Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2083 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 2083 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/01/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 28789/2019 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME e rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della TOSCANA n. 342/2019 depositata il 28/02/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/11/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
sentite le conclusioni del Procuratore Generale che ha concluso per il rigetto;
Uditi i difensori delle parti presenti.
FATTI DI CAUSA
La Commissione Tributaria Regionale della Toscana, con la sentenza n. 342/07/2019, depositata in data 28/02/2019 e non notificata, in riforma della sentenza di primo grado – in forza della quale era stata annullato, per carenza di motivazione, l’ avviso di accertamento relativo a TARSU, anno 2009, emesso dal Comune di Pescia nei confronti della RAGIONE_SOCIALE – rigettava il ricorso della società contribuente.
1.1. La Commissione Tributaria Regionale, nel rilevare l’ inammissibilità della eccezione di decadenza dal potere impositivo formulata dalla contribuente in quanto eccezione nuova e, comunque, la infondatezza della stessa atteso che il termine decadenziale di anni cinque doveva decorrere dal 20 gennaio 2010 -data ultima di presentazione della dichiarazione da parte della predetta società -osservava che l’ avviso de quo era da ritenere adeguatamente motivato stante la specificazione della superficie recuperata a tassazione, delle tariffe applicate, della ubicazione dei beni e della categoria riconosciuta in capo alla contribuente e che erano infondate le ulteriori eccezioni reiterate dalla RAGIONE_SOCIALE
Contro detta sentenza la contribuente propone ricorso per
cassazione affidato a cinque motivi cui resiste il Comune di Pescia.
La società contribuente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo parte ricorrente lamenta, ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli
artt. 24 e 32 d.lgs. 546/1992 nella parte in cui i giudici territoriali avevano ritenuto tardiva l’ eccezione di decadenza proposta dalla contribuente.
Assume che la questione afferente la decadenza non poteva essere considerata un motivo ‘nuovo’ in quanto si trattava di una mera difesa della contribuente contenuta nella memoria ex art. 32 d.lgs. 546/1992 formulata a fronte della eccezione del Comune che, nel costituirsi, aveva dedotto la tempestività dell’ atto di accertamento adottato nel rispetto dei termini di cui all’ art. 1, comma 161, legge n. 296/2006.
Con il secondo motivo deduce, ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’ art. 1, comma 161, legge n. 296/2006 per avere la Commissione Tributaria Regionale ritenuto infondata, nel merito, tale eccezione.
2.1. Rileva che, erroneamente, la Commissione Tributaria Regionale aveva ritenuto che il dies a quo del termine di decadenza coincideva con il giorno 20 gennaio 2010, nel senso che, entro quel giorno, la società avrebbe dovuto trasmettere ovvero presentare al Comune apposita dichiarazione relativa al possesso per l’anno 2009 delle due aree situate in INDIRIZZO, e in INDIRIZZO, sicchè non avendo a ciò provveduto si sarebbe resa responsabile di un’omessa dichiarazione.
2.2. Osserva che, nel pervenire a tali conclusioni, i giudici di merito non avevano considerato che nessuna dichiarazione, oltre a quelle già presentate nel 2007 e nel 2009 e versate in atti, era dovuta in quanto il possesso dell’area di INDIRIZZO, era iniziato il 16 maggio 2007 ed era già stato tempestivamente dichiarato il 30 novembre 2007 (con decorrenza dall’inizio dell’occupazione, il 16 maggio 2007), mentre il possesso dell’area sita in INDIRIZZO, iniziato il 23 giugno 2008, era già stato regolarmente dichiarato l’8 gennaio 2009 (con decorrenza dalla data dell’occupazione, il 23 giugno 2008); pertanto risultando dimostrato che il possesso di
entrambe le aree era iniziato prima del 2009 per, poi, protrarsi per tutto il 2009 e per gli anni a seguire ed essendo incontestato e pacifico che dette aree erano state denunciate alla date suindicate ai fini TARSU , rispettivamente, il 30 novembre 2007 e l’8 giugno 2009, non poteva parlarsi di una ipotesi di un’omessa dichiarazione.
2.3. Deduce, ancora, che i giudici di appello avevano omesso di considerare che l’art. 70, primo comma, d.lgs. n. 503/1997 richiede che la dichiarazione relativa ad una specifica area venga presentata entro il 20 gennaio immediatamente successivo all’inizio del possesso dell’area medesima, senza necessità di reiterarla per ogni anno di possesso, salvo variazioni, da ciò discendendo che le dichiarazioni presentate il 30 novembre 2007 e l’8 gennaio 2009 valevano anche per il 2009, oltre che per il 2007 e il 2008 e non era obbligatorio reiterarle per gli anni successivi, poiché nessuna variazione delle medesime era sopraggiunta nel 2009.
2.4. Ad avviso della ricorrente posto che l’art. 1, c omma 161, legge n. 296/2006 stabilisce che gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui il versamento deve essere effettuato in esame, era, dunque, palese che il termine decadenziale era già maturato in quanto l’ atto era stato notificato il giorno 28/10/2015. 3. Con il terzo motivo deduce, ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione degli artt. 1, comma 161, legge n. 296/2006 e 7 legge 212/2000 non avendo la Commissione Tributaria Regionale valutato che l’ atto in questione era privo di adeguata motivazione dal momento che la pretesa del Comune era essenzialmente il disconoscimento della riduzione del 95% che in precedenza era stata
riconosciuta come da bollettini di versamento inviati.
Osserva che se il disconoscimento era -in sé -evincibile dal calcolo della superficie tassabile per ciascuna area posseduta dalla Società del 2009 fatto dall’Ufficio, nell’atto dalla sola lettura dell’ avviso non
erano intuibili ‘ agevolmente ed in modo immediato ‘ le ragioni del disconoscimento.
Con il quarto motivo lamenta, ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., violazione dell’ artt. 112 cod. proc. civ. non avendo la Commissione Tributaria Regionale esaminato la specifica eccezione formulata relativa alla circostanza che le aree in questione costituivano aree scoperte e non magazzini, fatto questo da ritenere incontestato ex art. 115 cod. proc. civ.
Con il quinto motivo deduce ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. violazione dell’ art. 10 della legge 27 luglio 2000, n. 212, per essere stata omessa dal giudice di secondo grado ogni valutazione in ordine alla specifica eccezione dedotta sul punto afferente la non debenza delle sanzioni in ragione dell ‘ affidamento che il comune aveva ingenerato in merito alla spettanza della riduzione del 95% delle aree tassabili mediante l’ emissione, per gli anni 2009-2014, dei bollettini di versamento in cui la predetta riduzione era stata riconosciuta.
Il ricorso deve essere rigettato per le ragioni appresso specificate.
Il primo motivo è privo di fondamento.
7.1. Secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte nel processo tributario la decadenza dell’Amministrazione finanziaria dall’esercizio del potere impositivo, in quanto stabilita a favore e nell’interesse esclusivo del contribuente, configura un’eccezione in senso stretto che deve essere necessariamente sollevata dallo stesso e non integra, pertanto, una circostanza rilevabile d’ufficio dal giudice. (vedi, per tutte, Sez. 5 – , Ordinanza n. 24074 del 03/10/2018, Rv. 650700 – 01).
Nella specie è incontestato che l’eccezione di decadenza non è stata formulata dal ricorrente nel ricorso introduttivo ma in una memoria integrativa ex art. 32 d.lgs. 546/1992 e successivamente reiterata con i motivi dell’ appello incidentale.
7.2. Dal momento che nel sistema del processo tributario opera un regime di preclusioni processuali che è inteso non solo a tutela dell’interesse di parte, ma anche dell’interesse pubblico a scongiurare l’allungamento dei tempi del processo, la relativa inosservanza è sempre rilevabile d’ufficio dal giudice, indipendentemente dall’atteggiamento processuale della controparte , a nulla rilevando la circostanza che l’ ente impositore, nel costituirsi innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, ha evidenzia to, fra l’altro, la tempestività del proprio accertamento, deduzione che è qualificabile come una mera difesa e che non poteva in alcun modo legittimare la proposizione di ‘ nuove eccezioni ‘ da parte della contribuente.
7.3. Deve, pertanto, affermarsi il seguente principio: « La decadenza dell’ ente impositore dal potere di accertamento, non rilevabile d’ufficio in quanto rimessa alla disponibilità della parte, non può essere eccepita dal contribuente nel corso del giudizio neanche mediante la presentazione di motivi aggiunti, in quanto l’integrazione dei motivi di ricorso è consentita dall’art. 24, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 soltanto in relazione alla contestazione di documenti depositati dalla controparte e fino ad allora non conosciuti e, siccome tale ultima disposizione pone una preclusione processuale mentre non può essere ricollegato alcun effetto sanante al comportamento dell’ ente impositore di accettazione del contraddittorio nel merito a nulla rilevando che nelle proprie difese il Comune abbia dedotto di avere tempestivamente e nell’ osservanza dei termini decadenziali richiesto il pagamento della imposta ».
7.4. Ne discende che correttamente la Commissione Tributaria Regionale ha rilevato la tardività di detta eccezione di decadenza, con la conseguenza che deve essere respinto il primo motivo di ricorso e che in questa sede non possono, conseguentemente, essere esaminate le questioni, sollevate con il secondo motivo, relative alla
decorrenza del dies a quo ai fini della decadenza dal potere accertativo.
Il terzo motivo è inammissibile e, comunque, infondato.
8.1. In primo luogo va rilevato che la disamina della censura appare preclusa dal difetto di autosufficienza del motivo, non essendo stato riportato e nemmeno riassunto nei suoi tratti pertinenti il contenuto dell’avviso di accertamento, dovendo darsi continuità al principio secondo cui «qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruità del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento -il quale non è atto processuale, bensì amministrativo, la cui motivazione, comprensiva dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che lo giustificano, costituisce imprescindibile requisito di legittimità dell’atto stesso – è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso riporti testualmente ( o quantomeno riassuma) i passi della motivazione di detto atto che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi dal giudice di merito, al fine di consentire alla Corte di cassazione di esprimere il suo giudizio sulla suddetta congruità esclusivamente in base al ricorso medesimo», occorrendo assolvere al duplice onere imposto dall’art. 366, primo comma, n. 6., cod. proc. civ. di produrre agli atti il documento contestato e di indicarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nel ricorso (così, tra le tante, Cass., Sez. T, 27 giugno 2023, n. 18387; Cass., Sez. T, 21 giugno 2023, n. 17840, che richiama cfr. Cass., Sez. V, 28 giugno 2017, n. 16147, Cass. Sez. V, 13 febbraio 2015, n. 2928, Cass., Sez. V, 4 aprile 2013, n. 8312; Cass., Sez. V, 19 dicembre 2022, n. 37170; Cass., Sez. 5 civ., 13 novembre 2018, n. 29093, che richiama Cass. Sez. VI/III), 28 settembre 2016, n. 19048 e, sul piano generale, Cass., Sez. U. civ., 27 dicembre 2019, n. 34469; Cass., Sez. T., 25 ottobre 2022, n. 31554, che richiama Cass., Sez. V, 4 aprile 2013, n. 8312, Cass., Sez. V, 19 aprile 2013, n. 9536, Cass., Sez. V, 10 dicembre 2021,
n. 39283, Cass., Sez. V, 6 novembre 2019, n. 28570, Cass., Sez. V, 14 marzo 2022, n. 8156, Cass., Sez. VI/V, 11 maggio 2022, n. 14905).
Tale condizione di ammissibilità del mezzo non è stata concretizzata dalla ricorrente nella sua formulazione essendo stati riportati solo minimi stralci dell’atto impositivo impugnato .
8.2. Il suddetto motivo, a prescindere da tale rilievo, è da ritenere, comunque, privo di fondamento.
I giudici di appello hanno ritenuto che l’ avviso in questione era adeguatamente motivato stante la specificazione della superficie recuperata a tassazione, delle tariffe applicate, della ubicazione dei beni e della categoria riconosciuta in capo alla contribuente ed in ragione della mancata presentazione della documentazione probatoria prevista dall’ art.11 comma f) del regolamento comunale ai fini delle chieste riduzioni.
Orbene, in tema di TARSU, nel caso in cui la rettifica venga operata sulla base di una variazione di superficie o di tariffa o di categoria, deve ritenersi sufficiente l’indicazione della maggiore superficie accertata o della diversa tariffa o categoria ritenuta applicabile, elementi che, integrati con gli atti generali, quali le delibere comunali o altri regolamenti comunali – che non è necessario allegare, al pari di qualsiasi atto amministrativo a contenuto generale o collettivo, perché si rivolgono ad una pluralità indistinta, anche se determinabile ex post , di destinatari occupanti o detentori, attuali o futuri, di locali ed aree tassabili (tra le tante: Cass., 5 Sez. 5″, 23 ottobre 2006, n. 22804; Cass., Sez. 5^, 26 marzo 2014, n. 7044; Cass., Sez. 6^-5, 19 giugno 2018, n. 16165; Cass., Sez. 5^, 13 marzo 2019, n. 7437; Cass., Sez. 5^, 31 luglio 2019, n. 20620; Cass., Sez. 5^, 13 agosto 2020, n. 16996; Cass., Sez. 5″, 22 marzo 2021, n. 7952; Cass., Sez. 5^, 12 agosto 2021, n. 22755; Cass., Sez. 5^, 10 febbraio 2022, n. 4245) – risultano idonei a rendere intellegibili i presupposti di fatto e di diritto della pretesa tributaria,
posta anche la semplicità del procedimento logico che in questi casi caratterizza la determinazione del tributo in esame, il cui ammontare viene determinato moltiplicando la tariffa, individuata sulla base della categoria, per la superficie tassata (Cass., Sez. 5″, 31 luglio 2019, n. 20620; Cass., Sez. 5^, 22 marzo 2021, n. 7952).
Va, pervero, escluso che possa essere censurata come mancanza di motivazione l’omessa individuazione di tutte le fonti probatorie o delle indagini effettuate per rideterminare l’area, ben potendo tali indicazioni essere fornite nell’eventuale successiva fase contenziosa, in cui l’ente impositore ha l’onere di provare l’effettiva sussistenza dei presupposti per l’applicazione del criterio prescelto ed il contribuente la possibilità di contrapporre altri elementi sulla base del medesimo criterio o di altri parametri (Cass., Sez. 5^, 31 luglio 2019, n. 20620; Cass., Sez. 5^, 13 agosto 2020, n. 16996).
Deve, quindi, rimarcarsi che, secondo un consolidato orientamento interpretativo della Corte, l’esenzione dalla TARSU per alcune aree occupate o detenute (art. 62, comma 3, d.lgs. n. 507 del 1993,) può essere riconosciuta solo alla duplice condizione che in tali aree si formino rifiuti speciali e che allo smaltimento di tali rifiuti provveda il produttore dei medesimi a proprie spese.
La censura attinge la sentenza impugnata lamentando che i giudici di appello non avevano considerato che l’ente impositore, nel ricomprendere tutte le superfici astrattamente tassabili, non aveva argomentato in ordine alla ‘revoca del regime di riduzione tariffaria di cui aveva fruito la Società’.
Una simile censura non considera che spetta al contribuente l’onere di fornire all’amministrazione comunale i dati relativi all’esistenza e alla delimitazione delle aree in cui vengono prodotti rifiuti speciali non assimilabili a quelli urbani (da lui smaltiti direttamente, essendo esclusi dal normale circuito di raccolta), che pertanto non concorrono alla quantificazione della superficie imponibile, in applicazione dell’art. 62, comma 3, del d.lvo. 15 novembre 1993 n. 507, posto
che, pur operando anche nella materia in esame il principio secondo il quale spetta all’amministrazione provare i fatti che costituiscono fonte dell’obbligazione tributaria (nella specie, l’occupazione di aree nel territorio comunale), per quanto attiene alla quantificazione del tributo, grava sull’interessato (oltre all’obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 70 del d.lvo. 15 novembre 1993 n. 507) un onere d’informazione, al fine di ottenere l’esclusione delle aree sopra descritte dalla superficie tassabile, ponendosi tale esclusione come eccezione alla regola generale, secondo cui al pagamento del tributo sono astrattamente tenuti tutti coloro che occupano o detengono immobili nel territorio comunale (Cass., Sez. 5, 31 luglio 2015, n. 16235; Cass., Sez. 5, 13 settembre 2017, n. 21250; Cass., Sez. 5, 22 luglio 2021, n. 21011; Cass., Sez. 5^, 27 gennaio 2022, n. 2373). Invero, operando in conseguenza di specifiche condizioni non altrimenti conoscibili dall’ente impositore, in quanto collegate alle posizioni peculiari dei singoli utenti che si vengono a trovare nella situazione per poterne fruire, il riconoscimento del diritto a tale riduzione è subordinato alla condizione della presentazione di una preventiva domanda del contribuente, corredata naturalmente della documentazione necessaria per giustificarne l’attribuzione (Cass., Sez. 6-5, 28 aprile 2021, n. 11130; Cass., Sez. 5^, 27 gennaio 2022, n. 2373).
Nella specie, vertendosi in ipotesi di dichiarazione incompleta e/o infedele, in difetto di adeguata documentazione, legittimamente il comune, implicitamente ritenendo di non potere concedere i benefici in precedenza riconosciuti in difetto di una adeguata richiesta conforme alle disposizioni normative e regolamentari vigenti, ha emesso l’ avviso de quo contenente tutti gli elementi necessari e sufficienti per porre la società in condizione di cogliere i presupposti essenziali dell’imposizione .
Ne costituisce del resto un indice sintomatico il fatto che, come è dato desumere dalla sentenza impugnata, sin dal giudizio di primo
grado la società contribuente ha evidenziato la illegittimità dell’ avviso in ragione dell’ asserito diritto ad una riduzione pari al 95% del tributo e contestato il quantum dovuto, esplicitando appieno il proprio diritto di difesa.
9. Il quarto motivo è infondato.
Non sussiste, invero, alcuna violazione dell’ art.112 cod. proc. civ. avendo il giudice di appello, previa disamina di tutte le allegazioni e deduzioni delle parti, ritenuto legittimo l’ atto di accertamento per cui è causa, in disparte la considerazione che il ricorrente lamenta la mancata pronunzia sulla qualificazione solo di ‘talune’ aree quali aree scoperte non assoggettabili alla TARSU, aree solo genericamente indicate con conseguente inammissibilità per genericità della questione sollevata con tale motivo di ricorso.
Giova, del resto ricordare che il giudice del merito non deve dar conto di ogni argomento difensivo sviluppato dalla parte, essendo, invece, necessario e sufficiente, in base all’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto e di diritto posti a fondamento della sua decisione, dovendo in tal modo ritenersi disattesi, per implicito, tutti gli argomenti non espressamente esaminati, ma sub valenti rispetto alle ragioni della decisione (cfr., ex multis, Cass., Sez. VI/T, 2 febbraio 2022, n. 3108, che richiama Cass., Sez. II, 25 giugno 2020, n. 12652; Cass., Sez. I, 26 maggio 2016, n. 10937; Cass., Sez. VI, 17 maggio 2013, n. 12123);
Occorre, ancora, rilevare che in ogni caso non può essere invocato il principio di non contestazione quanto alla deduzione relativa alla qualificazione di ‘gran parte delle aree’ quale aree scoperte: n el processo tributario, caratterizzato dall’impugnazione di un atto affermativo della pretesa fiscale il principio di non contestazione non implica a carico dell’Amministrazione finanziaria, a fronte dei motivi di impugnazione proposti, un onere di allegazione ulteriore rispetto a quanto contestato (preteso) m ediante l’atto impositivo, atto
preesistente al processo nei quali i fatti costitutivi sono già stati allegati in modo difforme da quanto dal contribuente ritenuto in sede giudiziale’. ( cfr. Cass. civ. n° 16984/23).
Nel caso in esame l ‘ ente impositore sia in primo grado che con l’ atto di appello aveva ribadito la legittimità del proprio operato e, quindi, non aveva altri oneri di allegazione.
Anche l’ ultimo motivo è infondato.
Va premesso che in tema di legittimo affidamento del contribuente di fronte all’azione dell’Amministrazione finanziaria, ai sensi dell’art.
10, commi 1 e 2, della legge n. 212 del 2000 (cd. Statuto del contribuente), costituisce situazione tutelabile quella caratterizzata:
da un’apparente legittimità e coerenza dell’attività dell’Amministrazione finanziaria in senso favorevole al contribuente; b) dalla buona fede del contribuente, rilevabile dalla sua condotta, in quanto connotata dall’assenza di qualsiasi violazione del dovere di correttezza gravante sul medesimo; c) dall’eventuale esistenza di circostanze specifiche e rilevanti, idonee ad indicare la sussistenza dei due presupposti che precedono; ne consegue che non ricorre detta situazione tutelabile quando l’attività dell’Amministrazione finanziaria appaia chiaramente “contra legem” ed il comportamento del contribuente sia da ritenersi in contrasto con il dovere di correttezza. (Nella specie, la RAGIONE_SOCIALE. ha cassato con rinvio la decisione impugnata che aveva ritenuto legittimo l’affidamento del contribuente il quale aveva contestato l’avviso di rettifica ai fini ICI, dopo che, a fronte del mancato pagamento del tributo per una annualità, era stata omessa la quantificazione delle sanzioni in sede di liquidazione dell’imposta e degli interessi). (Sez. 5, Ordinanza n. 23309 del 09/11/2011, Rv. 619886 – 01).
Nel caso in esame nessun affidamento è stato ingenerato nella RAGIONE_SOCIALE dall’ ente impositore il quale ha provveduto ad emettere l’ avviso di accertamento dopo avere verificato una inesattezza nei dati indicati dalla società contribuente, a nulla
rilevando il pregresso invio di bollettini di pagamento per importi inferiori, sicchè la sentenza in punto di ritenuta debenza delle sanzioni.
Stante l’infondatezza dei motivi dedotti, dunque, il ricorso deve essere rigettato.
11.1. Le spese giudiziali seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso; condanna la società ricorrente alla rifusione delle spese giudiziali in favore del comune controricorrente, liquidandole nella misura di euro 3.200,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge se dovuti ; ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla legge n. 228 del 2012 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della Sezione Tributaria in data