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Elusione fiscale: gruppo di imprese non basta

Una società immobiliare contestava un avviso di accertamento per elusione fiscale. L’Agenzia delle Entrate riteneva che una serie di operazioni infragruppo fosse finalizzata solo a neutralizzare una plusvalenza. La Corte di Cassazione ha annullato la decisione di merito, stabilendo che l’appartenenza delle società a un medesimo gruppo non è sufficiente a dimostrare l’elusione fiscale. È necessario provare l’assenza di valide ragioni economiche e di sostanza economica nelle singole operazioni.

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Pubblicato il 10 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Elusione Fiscale: Appartenenza al Gruppo non Basta a Provare l’Abuso

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8484 del 28 marzo 2024, torna su un tema cruciale del diritto tributario: l’elusione fiscale. Il caso offre spunti fondamentali per distinguere tra legittima pianificazione fiscale e abuso del diritto, specialmente nell’ambito di operazioni complesse realizzate all’interno di un gruppo di imprese. La Suprema Corte ribadisce un principio cardine: l’appartenenza delle società coinvolte a un medesimo gruppo non è, di per sé, prova sufficiente di un disegno elusivo. È necessario un accertamento più approfondito sulla sostanza economica delle operazioni.

I Fatti di Causa

Una società immobiliare aveva ceduto la sua quota di maggioranza in una società operativa, realizzando una cospicua plusvalenza di oltre 40 milioni di euro. Le acquirenti erano altre due società riconducibili allo stesso gruppo imprenditoriale. Negli anni successivi, la società operativa, nel frattempo trasformata, ha prodotto ingenti redditi d’impresa derivanti da attività di speculazione immobiliare.

L’Agenzia delle Entrate, a seguito di una verifica fiscale, ha emesso un avviso di accertamento nei confronti della società cedente originaria. Secondo l’Ufficio, l’intera operazione era un complesso disegno artificioso volto a neutralizzare la tassazione. In pratica, attraverso una serie di successive cessioni di quote e la generazione di minusvalenze e oneri finanziari in capo ai nuovi soci (sempre parte del gruppo), il reddito prodotto dalla società operativa veniva sistematicamente azzerato, evitando così il pagamento delle imposte. L’Agenzia contestava quindi l’elusione fiscale, riattribuendo una parte di quel reddito alla società che aveva generato la plusvalenza iniziale.

Il Dibattito Giudiziario e la Decisione della Cassazione sull’Elusione Fiscale

Il percorso giudiziario è stato altalenante. Mentre la Commissione Tributaria Provinciale aveva dato ragione al contribuente, la Commissione Tributaria Regionale (CTR) aveva riformato la decisione, accogliendo la tesi dell’Amministrazione Finanziaria. La CTR aveva ritenuto che la “concatenazione dei negozi” e l’appartenenza di tutte le società coinvolte al “medesimo gruppo d’impresa” fossero elementi sufficienti a dimostrare l’esistenza di un’operazione elusiva, la cui unica finalità era quella di evitare la tassazione.

La società ha quindi proposto ricorso in Cassazione, lamentando, tra le altre cose, l’errata applicazione dei principi in materia di abuso del diritto. La Suprema Corte ha accolto questi motivi, cassando la sentenza della CTR con rinvio.

Le Motivazioni: Oltre l’Appartenenza al Gruppo per l’Elusione Fiscale

Il cuore della decisione della Cassazione risiede nella critica alla motivazione dei giudici d’appello. La Corte afferma che la CTR ha tratto conclusioni in modo generico e apodittico, senza condurre la necessaria e approfondita analisi sulla sostanza economica delle operazioni contestate.

Secondo i principi consolidati, sia a livello nazionale che europeo, per configurare un’ipotesi di elusione fiscale non basta dimostrare l’esistenza di un vantaggio fiscale e un collegamento tra le parti. L’Amministrazione Finanziaria ha l’onere di provare che l’operazione, o la serie di operazioni, è priva di valide ragioni economiche extrafiscali. In altre parole, deve dimostrare che la struttura negoziale scelta è un “puro artificio” costruito al solo scopo di ottenere un risparmio d’imposta.

Il semplice fatto che le società appartengano allo stesso gruppo non è un elemento risolutivo. Anzi, è proprio all’interno dei gruppi che si realizzano complesse strategie di riorganizzazione, le quali possono legittimamente perseguire anche obiettivi di efficienza fiscale. Il compito del giudice è verificare se, al di là del vantaggio tributario, le operazioni presentino una loro coerenza economica e siano idonee a produrre effetti significativi diversi da quelli fiscali. La sentenza della CTR, invece, si era fermata alla superficie, deducendo l’abuso dalla mera appartenenza al gruppo e dal risultato finale, senza spiegare perché le singole operazioni fossero prive di sostanza economica.

Le Conclusioni: Implicazioni per le Pianificazioni Fiscali Infragruppo

La sentenza rappresenta un’importante conferma dei limiti al potere di accertamento dell’Amministrazione Finanziaria in materia di abuso del diritto. Per le imprese, specialmente quelle strutturate in gruppi, il messaggio è chiaro: la pianificazione fiscale è lecita, a condizione che le operazioni non siano costruzioni anomale e artificiose, ma siano sostenute da una logica imprenditoriale. Non si può presumere l’elusione dalla semplice constatazione di un legame societario e di un risparmio d’imposta. L’onere della prova grava sull’Agenzia delle Entrate, che deve dimostrare in concreto l’assenza di ragioni economiche apprezzabili, andando oltre le mere apparenze. La decisione rinforza le garanzie per il contribuente, richiamando i giudici di merito a un’analisi più rigorosa e fattuale della sostanza economica delle transazioni.

L’appartenenza di più società a un unico gruppo imprenditoriale è sufficiente per provare un’operazione di elusione fiscale?
No. Secondo la sentenza, l’appartenenza a un medesimo gruppo non è un elemento di per sé sufficiente a dimostrare l’esistenza di un abuso del diritto. È necessario che l’Amministrazione Finanziaria provi che le operazioni contestate sono prive di sostanza economica e di valide ragioni extrafiscali.

Chi ha l’onere di provare che un’operazione è elusiva e priva di sostanza economica?
L’onere di spiegare perché la forma giuridica utilizzata sia anomala o inadeguata rispetto all’operazione economica, e quindi di dimostrare l’abuso, spetta all’Amministrazione Finanziaria. Il contribuente, a sua volta, ha l’onere di provare l’esistenza di ragioni economiche alternative che giustifichino l’operazione.

Un’operazione che produce un risparmio fiscale è sempre considerata elusione fiscale?
No. Un’operazione non è considerata abusiva se è giustificata da valide ragioni extrafiscali, non marginali, che possono essere anche di natura organizzativa o gestionale e mirare a un miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa. La libertà di scelta del contribuente tra diverse operazioni con differente carico fiscale è garantita, purché non si traduca in un mero artificio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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