Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 765 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 765 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/01/2024
ORDINANZA
ha pronunciato la seguente sul ricorso n. 3026/2017 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE nella persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, anche disgiuntamente tra loro, giusta procura speciale in calce al ricorso per cassazione, dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME, con domicilio letto presso il loro studio in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del LAZIO, n. 4189/16, depositata in data 27 giugno 2016, non notificata; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22 novembre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria provinciale di Roma, con sentenza n. 8070/2015, depositata in data 16 aprile 2015, aveva respinto il ricorso della società RAGIONE_SOCIALE esercente l’attività di commercio all’ingrosso di indumenti, che aveva impugnato la cartella di pagamento in di euro 330.380,93, emessa da Equitalia Sud s.p.a., a seguito d’iscrizione a ruolo disposta all’esito del controllo automatizzato, effettuato ai sensi dell’art. 36 bis del d.P.R. n. 600/1973 e 54 bis del d.P.R. n.633/1972, della dichiarazione modello unico 2011, relativa al periodo d’imposta 2010.
La Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello proposto dalla società contribuente, ritenendo che dall’esame degli atti emergeva con chiarezza che il controllo automatizzato, effettuato in base all’art. 36 bis del d.P.R. n. 600/1973, era legittimo in quanto fondato su dati dichiarati dalla ricorrente e sulle risultanze del calcolo dell’Anagrafe tributaria; che non poteva sorgere dubbio al riguardo che la Società avrebbe dovuto correggere l’errore commesso in sede di compilazione della dichiarazione integrativa entro il termine previsto dall’art. 2, comma 8 bis , del d.P.R. n. 322/1998 (e art. 2, comma 1, lett. e), del d.P.R. n. 435/2001, ossia entro il periodo d’imposta successivo e, comunque, prima della notifica degli avvisi di accertamento o comunicazioni emessi a rettifica dei dati dichiarati); che non poteva avere rilievo, ai presenti fini, la dichiarazione IVA successiva di ravvedimento presentata in data 9 settembre 2015, ai sensi dell’art. 1, comma 637, della legge n. 190/2014, trattandosi di
un evento posteriore al deposito della sentenza di primo grado, avvenuto in data 16 aprile 2015.
La società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a tre motivi.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
CONSIDERATO CHE
1. Il primo mezzo deduce , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 2, comma 8 bis del d.P.R. n. 322/1998 e dell’art. 8, comma 6 del medesimo d.P.R., nella versione vigente ratione temporis in tema di emendabilità della dichiarazione nel corso del contenzioso, così come interpretati nella recentissima sentenza n. 13378/2016 pronunciata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che, pur avendo ritenuto applicabile il termine di decadenza «breve» («non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo») all’ipotesi di rettifica della dichiarazione c.d. «a favore», aveva, tuttavia, sancito il diritto del contribuente di potersi sempre opporre alla maggiore pretesa dell’amministrazione finanziaria, allegando, come nella specie, errori di fatto o di diritto commessi nella redazione della dichiarazione che hanno inciso sull’obbligazione, così come era accaduto nel caso di specie, dove la società aveva commesso l’errore formale di far concorrere (omettendo di «fleggare» il campo VF53 della dichiarazione iva) l’operazione di vendita dell’immobile -effettuata nel 2010 in regime naturale di esenzione, ex art. 10, comma 1, n. 8 ter del d.P.R. n. 633/1972 -ai fini del calcolo del pro-rata di detraibilità di cui all’art. 19 bis del d.P.R. n. 633/1972, generando un pro-rata del 76%. Tale pro-rata di detraibilità aveva generato il ricalcolo, in fase di dichiarazione, dell’intera Iva ammessa in detrazione, innalzando il debito Iva dichiarato ad euro 223.878,00, contrariamente ad un debito Iva reale pari ad euro 88.939,00, così
come era stato già evidenziato nella comunicazione dati Iva presentata in data 28 febbraio del 2011 e poi ribadito nell’istanza di autotutela dell’11 febbraio 2013. La dichiarazione originaria, invece, avrebbe dovuto essere correttamente compilata riportando la citata operazione di vendita dell’immobile come «occasionale» (compilando il rigo VF53 colonna 1), in quanto non rientrante nell’attività tipica della società, che, come si evinceva anche dal codice attività n. 464230 indicato nella dichiarazione Iva, esercitava l’attività di commercio all’ingrosso di camicie, biancheria intima, maglieria e simili, che nulla aveva a che vedere con la compravendita di immobili.
2. Il secondo mezzo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 19 bis del d.P.R. n. 633/1972 in quanto i giudici avrebbero dovuto verificare la sussistenza o meno dei presupposti per il corretto calcolo del pro-rata di detraibilità in ossequio al diritto del contribuente, riconosciuto dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 13378/2016, di opporsi in sede contenziosa alla maggiore pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria indipendentemente dalle modalità e termini di cui alla dichiarazione integrativa prevista dall’art. 2 del d.P.R. n. 322/1998. I giudici di secondo grado se avessero verificato quanto denunciato dalla società contribuente, sia in primo che in secondo grado, sarebbero giunti alla conclusione che l’operazione di vendita dell’immobile avvenuta nel 2010 in regime di esenzione ex art. 10, comma 1, n. 8 ter del d.P.R. n. 633/1972 non poteva, affatto, concorrere al calcolo del pro-rata di detraibilità previsto dall’art. 19 bis del medesimo decreto. Ciò, in ossequio al principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 13378/2016. La Società, infatti, aveva eccepito sia in primo, sia in secondo grado la violazione dell’art. 19 bis , in quanto la vendita (occasionale) dell’immobile non rientrava nell’attività tipica svolta dalla stessa.
Il terzo mezzo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., l’omessa pronuncia, per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in riferimento alla valutazione della sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione del pro-rata di detraibilità di cui all’art. 19 bis del d.P.R. n. 633/1972. I giudici di appello avevano completamente omesso di esaminare la questione sull’ applicabilità del pro-rata di detraibilità di cui all’art. 19 bis del d.P.R. n. 633/1972, che era stata sollevata sia in primo che in secondo grado (alle pagg. 5 e 6 del ricorso di primo grado e alla pag. 3 dell’atto di appello). Se i giudici avessero vagliato e correttamente applicato la citata normativa, sarebbero giunti alla conclusione che la Società aveva, certamente, commesso un errore formale di compilazione della dichiarazione, con la conseguente illegittimità della iscrizione a ruolo impugnata.
3.1 I motivi, che vanno trattati unitariamente perché connessi, sono fondati.
3.2 La Commissione tributaria regionale ha affermato che: 1) dall’esame degli atti emergeva con chiarezza che il controllo automatizzato, effettuato in base all’art. 36 bis del d.P.R. n. 600/73, era legittimo in quanto fondato su dati dichiarati dalla ricorrente e sulle risultanze del calcolo dell’Anagrafe tributaria; 2) la Società avrebbe dovuto correggere l’errore commesso in sede di compilazione della dichiarazione integrativa entro il termine previsto dall’art. 2, comma 8 bis , del d.P.R. n. 322/1998 ed art. 2, comma 1, lett. e del d.P.R. n. 435/2001, ossia entro il periodo d’imposta successivo e, comunque, prima della notifica degli avvisi di accertamento o comunicazioni emessi a rettifica dei dati dichiarati; 3) non rivestiva alcun rilievo la dichiarazione IVA successiva di ravvedimento presentata in data 9 settembre 2015, ai sensi dell’art. 1, comma 637, della legge n. 190/2014, trattandosi di un evento posteriore al deposito della sentenza di primo grado, avvenuto in data 16 aprile 2015.
3.3 Ed invero, il ragionamento della Commissione tributaria regionale, che, in sintesi, non riconosce la legittimità della contestazione, da parte della contribuente, della pretesa tributaria, non è conforme all’indirizzo espresso dalle Sezioni unite di questa Corte (Cass., Sez. U., 30 giugno 2016, n. 13378), peraltro intervenute successivamente, che, occupandosi del tema del decidere, hanno avuto modo di stabilire che « In caso di errori od omissioni nella dichiarazione dei redditi, la dichiarazione integrativa può essere presentata non oltre i termini di cui all’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 se diretta ad evitare un danno per la P.A. (art. 2, comma 8, del d.P.R. n. 322 del 1998), mentre, se intesa, ai sensi del successivo comma 8 bis, ad emendare errori od omissioni in danno del contribuente, incontra il termine per la presentazione della dichiarazione per il periodo d’imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante, fermo restando che il contribuente può chiedere il rimborso entro quarantotto mesi dal versamento ed, in ogni caso, opporsi, in sede contenziosa, alla maggiore pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria ».
3.4 Come già precisato da questa Corte, le Sezioni unite richiamate hanno ritenuto che « il sistema normativo derivante dall’introduzione dei commi 8 e 8-bis consente di distinguere, nell’ambito dell’art. 2, i limiti e l’oggetto delle rispettive dichiarazioni integrative, nel senso, precisamente, che la correzione di errori od omissioni in danno della P.A. sono emendabili non oltre i termini stabiliti dall’art. 43, del d.P.R. n. 600/1973, mentre gli errori o le omissioni in danno del contribuente possono, di contro, essere emendati non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, portando in compensazione il credito eventualmente risultante; la natura giuridica della dichiarazione fiscale, quale mera esternazione di scienza, il principio di capacità contributiva dell’art. 53 Cost., il disposto dell’art. 10 dello Statuto del contribuente – secondo
cui i rapporti tra contribuente e fisco sono improntati al principio di collaborazione e buona fede – nonché il diverso piano sul quale operano le norme in materia di accertamento e riscossione, rispetto a quelle che governano il processo tributario, comportano, poi, l’inapplicabilità, in tale sede, delle decadenze prescritte per la sola fase amministrativa; deve, pertanto, riconoscersi al contribuente la possibilità, in sede contenziosa, di opporsi alla maggiore pretesa tributaria azionata dal fisco – anche con diretta iscrizione a ruolo a seguito di mero controllo automatizzato – allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella sua redazione ed incidenti sull’obbligazione tributaria, indipendentemente dal termine (decadenziale) di cui all’art. 2 citato» (Cass., 28 novembre 2018, n. 30796, in motivazione).
3.5 Le Sezioni Unite, dunque, con la sentenza n. 13378 del 30 giugno 2016, chiamate a decidere sul contrasto tra diversi orientamenti formatisi sulla emendabilità della dichiarazione, hanno affermato il principio per il quale occorre distinguere il diverso piano sul quale operano le norme in materia di accertamento e riscossione, cui si applicano i termini previsti dall’art. 2, commi 8 e 8 bis, del d.p.r. 322/1998, rispetto a quelle che governano il processo tributario e ciò in quanto oggetto del contenzioso giurisdizionale è l’accertamento circa la legittimità della pretesa impositiva, quand’anche fondata sulla base di dati forniti dal contribuente. Dunque, in tal caso, non si verte in tema di «dichiarazione integrativa» ex art. 2, comma 8, del d.P.R. n. 322 del 1998, o di richiesta di rimborso ex art. 38 del d.P.R. 602/73 e sussiste il diritto del contribuente a contestare il provvedimento impositivo, fornendo prova delle circostanze, quali anche errori o omissioni presenti nella dichiarazione fiscale.
3.6 Ciò posto, nel caso in esame, come emerge a pag. 2 della sentenza impugnata, « La contestazione riguardava l’importo richiesto a titolo di saldo IVA in quanto derivato da un errore nella compilazione della dichiarazione nella quale era stata indicata un’operazione relativa alla
vendita di un immobile quale soggetta al calcolo della pro-rata e non come operazione occasionale, per cui la corretta rideterminazione dell’IVA dovuta doveva essere quantificata secondo la contribuente in Euro 88.939,00 »; non è condivisibile, dunque, la prospettazione erariale fondata, peraltro, sul richiamo della sentenza di questa Corte n. 20415 del 26 settembre 2014, difforme rispetto alla sentenza delle Sezioni Unite, più volte richiamata, n. 13378 del 30 giugno 2016.
Per le ragioni di cui sopra, il ricorso va accolto, la sentenza impugnata va cassata e la causa va rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, in data 22 novembre 2023.