Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 1148 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 1148 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/01/2025
Oggetto: sentenza GIP -efficacia nel processo tributario -d.lgs. 87/2024 art.21-bis d.lgs. n.74/2000
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 32218/2018 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE DELLE RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME (pec: EMAIL domiciliata presso la Cancelleria della Corte di cassazione;
-controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 599/2/2018 della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte depositata il 29.3.2018, non notificata.
Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 21 novembre 2024 dal consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
La Commissione Tributaria Regionale del Piemonte rigettava l’appello proposto dall ‘Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Vercelli n. 130/2/2015 con la quale erano stati riuniti e accolti i ricorsi avverso due atti di contestazione sanzioni per operazioni oggettivamente inesistenti poste in essere dalla contribuente, che svolgeva attività di commercio import/export di legname con le società RAGIONE_SOCIALE, di diritto statunitense, RAGIONE_SOCIALE, di diritto ungherese, e la RAGIONE_SOCIALE nonché due avvisi di accertamento notificati alla società per II.DD., IVA e sanzioni in dipendenza da operazioni oggettivamente inesistenti relativamente agli anni di imposta 2011 e 2012.
In sentenza si legge che le riprese traevano origine da una verifica effettuata nell’anno 2014 dalla Guardia di Finanza presso la sede della RAGIONE_SOCIALE A seguito della verifica veniva emesso p.v.c. del 15 aprile 2014 e veniva contestata alla contribuente l’inesistenza oggettiva di operazioni di acquisto e vendita di legnami apparentemente intercorse con le suddette società.
Il giudice osservava che RAGIONE_SOCIALE era partecipata dalla RAGIONE_SOCIALE, aveva come amministratore NOME NOME ed era priva di una struttura operativa. Nondimeno, riteneva che il fatto che il legname non fosse stato materialmente movimentato non escludeva che fosse comunque intervenuto il relativo trasferimento di proprietà.
La Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, nel respingere l’appello , evidenziava come l’Agenzia delle Entrate non aveva dato
prova dell’inesistenza oggettiva delle operazioni contestate e, al contrario, la contribuente aveva dato prova del l’esistenza delle operazioni anche sulla base di documentazione prodotta nel giudizio di cui l’Agenzia contestava la mancata tempestiva esibizione durante il procedimento amministrativo.
Il giudice valorizzava inoltre il fatto che il Tribunale di Vercelli aveva assolto con formula piena il legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME in sede penale dall’accusa di evasione, con formula ‘perché il fatto non sussiste’, sentenza divenuta definitiva.
Una volta esclusa l’inesistenza delle cessioni, la società accertata risultava secondo il giudice aver posto in essere regolarmente operazioni fuori campo IVA ex art. 7 d.P.R. 633/72, come risultava anche dalle indicazioni esposte nelle fatture.
Quanto agli atti di contestazione sanzioni, con cui veniva applicato l’art. 8, d.l. 2.3.2012, n. 16 contestando la realizzazione di ricavi e sostenimento di costi relativi a beni non effettivamente scambiati, la CTR da un lato escludeva una finalità di evasione IRES e, dall’altro, riteneva che non emergessero irregolarità ai fini IVA che avessero pregiudicato l’azione di controllo. Emergeva solo che era stato realizzato un meccanismo di acquisti/cessioni con paesi esteri irrilevanti ai fini IVA finalizzati a un vantaggio di società estera (RAGIONE_SOCIALE) sotto forma indiretta di finanziamenti, poiché le fatturazioni erano state esibite per l’ottenimento di finanziamenti. Tale meccanismo non aveva portato a ricavi o indebita deduzione di costi per la società accertata, esclusa l’inesistenza oggettiva delle operazioni, e il giudice concludeva che non risultavano violazioni che potessero essere sanzionate con la norma citata.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso principale per Cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidato a cinque motivi, cui replica la contribuente con controricorso e ricorso incidentale per un motivo, che illustra con memoria ex art.380-bis.1 cod. proc. civ..
Considerato che:
In via preliminare va esaminata e disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6 cod. proc. civ., per asserita assenza di specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché dei dati necessari all’individuazione della loro collocazione quanto al momento della produzione nei gradi dei giudizi di merito. Tali elementi si evincono dal corpo delle censure che, tutte, individuano i capi della decisione impugnati, sollevano questioni in diritto e non chiedono la rivalutazione di fatti e documenti.
Con il primo motivo del ricorso principale l ‘Agenzia , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 654 c.p.p., quanto al principio di autonomia dei processi penale e tributario e ai limiti del giudicato penale nel processo tributario, nonché degli artt. 7 d.lgs. n. 546/92 e 2697 e 2727 cod. civ.; la sentenza sarebbe errata e meritevole di riforma in quanto ritiene che la contribuente abbia assolto al proprio onere probatorio attraverso la produzione della sentenza definitiva n.184/2016 del GIP presso il Tribunale di Vercelli, senza considerare l’autonomia del processo tributario rispetto a quello penale.
Il motivo è fondato.
3.1. Il Collegio non ignora che l’art. 21-bis del d.lgs. n. 74 del 2000, introdotto dal d.lgs. n. 87 del 2024, il quale riconosce efficacia di giudicato nel processo tributario alla sentenza penale dibattimentale irrevocabile di assoluzione, è applicabile, quale ius superveniens , anche ai casi in cui detta sentenza è divenuta irrevocabile prima della
operatività di detto articolo e, alla data della sua entrata in vigore, risulta ancora pendente il giudizio di cassazione contro la sentenza tributaria d’appello che ha condannato il contribuente in relazione ai medesimi fatti, rilevanti penalmente, dai quali egli è stato irrevocabilmente assolto, in esito a giudizio dibattimentale, con una delle formule “di merito” previste dal codice di rito penale, ossia perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non l’ha commesso (cfr. Cass. Sez. 5, ordinanza n. 23570 del 03/09/2024).
Al proposito, il principio di diritto va nondimeno specificato nel senso che la novella non trova applicazione nel caso in cui le formule “di merito” previste dal codice di rito (perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non l’ha commesso) siano state adottate dal giudice non alla conclusione del dibattimento penale, ma alla conclusione dell’udienza preliminare.
La sentenza emessa dal Gip, sia pure con la formula ‘perché il fatto non sussiste’, non è adottata a seguito della celebrazione del dibattimento e la ripetizione della prova assunta durante le indagini preliminari connessa a dibattimento. Conseguentemente, non trova applicazione sotto un profilo testuale l’art. 21-bis del d.lgs. n. 74 del 2000, introdotto dal d.lgs. n. 87 del 2024 per precisa scelta del legislatore, né emerge un ‘ irragionevolezza della norma sotto il profilo della differenza di trattamento rispetto alla sentenza di assoluzione dibattimentale in ragione del diverso contenuto probatorio alla base della decisione.
Pertanto, l’art. 21-bis del d.lgs. n. 74 del 2000, introdotto dal d.lgs. n. 87 del 2024, che riconosce efficacia di giudicato nel processo tributario alla sentenza penale dibattimentale irrevocabile di assoluzione non è applicabile, quale ius superveniens , alla presente fattispecie, in cui è stata pronunciata dal giudice per le indagini preliminari sentenza divenuta definitiva, benché abbia adottato la formula ‘perché il fatto non sussiste ‘ .
Nel caso in esame, il giudice ha ritenuto assolto l’onere probatorio attraverso la produzione della sentenza 184/2016 del GIP presso il Tribunale di Vercelli («la sentenza n. 184/2016 GIP presso il Tribunale di Vercelli (…) assolve NOME NOME perché il fatto non sussiste dalle imputazioni di falsa dichiarazione», cfr. p.5 sentenza impugnata) e, per quanto sopra esposto in diritto, la novella non si applica.
3.2. La sentenza penale suddetta non assume automaticamente efficacia di giudicato nel processo tributario (ordinanza n. 17258 del 27/06/2019 e sentenze nn. 10578 del 22/5/2015 e 5720 del 12/3/2007) e il giudice d’appello ha errato a non tener conto di tale consolidato indirizzo interpretativo. Infatti, se i fatti ritenuti rilevanti in sede penale sono gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente, la sentenza penale può essere valutata come fonte di prova dal giudice tributario che ne verifica la rilevanza nell’ambito del contenzioso tributario in esame, sulla base della consolidata giurisprudenza di Cassazione, ma non può derivarne alcun effetto di giudicato come ritenuto dal giudice il quale non ha compiuto un’autonoma valutazione delle risultanze del giudizio penale.
Con il secondo motivo di ricorso, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ., si censura la nullità della sentenza e la motivazione apparente della sentenza in violazione e falsa applicazione degli artt. 36 n. 4 d.lgs. 546/1992, 132, comma 2, n. 4, 156 cod. proc. civ., 118, comma 1, disp. att. cod. proc. civ. e 111 Cost.. La sentenza, nel confermare la decisione di primo grado, si limiterebbe ad enunciare laconicamente alcuni dati di fatto senza che di tali elementi sia stata effettuata alcuna analisi.
5. Il motivo non può trovare ingresso. La sentenza impugnata esprime chiare rationes decidendi ed è fondata sul quadro probatorio raccolto nel processo.
Sotto un primo profilo il giudice ha evidenziato che l’Agenzia delle Entrate non ha dato prova dell’inesistenza oggettiva delle operazioni contestate e, al contrario la contribuente ha dato prova dell’esistenza delle operazioni anche sulla base di documentazione prodotta nel giudizio di cui l’Agenzia contestava la mancata tempestiva esibizione durante il procedimento amministrativo.
Il giudice ha accertato il fatto che il Tribunale di Vercelli aveva assolto con formula piena il legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME in sede penale dall’accusa di evasione, con formula ‘perché il fatto non sussiste’, sentenza divenuta definitiva.
Inoltre, una volta esclusa l’inesistenza delle cessioni, la società risulta secondo il giudice aver posto in essere regolarmente operazioni fuori campo IVA ex art. 7 d.P.R. 633/72, come emerge anche dalle indicazioni esposte nelle fatture.
Quanto agli atti di contestazione sanzioni, con cui è stato applicato l’art. 8 d.l. 2.3.2012 n. 16, contestando la realizzazione di ricavi e sostenimento di costi relativi a beni non effettivamente scambiati, la CTR da un lato ha escluso una finalità di evasione IRES non contestata e, dall’altro, ha ritenuto che non siano emerse irregolarità ai fini IVA che avessero pregiudicato l’azione di controllo. Secondo la CTR è emerso solo che è stato realizzato un meccanismo di acquisti/cessioni con paesi esteri irrilevanti ai fini IVA finalizzati a un vantaggio di società estera (RAGIONE_SOCIALE) sotto forma indiretta di finanziamenti, poiché le fatturazioni erano state esibite per l’ottenimento di finanziamenti. Tale meccanismo non avrebbe portato secondo il giudice a ricavi o indebita deduzione di costi per la società accertata, esclusa l’inesistenza oggettiva delle operazioni, e la CTR ha concluso che non risultavano violazioni che potessero essere sanzionate con la norma citata. Tale complessa argomentazione rispetta il minimo costituzionale (Cass. Sez. U., n.8053/2014).
6. Con il terzo motivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., viene dedotta la violazione e falsa applicazione da parte della sentenza impugnata degli artt. 46 e 47 d.l. 331/1993 e artt. 7 e 21 del d.P.R. n. 633/1972, laddove afferma ad ulteriore sostegno dell’annullamento della ripresa IVA con riferimento alle operazioni realizzate con operatori aventi sede in Ungheria e negli Stati Uniti che la ricostruzione documentale effettuata non permette, in alcun modo, di avallare l’ipotesi di inesistenza oggettiva delle operazioni ai fini fiscali, giungendo ad affermare che la società accertata ha emesso fatture in regime di non imponibilità IVA.
7. Il motivo è fondato.
Quando le riprese sono per operazioni oggettivamente inesistenti, questa Sezione ha più volte affermato (cfr. ad es. Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 17619 del 05/07/2018) che una volta assolta da parte dell’Amministrazione finanziaria la prova (ad esempio, mediante la dimostrazione che l’emittente è una “cartiera” o una società “fantasma”) dell’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, senza che, tuttavia, tale onere possa ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia.
La sentenza, pur riportando singoli elementi di prova nel corpo della sua argomentazione (es. a pag.4 della sentenza in calce dove dà conto dell’utilizzo delle fatture di cui alle operazioni contestate per ottenere rilevanti finanziamenti e del controllo/partecipazione societaria) non coglie la logica economica alla base delle operazioni contestate e la valutazione sulla oggettiva inesistenza delle operazioni è stata condotta non solo senza applicazione del corretto riparto
dell’onere della prova, ma anche essenzialmente sulla base di elementi formali e astratti, in particolare ragionando sulla natura consensuale del contratto di compravendita del legname (v. ultima pag. sentenza), in contrasto con la giurisprudenza della Sezione sopra riportata.
Il quarto motivo prospetta la violazione e falsa applicazione da parte della sentenza impugnata dell’art. 8 del d.l. 16/2012, convertito dalla legge n. 44/2012, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., con riferimento agli atti di contestazione sanzioni emessi ai sensi dell’art. 8 del d.l. n. 16/2012.
Il motivo è fondato, in dipendenza dell’accoglimento dei motivi primo e terzo relativi alla contestata evasione dell’imposta e la questione del profilo sanzionatorio relativo all’art. 8 del d.l. n. 16/2012 dev’essere riesaminata dal giudice del rinvio.
Il quinto motivo prospetta la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione degli artt. 32 d.P.R. n. 600/73 e 52, 5° comma, d.P.R. n. 633/72, formulando il proprio giudizio sull’erroneo presupposto dell’ammissibilità della ritualità della produzione documentale offerta dalla contribuente in giudizio senza considerare la preclusione trattandosi di documenti non prodotti nella fase istruttoria del controllo, specie in relazione alla prova della esistenza della merce oggetto di transazioni con le società estere.
Il motivo non può trovare ingresso.
11.1. In primo luogo, la motivazione della CTR non è apparente nella parte in cui, dopo aver riportato il pertinente motivo di appello, afferma a pag.4 sulla questione della produzione documentale effettuata dalla contribuente che «L’Ufficio non indica quali documenti prodotti in giudizio tra quelli assai cospicui prodotti in primo grado siano oggetto della preclusione anzi dal testo sopra riportato non è dato comprendere se sia intervenuta la produzione in giudizio delle
fatture, note di credito e documenti di trasporto in quanto si assume che non siano stati allegati al ricorso». Si tratta di un’argomentazione logica che contiene un accertamento fattuale preciso.
11.2. In secondo luogo, la doglianza con riferimento alla questione sottostante della mancata utilizzabilità di parte della documentazione prodotta dalle contribuenti in giudizio è affetta da difetto di specificità. La Corte ha chiarito (Cass. Sez. 5, ordinanza n. 16757 del 14/06/2021) che, in tema di accertamento tributario, occorre distinguere l’ipotesi in cui l’amministrazione finanziaria richieda al contribuente documenti mediante questionario, ai sensi dell’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 in materia di imposte dirette, ovvero dell’art. 51 d.P.R. n. 633 del 1972, in materia di IVA, da quella avanzata nel corso di attività di accesso, ispezione o verifica ex art. 33 d.P.R. n. 600 cit., quanto all’imposizione reddituale ed ex art. 52 del d.P.R. n. 633 cit., quanto all’IVA. Infatti – ferma restando la necessità, in ogni ipotesi, che l’amministrazione dimostri che vi era stata una puntuale indicazione di quanto richiesto, accompagnata dall’espresso avvertimento circa le conseguenze della mancata ottemperanza – nel primo caso, il mancato invio nei termini concessi della suindicata documentazione equivale a rifiuto, con conseguente inutilizzabilità della stessa in sede amministrativa e contenziosa, salvo che il contribuente non dichiari, all’atto della sua produzione con il ricorso, che l’inadempimento è avvenuto per causa a lui non imputabile, della cui prova è, comunque, onerato. Nel secondo caso, invece, la mancata esibizione di quanto richiesto ne preclude la valutazione a favore del contribuente solo ove si traduca in un sostanziale rifiuto di rendere disponibile la documentazione, incombendo la prova dei relativi presupposti di fatto sull’amministrazione finanziaria.
11.3. Ciò premesso, innanzitutto, il Collegio osserva che non è esplicitato in forza di quale previsione normativa in sede amministrativa
sia stata chiesta l’esibizione documentale alle contribuenti. Comunque, dal momento che né in sentenza né nel ricorso si fa riferimento al questionario né all’art.51 cit., si deve ritenere che la richiesta di documentazione sia intervenuta nel corso della verifica e, dunque, che rientri nella seconda ipotesi sopra descritta. Pertanto, l’Amministrazione doveva fornire la prova, ai fini dell’ inutilizzabilità della documentazione non esibita in sede amministrativa, dei presupposti di fatto di un sostanziale rifiuto di renderla disponibile ai verificanti e tali elementi non emergono dal motivo.
11.4. Inoltre, a fronte di un preciso accertamento fattuale del giudice sulla mancata richiesta di parte della documentazione in sede amministrativa, non è chiaro quali specifici documenti siano stati chiesti dai verificatori e quali individuati documenti siano stati prodotti in giudizio, per consentire un controllo sul l’esattezza della preclusione per le singole componenti della produzione documentale. Non è sufficiente la generica menzione di fatture, note di credito, documenti di trasporto richiesti dall’Amministrazion e ai cui fa riferimento il motivo di appello riportato in ricorso e nella stessa sentenza impugnata, in quanto contiene un richiamo generico ad un vasto numero di documenti, tra i quali non vengono esattamente distinti quelli di nuova produzione. Ne deriva anche il difetto di rilevanza della questione.
12. Resta assorbito dalla cassazione con rinvio il ricorso incidentale che investe unicamente il capo in cui la sentenza impugnata ha compensato le spese di lite tra le parti, questione che dovrà essere riesaminata in sede di rinvio.
La sentenza impugnata è perciò cassata con riferimento ai motivi accolti e, per l’effetto, la controversia va rinviata alla Corte di Giustizia di secondo grado del Piemonte, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione ai profili e per la liquidazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte accoglie i motivi primo, terzo e quarto del ricorso principale, rigettati il secondo ed il quinto, assorbito il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di Giustizia di secondo grado del Piemonte, in diversa composizione, per ulteriore esame in relazione ai profili e per la liquidazione delle spese di lite.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 21.11.2024