Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20418 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 20418 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
SENTENZA
Sul ricorso n. 8147-2024, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE cf. 03851080758, in persona del legale rappresentate p.t., elettivamente domiciliata in Roma, presso la Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentata e difesa dagli avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME
Ricorrente
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE , cf NUMERO_DOCUMENTO, in persona del Direttore p.t.,
–
Resistente
Avverso la sentenza n. 2690/24/2023 della Commissione tributaria regionale della Puglia, depositata il 27.09.2023;
udita la relazione della causa svolta nell’ udienza pubblica del l’11 febbraio 2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME sentito il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione, nella persona del Sostituto procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del terzo motivo .
Iva – Operazioni esenti – Detraibilità – Pro-rata – Rettifica delle dichiarazioni – Emendabilità
Sentite le conclusioni delle parti presenti
FATTI DI CAUSA
La società RAGIONE_SOCIALE impugnò l’atto di diniego di rimborso dell’importo di € 214.083,00 a titolo di Iva. La società aveva ceduto in permuta un ‘ unità abitativa con atto di trasferimento del 13 giugno 2018, non esercitando nel rogito l’opzione per l’imponibilità iva dell’ operazione di cessione. Trattavasi infatti di immobile, dalla stessa società realizzato oltre cinque anni prima, così che ex art. 10, n. 8 bis, d.P.R. n. 633 del 1972, quella operazione era da considerarsi esente da imposta, salvo l’espre sso esercizio della opzione per l’imposizione. Con la presentazione successiva della dichiarazione Iva la società richiese il rimborso dell’iva a credito, indicando la suddetta operazione tra quelle esenti, ma ‘occasionale’. Con atto di diniego del 14.05.2 019 l’Agenzia delle entrate negò il rimborso, disconoscendo l’occasionalità ed applicando il regime del pro rata, ex artt. 19 e 19 bis della medesima disciplina.
Avveduta si dell’errore, la società integrò l’originario rogito di compravendita con atto del 5 agosto 2019, esercitando l’opzione per l’imponibilità e presentando quindi dichiarazione iva integrativa l’8 agosto 2019, nella quale la cessione era riqualificata come operazione imponibile, a tal fine provvedendo anche al versamento dell’imposta dovuta. Con nuovo provvedimento di diniego dell’11.02.2020 l’Agenzia rifiutò il rimborso, ritenendo l’opzione iniziale non più rettificabile, né integrabile ai fini fiscali.
L’adita Commissione tributaria provinciale di Lecce accolse il ricorso con sentenza n. 1250/05/2022 . L’appello promosso dall’ufficio fu invece accolto dalla Corte di giustizia tributaria della Puglia, sez. staccata di Lecce, con sentenza n. 2690/24/2023, che dunque confermò l’atto agenziale.
Il Giudice d’appello , dopo aver brevemente ricostruito la vicenda e richiamato il tessuto normativo entro il quale la controversia andava circoscritta, ha ritenuto che l’opzione per l’imponibilità dell’operazione di cessione di immobile costruito oltre il quinquennio, altrimenti esente ex art. 10, n. 8 bis cit., doveva essere espressa nell’atto di trasferimento, senza possibilità di emenda in epoca successiva. Ha ritenuto che l’opzione per il regime della imponibilità rispetto a quello della esenzione dall’ Iva, incidente sulla detraibilità o meno dell’ imposta assolta, anche ai fini del regime pro rata, non costituisce una dichiarazione di scienza, ma ha natura negoziale.
Ha quindi affermato, sulla scia di precedenti di questa Corte in tema di emendabilità delle dichiarazioni fiscali, che, anche tenendo conto delle novità introdotte con il d.l. n. 193 del 2016, e in particolare dell’art. 5, la emendabilità può afferire ad errori materiali od omissioni, proprie delle dichiarazioni di scienza, non anche a manifestazioni di volontà negoziale, quali le ipotesi di esercizio di opzioni, e salvo la dimostrazione di errori in cui sia incorso il dichiarante, rilevanti nei termini previsti d all’art. 1428 cod. civ.
La società ha censurato la decisione con quattro motivi, chiedendone la cassazione. L ‘Agenzia delle entrate ha depositato una irrituale comparsa di costituzione, al solo fine della eventuale partecipazione alla discussione in pubblica udienza.
All’esito della pubblica udienza dell’11 febbraio 2025 la causa è stata riservata per la decisione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso la società lamenta la violazione dell’art. 59 bis della legge notarile (legge 16 febbraio 1913, n. 89), ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c. Nel ripercorrere tutta la vicenda, riferendo anche dell’errore in cui sarebbe incorsa nel non prevedere le conseguenze del mancato esercizio dell’opzione, e quindi delle rettifiche negoziali, cui comunque avrebbe provveduto nel rispetto della legge notarile, e della integrazione della dichiarazione iva, la ricorrente afferma che la sentenza della Corte di II grado, nel riformare la pronuncia favorevole di primo grado, si sarebbe limitata a enunciare precedenti della giurisprudenza di legittimità per negare la possibilità di emenda della opzione espressa al momento della stipula del rogito notarile, senza tener conto della legge notarile che consente le rettifiche.
La censura non coglie nel segno perché, a parte che la stessa disciplina notarile, nel disciplinare le ipotesi di rettifica dei negozi, fa salvi i diritti dei terzi e comunque riguarda i soli errori od omissioni materiali relativi a dati preesistenti alla sua redazione, non tiene conto dei limiti della emendabilità delle dichiarazioni. La sentenza, infatti non nega astrattamente la possibilità di rettifica dell’atto negoziale, ma, ai fini fiscali, rileva che la successiva integrazione della dichiarazione iva non poteva riguardare manifestazioni di volontà negoziale, categoria nella quale pone la richiesta di rettifica della
opzione espressa al momento della stipula del rogito di cessione dell’immobile, valendo solo per le dichiarazioni di scienza.
Ciò trova indiretta conferma nella giurisprudenza di legittimità, secondo la quale, ad esempio proprio in materia di iva, si è affermato che opera il principio per il quale la dichiarazione del contribuente, affetta da errore, sia di fatto che di diritto, commesso dal dichiarante nella sua redazione, è – in linea di principio – emendabile e ritrattabile, quando dalla medesima possa derivare l’assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico, atteso che la dichiarazione dei redditi non ha natura di atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza e di giudizio, modificabile in ragione dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti (cfr. Cass., 30 luglio 2018, n. 20119; 2 dicembre 2022, n. 35577; 22 ottobre 2024, n. 27332).
Il discrimine della emendabilità è nella natura dell’atto. Quello di una dichiarazione fiscale, in particolare, si giustifica per evitare che l’errore commesso dal contribuente comporti la sottoposizione ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che devono restare a suo carico per legge, ma ciò perché la stessa dichiarazione rientra nella categoria delle dichiarazioni di scienza e di giudizio. Laddove invece essa sia il risultato di un atto negoziale e dispositivo, cioè di un atto volontariamente orientato verso una determinata scelta, con il conseguente conseguimento di determinati effetti, l’emendabilità dell’atto per ciò stesso vie ne meno.
Con il secondo motivo denuncia la violazione dell’articolo 10, primo comma, n. 8-bis), del DPR 26 ottobre 1972, n. 633; v iolazione dell’articolo 8, comma 6bis, del DPR 22 luglio 1998, n. 322, introdotto dall’articolo 5 del D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, convertito dalla legge 1° dicembre 2016, n. 225, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c. Erroneamente il giudice d’appello avrebbe deciso sulla base dei precedenti della giurisprudenza di legittimità, i cui arresti in tale materia sarebbero da mutare, perché l’ opzione è solo una sorta di ‘condizione meramente potestativa’, lasciata nella libertà di scelta del contribuente. La conferma sarebbe rinvenibile nella introduzione dell’art. 5 del d.l. 193 del 2016, che ha riconosciuto la dichiarazione integrativa a favore del contribuente.
Si tratta di una censura in contrasto con gli arresti cui è pervenuta in materia la giurisprudenza di legittimità, che invece questo collegio condivide e che qui si intende confermare.
Si è chiarito che debba escludersi il principio della generale emendabilità delle dichiarazioni attraverso la dichiarazione integrativa ex art. 2 d.p.r. n. 322 del 1998, dovendosi al contrario confermare l’orientamento secondo cui, sebbene le denunce dei redditi costituiscano di norma dichiarazioni di scienza, che è possibile correggere in presenza di errori che espongano il contribuente al pagamento di tributi maggiori di quelli effettivamente dovuti, nondimeno, quando il legislatore subordina la concessione di un beneficio fiscale ad una manifestazione di volontà del contribuente, da compiersi direttamente nella dichiarazione attraverso la compilazione di un modulo o uno spazio predisposto dall’Erario, la dichiarazione assume per questa parte il valore di atto negoziale, come tale irretrattabile, anche in caso di errore, salvo che il contribuente dimostri che questo fosse conosciuto o conoscibile dall’Amministrazione (già Cass., 22 gennaio 2013, n. 1427; Cass., 11 maggio 2012, n. 7294).
Del resto, si è evidenziato, il principio della generale e illimitata emendabilità della dichiarazione fiscale incontra il limite delle dichiarazioni destinate a rimanere irretrattabili per il sopravvenire di decadenze, come nell’ipotesi prevista nel d.m. 22 luglio 1998, n. 275, il quale, all’art. 6, stabilisce che il credito d’imposta è indicato, a pena di decadenza, nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta nel corso del quale il beneficio sia concesso (Sez. U, 30 giugno 2016, n. 13378; seguita da 11 maggio 2018, n. 11507; 28 novembre 2018, n. 30796). Ciò implica che, in caso di errori od omissioni afferenti la dichiarazione dei redditi, la dichiarazione integrativa può essere presentata non oltre i termini di cui all’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973, se diretta ad evitare un danno per la P.A. (art. 2, comma 8, del d.P.R. n. 322 del 1998), mentre, se intesa, ai sensi del successivo comma 8 bis, ad emendare errori od omissioni in danno del contribuente, incontra il termine per la presentazione della dichiarazione per il periodo d’imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante, fermo restando che il contribuente può chiedere il rimborso entro quarantotto mesi dal versamento ed, in ogni caso, opporsi, in sede contenziosa, alla maggiore pretesa tributaria dell’Amministrazione
finanziaria. Quindi, il principio di generale emendabilità delle dichiarazioni dei redditi (già affermato in Sez. U, 25 ottobre 2002, n. 15063), come ulteriormente chiarito dalla successiva giurisprudenza (Sez. U, 13378 del 2016 cit.), muove dalla considerazione della dichiarazione dei redditi come atto non negoziale e non dispositivo, recante una mera esternazione di scienza e di giudizio, non invocabile nel diverso campo delle dichiarazioni aventi contenuto e valore negoziale, in relazione alle quali eventuali errori della volontà espressa dal contribuente assumono rilevanza soltanto ove sussistano i requisiti di essenzialità e riconoscibilità ex art. 1428 c.c. (cfr. anche Cass., 26 febbraio 2020, n. 17042).
A non diverse conclusioni si perviene anche considerando l’art. 8, comma 6-bis, d.P.R. n. 322 del 1998, ratione temporis vigente, secondo cui « Salva l’applicazione delle sanzioni e ferma restando l’applicazione dell’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, le dichiarazioni dell’imposta sul valore aggiunto possono essere integrate per correggere errori od omissioni, compresi quelli che abbiano determinato l’indicazione di un maggiore o di un minore imponibile o, comunque, di un maggiore o di un minore debito d’imposta ovvero di una maggiore o di una minore eccedenza detraibile, mediante successiva dichiarazione da presentare, secondo le disposizioni di cui all’articolo 3, utilizzando modelli conformi a quelli approvati per il periodo d’imposta cui si riferisce la dichiarazione, non oltre i termini stabiliti dall’articolo 57 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633».
La norma, infatti, al pari di altre novità introdotte nella disciplina, ad esempio in tema di imposte sui redditi ed Irap con la modifica apportata all’art. 2, commi 8 e 8-bis, d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322 (dal d.l. 30 dicembre 2016, n. 244 convertito con modificazioni in l. 27 febbraio del 2017, n. 19), non supera il principio affermato dalle sezioni unite di questa Corte (13378/2016, cit.), che limita tale facoltà solo al caso di emenda di dichiarazioni di scienza e non di volontà. Infatti, in tema di imposte dei redditi, si è precisato che, pur essendo possibile, quanto alle mere dichiarazioni di scienza, depositare una dichiarazione integrativa, nei limiti di cui al citato art. 2, commi 8 e 8-bis d.P.R. n. 322 del 1998, tuttavia per le manifestazioni di volontà non è in alcun modo consentito modificare la
dichiarazione, che è irretrattabile, salvi i limiti di cui all’art. 1428 cod. civ. (cfr. Cass., 10 aprile 2024, n. 9693).
Nel caso di specie, non lascia spazio ad una diversa interpretazione della disciplina proprio il dato obiettivo dell’ omesso esercizio dell ‘ opzione di assoggettamento ad iva della cessione dell’immobile , in occasione del rogito notarile del 13 giugno 2018, e della dichiarazione iva in cui tale operazione è stata qualificata come occasionale.
L’ esercizio di detta opzione, infatti, inserita n ell’atto notarile rogato -ad integrazione del primo- solo il 5 agosto 2019, cui è seguita la presentazione della dichiarazione integrativa iva del l’8 agosto 2019 , e cioè l’esercizio di una opzione con integrazioni negoziali e fiscali esercitate quando il contribuente aveva già ricevuto la notifica del primo atto di diniego da parte dell’Agenzia , non assume alcun rilievo.
Non emerge peraltro nessun errore, rilevante e riconoscibile ex art. 1428 c.c., della volontà espressa dal contribuente, che nella dichiarazione Iva aveva appostato l’operazione tra quelle occasionali, laddove quella vendita non poteva di certo trovare alveo in quella categoria.
In definitiva, il giudice regionale, a fronte della specifica condotta tenuta dalla contribuente, ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto enunciati in materia. Il motivo va dunque rigettato.
Con il terzo motivo la società si duole della v iolazione dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c. La sentenza avrebbe omesso la pronuncia sulla domanda subordinata, relativa al riconoscimento del minor importo (€ 51.000,00), derivante dalla applicazione del pro rata.
La censura è inammissibile perché la contribuente ha azionato la domanda subordinata in primo grado, ma non l’ ha reiterata in sede d’appello , e ciò, nonostante fosse stata la stessa Agenzia appellante, nell’ipotesi di reiterazione della suddetta domanda, ad opporvisi anche in sede d’appello . Peralto la società avrebbe dovuto anche ribadire gli elementi di fatto sui quali fondare la richiesta di accoglimento della domanda subordinata, ciò che non emerge in alcun atto d’appello , né risulta indicato nel presente ricorso.
Con il quarto motivo la società ha denunciato la nullità della sentenza per violazione dell’art. 36, comma 2, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e dell’art. 132, n. 4, c.p.c. (ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c.).
La censura articolata con il terzo motivo viene dedotta anche come vizio della sentenza per motivazione apparente .
Per le medesime ragioni con cui si è riscontrata l’inammissibilità del terzo motivo è parimenti inammissibile il quarto.
Il ricorso in conclusione va rigettato. Nulla va regolato in ordine alle spese del giudizio di legittimità, stante l ‘assenza di attività difensiva da parte dell’Agenzia delle entrate.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis del medesimo articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il giorno 11 febbraio 2025