Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22423 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22423 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 35143/2018 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME del foro di Campobasso, giusta procura speciale a margine del ricorso, ed elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME;
– ricorrente –
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore generale pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO è domiciliata
-controricorrente – avverso la sentenza n. 203/2018 della Commissione tributaria regionale del Molise, depositata in data 19.4.2018, non notificata; udita la relazione svolta all’udienza camerale del 22.05.2025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.NOME COGNOME, esercente la professione di notaio, impugnava davanti alla C.T.P. di Campobasso la cartella di pagamento n. 027 2012 00029462 16 000, emessa a seguito di controllo formale ex art. 36 ter , d.p.r. 602/73, deducendo che, seppure fosse corretta
Cartella di pagamento -controllo formale -oneri deducibili -rettifica della dichiarazione
l’esclusione di quota parte degli oneri deducibili indicati nel quadro RP della dichiarazione, in quanto effettivamente non costituenti contributi previdenziali, ciò non aveva comportato alcun danno per l’Erario, in quanto trattavasi comunque di costi inerenti l’attività di notaio e, dunque, in ogni caso deducibili.
2.La C.T.P. di Campobasso accoglieva il ricorso, riconoscendo la emendabilità della dichiarazione anche in corso di giudizio e ritenendo, da un lato, che il ricorrente non aveva contestato che le somme escluse dalla deduzione non avessero natura di contributi previdenziali, ma, dall’altro, che l’Agenzia delle Entrate non aveva contestato che le predette somme avessero comunque natura di costi effettivamente sostenuti ed inerenti e dunque deducibili.
La C.T.R. del Molise, adita dall’Ufficio, accoglieva l’appello con la sentenza richiamata in epigrafe, osservando che il principio dell’emendabilità della dichiarazione non era conferente nel caso in esame e che l’appellato non aveva fornito alcun elemento a supporto dell’eccezione svolta circa la mancanza di uno specifico significato sul piano impositivo dell’errore commesso in sede di dichiarazione.
4.COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza della C.T.R., affidato a tre motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo di ricorso -rubricato « violazione e falsa applicazione dell’art. 2, comma 8 bis, d.p.r. 322/1998 e degli articoli 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma 1, n. 3, c.p.c. », il ricorrente assume essere errata la statuizione della C.T.R. secondo cui non era applicabile l’istituto dell’emendabilità della dichiarazione, che invece era espressamente riconosciuto dall’art. 2 del D.P.R. 322/1998, né aveva colto che la prova della natura dei costi sostenuti era stata fornita dalla stessa Agenzia delle Entrate, che aveva appunto depositato in data 18.12.2012 le
quietanze rilasciate dall’Archivio Notarile per l’anno 2008, da cui si evincevano le somme versate per tasse archivio, tasse di iscrizione, aggi sugli onorari e contributi al Consiglio del Notariato, che erano state indebitamente indicate nel quadro RP e portate in deduzione.
2.Con il secondo motivo il ricorrente deduce « violazione e falsa applicazione dell’art. 111 della Costituzione, dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 36 n. 4 del decreto legislativo n. 546/92, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c .», sostenendo che la motivazione della sentenza impugnata è meramente apparente, non essendo stata in alcun modo argomentata l’esclusione dell’applicabilità dell’istituto dell’emendabilità della dichiarazione dei redditi, che costitutiva invece il punto nodale della questione controversa.
Con il terzo motivo, rubricato « violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c .», il ricorrente lamenta che la C.T.R. abbia fondato il proprio iter motivazionale su un asserito difetto di assolvimento dell’onere probatorio, espressamente contrastante con la specifica documentazione prodotta dall’Agenza delle Entrate, richiamata nel primo motivo, invocando a sostegno la giurisprudenza di questa Corte in tema di travisamento delle risultanze processuali, secondo cui il giudice di legittimità è chiamato a valutare se l’informazione probatoria utilizzata dal giudice del merito per fondare la decisione sia diversa ed inconciliabile con quella contenuta nell’atto e rappresentata nel ricorso o addirittura non esista nell’atto.
Va, innanzitutto, respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dall’Agenzia delle entrate, poiché diversamente da quanto prospettato -le censure non si risolvono nella sollecitazione di una rivalutazione delle risultanze di merito acquisite in giudizio, bensì pongono specifiche questioni di diritto sindacabili nella presente sede di legittimità.
Ciò premesso, il secondo motivo, da esaminarsi prioritariamente siccome inerente l’assunto vizio della nullità in radice della
sentenza impugnata in quanto asseritamente apparente, è infondato.
5.1. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, si è in presenza di una ” motivazione apparente ” allorché la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché costituita da argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il percorso logico-argomentativo seguito per la formazione del convincimento, ove il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice. Sostanzialmente omogenea alla motivazione apparente è poi quella perplessa e incomprensibile: in entrambi i casi, invero – e purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali – l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione (cfr. Cass. SU n. 8053/2014; Cass. SU n. 22232/2016; Cass. n. 13248/2020; Cass. n. 16057/2018 e numerose altre).
5.2. Ciò posto, la motivazione della C.T.R., seppur succinta, dà conto del ragionamento sotteso alla decisione, secondo cui la questione rilevante non era l’emendabilità o meno della dichiarazione dei redditi, ma la mancanza di prova dell’asserita insussistenza di un danno per l’Erario, nonostante fosse pacifico che la somma indicata nel quadro RP e portata in deduzione includeva anche somme che non avevano natura di oneri previdenziali.
Il primo motivo è parimenti infondato.
Questa Corte (v., da ultimo, Cass. n. 7688/2025) ha ormai da tempo chiarito che il contribuente può, anche a prescindere dal rispetto del termine decadenziale di cui all’art. 2, comma 8-bis, del d.P.R. n. 322 del 1998, opporsi a pretese fiscali dell’ Amministrazione fondate su errori, sia in fatto che in diritto, o omissioni che lo stesso contribuente abbia dimostrato essere tali in sede giurisdizionale, in quanto l’esigenza di certezza e improrogabilità dei termini fissati dalla legge per la rappresentazione corretta degli imponibili fiscali o delle imposte dovute è recessiva rispetto al principio della capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost. (cfr., tra le più recenti, Cass., n. 23093/24, Cass. n. 15211/23, Cass. n. 30151/19, sulla scia di Cass. SU n. 13378/2016, punto 29 della motivazione).
Peraltro, deve notarsi che, a livello normativo, già l’ultimo periodo del comma 8 bis dell’art. 2 del d.P.R. n. 322 del 1998 dispone che ‘ Resta ferma in ogni caso per il contribuente la possibilità di far valere, anche in sede di accertamento o di giudizio, eventuali errori, di fatto o di diritto, che abbiano inciso sull’obbligazione tributaria, determinando l’indicazione di un maggiore imponibile, di un maggiore debito d’imposta o, comunque, di un minore credito ‘.
6.1 Tuttavia, la tesi secondo cui non sarebbe stato arrecato alcun danno all’Erario, in considerazione del fatto che le somme versate all’Archivio Notarile a titolo diverso dalla contribuzione previdenziale integravano comunque costi inerenti all’attività e che, di conseguenza, non era dovuta la maggiore imposta calcolata, quale onere indebitamente indicato nel quadro RP, avrebbe appunto richiesto la prova, a carico del contribuente, che le predette somme non fossero già state computate nei costi dedotti nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno di imposta 2008, circostanza neppure allegata e che non può all’evidenza trovare supporto probatorio nelle quietanze rilasciate dall’Archivio Notarile. La statuizione della C.T.R. risulta, pertanto, conforme a diritto.
Anche il terzo motivo è infondato.
Questa Corte, nella sentenza a Sezioni unite n. 5792/2024, ha espresso il seguente principio di diritto: « Il travisamento del contenuto oggettivo della prova, il quale ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé, e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio, trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, in concorso dei presupposti richiesti dall’articolo 395, n. 4, c.p.c., mentre, ove il fatto probatorio abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare, e cioè se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti, il vizio va fatto valere, in concorso dei presupposti di legge, ai sensi dell’articolo 360, nn. 4 e 5, c.p.c., a seconda si tratti di fatto processuale o sostanziale ‘, precisando che per ‘fatto probatorio’ si intende non già il fatto storico che per mezzo dell’istruzione probatoria deve accertarsi, bensì l’oggetto della percezione del giudice (il documento, la foto, la dichiarazione, l’indizio etc.).
7 .1. Nel caso in esame, il ricorrente sostiene che l’affermazione del mancato assolvimento dell’onere della prova deriverebbe dall’omesso esame della documentazione prodotta dalla controparte, il che non può logicamente integrare il denunciato vizio di travisamento della prova, che presuppone, al contrario, che il travisamento cada sull’oggetto della percezione del giudice ossia su un documento, una foto, una dichiarazione che sono invece stati esaminati e valutati dal giudice, fermo restando che, come sopra detto, le quietanze di cui si discute non sono di per sé idonee a dimostrare che le somme ivi riportate non fossero già state incluse nei costi deducibili a titolo diverso dagli oneri previdenziali nella dichiarazione dei redditi.
Conclusivamente, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 115/2002, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M .
La Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in euro 1.400,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 115/2002, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 22.5.2025.