soggetto quale erede universale implica la volontà di trasferirgli mortis causa l’intero patrimonio o una sua quota, ancorché, nell’intenzione del testatore, egli sia tenuto a dare esecuzione alle ulteriori disposizioni, quali sono quelle che costituiscono legati a favore di terzi.
Non va, peraltro, dimenticato che, ai sensi dell’art. 649 cod. civ., ‘Quando oggetto del legato è la proprietà di una cosa determinata o altro diritto appartenente al testatore, la proprietà o il diritto si trasmette dal testatore al legatario al momento della morte del testatore’. Né che è consentito al testatore di prevedere, ai sensi del combinato disposto degli artt. 688 e 691 cod. civ., la possibilità di sostituire al legatario, che non possa o non voglia accettare, altro legatario.
Se, nondimeno, con il testamento il de cuius disponga di tutto il proprio patrimonio solo ed esclusivamente a mezzo della costituzione di legati, prevedendo, come nel caso di specie (cfr. scheda testamentaria, allegata al ricorso, a mezzo della produzione del fascicolo di parte ff.32-35), espressamente la sostituzione delle associazioni legatarie, con altri legatari aventi le medesime finalità, incaricando colui che viene nominato erede universale solo di eseguire simili disposizioni testamentarie,
risulta evidente, in applicazione dei criteri interpretativi sopra richiamati, l’assenza della volontà del testatore di trasferire al soggetto che viene nominato erede universale il proprio patrimonio od una parte di esso, posto che gli sono conferiti solo poteri esecutivi, in relazione a lasciti destinati interamente ad altri.
Ed allora, tenendo in considerazione il contenuto volitivo del dell’atto, alla luce dei criteri interpretativi del negozio, il suo senso complessivo non può essere ridotto al senso letterale delle espressioni usate, perché esse non lo riflettono, stante l’improprio utilizzo dell’espressione ‘erede universale’, a fronte dell’integrale esaurimento dell’asse ereditario nella costituzione di legati, cui si accompagna quella di sostituzione dei legatari che non accettino, sicché neppure in questa evenienza nulla residua del patrimonio del de cuius in favore del soggetto designato.
14. La sentenza impugnata, invece, nella sua estrema stringatezza, omette l’effettivo vaglio della volontà della testatrice, accontentandosi di fare riferimento al tenore letterale della scheda testamentaria, senza neppure esaminarne il contenuto per verificare se le parole siano o meno state usate in senso atecnico, come, invece, correttamente ritenuto dal giudice di prima cura. Alla semplice considerazione dell’utilizzo della parola ‘erede’, peraltro, il giudice dell’appello aggiunge un rilievo del tutto fuorviante, ovverosia che l’effettiva nomina quale erede è dimostrata dal fatto che la contribuente avrebbe ‘accettato l’eredità con beneficio di inventario’. E’ chiaro, tuttavia, che il comportamento della parte non può rivestire alcun significato in ordine alla volontà del testatore, posto che, da un lato, è un elemento del tutto estrinseco rispetto all’intenzione manifestata con il testamento, e, dall’altro, pertiene alla volontà del terzo, collocandosi temporalmente in un momento successivo alla sua
morte ed è, pertanto, inidoneo a modificare il significato da attribuire alle espressioni utilizzate dal testatore.
Come si è detto, nondimeno, deve escludersi che l’espressione ‘erede universale’ rivesta nel testo testamentario il significato che le è proprio, essendo, invece, chiaramente espressa la volontà del de cuius di investire l’attuale ricorrente del compito di provvedere all’esecuzione del testamento.
Ciò rende censurabile la motivazione della sentenza impugnata, non solo sotto il profilo della violazione delle regole ermeneutiche previste dagli artt. 1362 e segg. cod. civ., avendo il giudice di merito omesso di verificare il reale contenuto della volontà del testatore, ma anche per la violazione dell’art. 588 cod. civ., contestata con il secondo motivo di ricorso, in assenza della reale istituzione di erede, essendo esclusa la destinazione in favore del medesimo dell’intero patrimonio del de cuius o di una quota di esso.
Il ricorso va, dunque, accolto e la sentenza – non essendo necessario alcun ulteriore accertamento- deve essere cassata senza rinvio, ai sensi dell’art. 384, comma 2 cod. proc. civ., con accoglimento dell’originario ricorso della contribuente. A ciò consegue la condanna dell’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese di lite di questo giudizio di legittimità, da liquidarsi come in dispositivo. Le spese dei gradi di merito possono essere compensate in ragione della controvertibilità interpretativa della fattispecie
P.Q.M.
In accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso di parte contribuente.
Condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate in euro 5500,00 oltre
euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario nella misura del 15%, I.V.A. e C.P.A come per legge.
Spese di lite dei gradi di merito compensate.
Così deciso in Roma, il 9 aprile 2025.