Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7760 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 7760 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/03/2025
Oggetto: Agevolazione RAGIONE_SOCIALE – Art. 6 13-19 l. 388/2000 – Art. 57 d.lgs. 546/1992 -Tardività dell’istanza di rimborso eccepita solo in appello – Inammissibilità dell’eccezione -Decisione nel merito -Valore probatorio perizia stragiudiziale
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11745/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale in calce al controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo Studio Legale e Tributario RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE COGNOME;
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, n. 917/03/2021, depositata in data 16 febbraio 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5 marzo 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
La società RAGIONE_SOCIALE presentava istanza di rimborso delle eccedenze dei versamenti IRES eseguiti per gli anni di imposta dal 2011 al 2014. Deduceva di aver realizzato 7 impianti fotovoltaici, tra il 2009 ed il 2010, senza aver però beneficiato dell’agevolazione prevista dall’art. 6, commi 13 e ss., della legge 388/2000, in particolare della deduzione del cd. sovraccosto ambientale. La situazione di incertezza circa la cumulabilità della detta agevolazione con le tariffe incentivanti di cui al II Conto Energia aveva indotto la contribuente a non usufruire immediatamente della prima; solo con il D.M. 5 luglio 2012 (V Conto Energia) il dubbio era stato sciolto in favore della cumulabilità. Con la Risoluzione n. 58/E del 20 luglio 2016, infine, l’Age nzia delle entrate aveva indicato le modalità procedimentali per poter usufruire della detta agevolazione, ovvero: la presentazione a) di una dichiarazione integrativa o b) di una istanza di rimborso.
La contribuente richiedeva, quindi, il rimborso di complessivi Euro 840.843,00 (Euro 149.346,00 per il 2011, Euro 236.312,00 per il 2012, Euro 261.922,00 per il 2013 ed Euro 193.263,00 per il 2014) ed impugnava innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Roma il silenzio-rifiuto formatosi una volta elasso il termine di 90 giorni dall’istanza.
La CTP accoglieva il ricorso, evidenziando che la contribuente aveva prodotto una perizia stragiudiziale a firma di un professionista esperto del settore, estimativa del valore dell’investimento ambientale realizzato, e riconoscendo la cumulabilità tra le tariffe incentivanti del II Conto Energia e l’agevolazione Tremonti Ambiente.
L ‘Ufficio proponeva appello avverso la decisione dei giudici di primo grado, affidandosi a due motivi; da un lato, eccepiva per la prima volta la decadenza del diritto al rimborso con riferimento
all’annualità 2011; dall’altro, deduceva la carenza di motivazione della sentenza in relazione all’esatta quantificazione della componente dell’investimento ambientale ‘agevolabile’, essendo la decisione fondata solo sulla perizia stragiudiziale di parte.
La Commissione tributaria regionale del Lazio confermava la decisione di primo grado: dichiarava il primo motivo inammissibile ex art. 57 d.lgs. n. 546/1992, perché nuovo, salvo poi pronunciarsi sul merito dell’eccezione di tardività ritenendola infondata; rigettava il secondo motivo, ritenendo il metodo di calcolo utilizzato dalla contribuente conforme ‘all’ordinario meccanismo di determinazione del reddito imponibile coerente con la normativa vigente’ (pag. 2 della sentenza).
Contro la decisione della CTR propone ricorso per cassazione l ‘ Agenzia delle entrate, affidato a due motivi. La società contribuente resiste con controricorso.
È stata, quindi, fissata l’adunanza camerale per il 05/03/2025. La controricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis1 cod. proc. civ..
Considerato che:
Con il primo motivo l ‘Agenzia denuncia , in relazione all’art. 360, comma prima, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., la «violazione dell’art. 57, comma 2, del D.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in combinato disposto con l’art. 38 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, e con l’art. 2969 cod. civ. ». Il motivo si sviluppa lungo tre direttrici:
sotto un primo profilo, viene dedotta la violazione dell’art. 57 d.lgs. 546/1992 per avere la CTR erroneamente qualificato l’eccezione di decadenza dal rimborso, relativamente all’anno 2011, come ‘nuova’; invece, secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte, la tardività dell’istanza di rimborso è rilevabile d’ufficio, anche in sede di gravame, e, pertanto, la relativa doglianza può essere avanzata dall’Ufficio per la prima volta in sed e di appello;
b) sotto altro profilo, evidenzia che la decisione della CTR nel merito della suddetta eccezione debba ritenersi tamquam non esset ,
atteso che con la declaratoria di inammissibilità il giudice si è spogliato della potestas iudicandi ; pertanto, tale ulteriore ratio decidendi non può nemmeno formare oggetto di impugnazione in questa sede;
sotto il terzo profilo, sollecita la Corte ad affermare il principio di diritto in relazione all’individuazione del dies a quo del termine di decadenza di 48 mesi, in quello del versamento dell’acconto, non già del saldo.
Il motivo è inammissibile in quanto attinge solo una delle due (autonome e distinte) rationes decidendi dell’eccezione di tardività proposta dall’Ufficio in sede di appello.
La CTR ha, come supra accennato, dichiarato inammissibile la detta eccezione in quanto tardiva, e l’ha, poi, rigettata nel merito, ritenendo tempestiva l’istanza di rimborso proposta dalla contribuente.
Solo la prima ratio decidendi (in punto di inammissibilità) viene attaccata dal motivo di ricorso de quo . Espressamente si afferma nel ricorso che la motivazione (di rigetto nel merito della stessa) non può formare oggetto di specifico motivo di impugnazione, in quanto tamquam non esset e, pertanto, non può assurgere al rango di ratio decidendi .
L’assunto della ricorrente non può essere condiviso. Invero, la giurisprudenza di questa Corte richiamata nel ricorso (Cass. 16/06/2020, n. 11675; Cass. 01/02/2021, n. 2155) fa riferimento all’ipotesi (diversa da quella oggetto del presente giudizio) in cu i il giudice del merito abbia dichiarato inammissibile una domanda, un capo di essa o un motivo d’impugnazione, in tal modo spogliandosi della “potestas iudicandi”; solo in tal caso, «ove abbia ugualmente proceduto al loro esame nel merito, le relative argomentazioni devono ritenersi ininfluenti ai fini della decisione e, quindi, prive di effetti giuridici con la conseguenza che la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnarle, essendo invece tenuta a censurare soltanto la dichiarazione d’inammissibilità la quale
costituisce la vera ragione della decisione» (Cass. 16/06/2020, n. 11675; conf. Cass. 19/09/2022, n. 27388 e Cass. 12/12/2024, n. 32092).
Pertanto, stante l’autonomia delle dette rationes questa Corte costantemente afferma che «nel caso in cui venga impugnata con ricorso per cassazione una sentenza (o un capo di questa) che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinché si realiz zi lo scopo proprio di tale mezzo di impugnazione, il quale deve mirare alla cassazione della sentenza, ‘in toto’ o nel suo singolo capo, per tutte le ragioni che autonomamente l’una o l’altro sorreggono. Ne consegue che è sufficiente che anche una sola delle dette ragioni non abbia formato oggetto di censura, ovvero, pur essendo stata impugnata, sia respinta, perché il ricorso o il motivo di impugnazione avverso il singolo capo di essa, debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni poste a base della sentenza o del capo impugnato» (Cass. Sez. U. 08/08/2005, n. 16602; conf. Cass. 18/04/2019, n. 10815 e Cass. 06/07/2020, n. 13880).
Con il secondo motivo l’Ufficio lamenta, in relazione al rimborso di tutte le annualità dal 2011 al 2014, sempre ai sensi dell ‘art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la «violazione dell’art. 6, comma 15, della L. 23 dicembre 2000, n. 388, in combinato disposto con l’art. 2697, I comma, cod. civ. » per avere la CTR ritenuto a ssolto l’onere probatorio incombente sulla contribuente circa la determinazione del ‘sovraccosto ambientale’ deducibile sulla base di una perizia stragiudiziale di parte.
Il motivo è inammissibile.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. si configura
unicamente nell’ipotesi in cui il giudice di merito abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando il ricorrente intenda lamentare che, a causa di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, la sentenza impugnata abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata non avesse assolto tale onere (Cass., 21/03/2022, n. 9055).
Nella specie la CTR, sulla base dei diversi elementi dedotti dalla parte e, in particolare, sulla scorta di una perizia stragiudiziale, ha ritenuto assolto l’onere probatorio incombente sulla contribuente circa la quantificazione del sovraccosto ambientale deducibile; in tal modo, non ha affatto violato il disposto dell’art. 2697 cod. civ., come dedotto dalla ricorrente.
In definitiva, il ricorso va integralmente rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente l’Agenzia delle Entrate, ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. 228 del 2012 (Cass. 29/01/2016, n. 1778).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della RAGIONE_SOCIALE delle spese processuali del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 13.300,00, oltre esborsi liquidati in Euro 200,00, oltre rimborso spese forfetarie nella misura del 15% dei compensi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 5 marzo 2025.