Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 206 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 206 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8792/2020 R.G. proposto da :
COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME COGNO NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME quale erede di NOME COGNOME NOME COGNOME NOME quali eredi di NOMECOGNOME elettivamente domiciliati in ROMA al p.INDIRIZZO, presso lo studio de ll’A vvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente agli Avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME (CODICE_FISCALE, domiciliazione telematica in atti – ricorrenti –
contro
MINISTERO ECONOMIA RAGIONE_SOCIALE, in persona del Ministro in carica, domiciliato per legge in ROMA alla INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende per legge, domiciliazione telematica in atti – controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE d’APPELLO di TORINO n. 1416/2019 depositata il 23/08/2019.
Udita la relazione svolta, nella camera di consiglio del 8/11/2024, dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
I ricorrenti, premesso di essere giudici tributari, ovvero eredi di giudici tributari, in servizio presso la Commissione Tributaria Regionale di Torino o le Commissioni Tributarie Provinciali di Torino, Novara o Alessandria chiedevano al Tribunale di Torino che il Ministero dell’Economia e delle Finanze fosse condannato a pagargli il compenso fisso per lo svolgimento dell’attività giurisdizionale svolta presso la Commissione tributaria centrale per i periodi meglio indicati in atti per ciascuno di essi, o per i rispettivi danti causa, a seguito di delibere del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria.
Dette applicazioni erano derivate dalla istituzione di nuovi sedi prima non esistenti disposta ai sensi dell’art. 1, comma 351, della l. n. 244 del 24/12/ 2007 al fine di razionalizzare e smaltire l’arretrato delle Commissioni territoriali centrali.
Per tale attività il Ministero convenuto non aveva corrisposto ai ricorrenti il (doppio) compenso fisso asseritamente loro spettante e pari ad euro 311,00 al mese e ciò sulla sorta del d.m. adottato dal MEF in data 4/03/2009 interpretato nel senso che dovesse essere percepito soltanto il compenso fisso più favorevole, senza possibilità di cumulo con il compenso fisso percepito quale componente della Commissione tributaria di appartenenza.
A fondamento del ricorso gli odierni ricorrenti aveva posto il richiamo, operato dall’art. 1 , comma 354, della legge n. 244 del 2007, all’art. 13 del d.lgs. n. 545 del 31/12/1992 e sostenuto che, alla luce di detta previsione normativa, il d.m. adottato dal MEF dovesse essere disapplicato.
Il Tribunale aveva rigettato la domanda, con ordinanza resa a seguito di rito sommario di cognizione di cui all’art. 702 bis c.p.c. (allora vigente), pubblicata in data 18/10/2017.
La decisione era impugnata dagli originari attori in primo grado e la Corte d’appello di Torino con la sentenza n. 1416/2019 depositata il 23/08/2019, respingeva l ‘impugnazione .
La Corte territoriale, richiamata la normativa rilevante in causa, riteneva che l’applicazione non comportasse in sé l’assunzione della titolarità di un secondo ufficio ovvero l’incardinamento in esso ma era un istituto attinente alla modalità di svolgimento del servizio caratterizzata dalla temporaneità e motivata da situazioni straordinarie e contingenti.
Riteneva che il richiamo all’art. 13 del d.lgs. n. 545 del 1992 quanto alla determinazione del compenso dovesse essere inteso in modo coerente con la stessa normativa sulla composizione delle sezioni regionali della Commissione tributaria centrale (che non erano neoistituiti organi di giustizia tributaria).
Aggiungeva che riconoscere ai giudici tributari applicati il doppio compenso fisso avrebbe introdotto nel sistema una nota distonica non giustificata.
Evidenziava che il sistema del compenso, come delineato dal d.m. del 4/03/2009, che aveva ribadito il divieto di cumulo prevedendo la spettanza del solo compenso fisso più alto, non determinava alcuna disparità di trattamento.
Per la cassazione della sentenza i ricorrenti hanno proposto ricorso sulla base di cinque motivi cui ha opposto difese con controricorso il Ministero dell’Economia e delle Finanze.
I ricorrenti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, comma primo, c.p.c. dell ‘ art. 8 del d.lgs. n. 545 del 1992 affermando che i giudici del merito hanno individuato un caso di incompatibilità inconferente con la fattispecie concreta verificatasi.
Sostengono che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto che le nuove ventuno sedi della Commissione Tributaria Centrale siano mera riorganizzazione della vecchia Commissione tributaria centrale e non nuovi uffici.
Rilevano che il fabbisogno di personale di tali sedi non è parametrato alla pianta organica fino ad allora esistente ma programmaticamente destinato ad essere rimpinguato con il ricorso al personale asseritamente «avventizio» senza bisogno di bandire concorsi.
Criticano anche la richiamata incompatibilità di c ui all’art. 8 del d.lgs. n. 545 del 1992 (posta dalla Corte territoriale a sostegno dell’esistenza di una mera riorganizzazione e non della creazione di nuovi uffici) sostenendo che, nella specie, è stato lo stesso legislatore a prevedere il «cumulo» di due incarichi con ciò derogando, per il limitato periodo di cui all’applicazione -duplicazione, all’art. 8.
Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell ‘ art. 24 del d.lgs. n. 545 del 1992 e dell’art. 1, comma 351, della legge n. 244 del 2007, e conseguente profilo di illegittimità, ai sensi dell’art. 360, comma primo , n. 3 c.p.c.
Censurano la sentenza impugnata deducendo l’errore sulla distinzione tra componenti «assegnati» e «giudici applicati».
Assumono che il legislatore si è avvalso di un uso, se non improprio, quantomeno atecnico del termine «applicati» che richiama un istituto disomogeneo rispetto a quello disegnato dalla finanziaria del 2008.
Sottolineano che nello specifico gli « applicati» non sono stati sollevati da nessuno dei compiti inerenti alla funzione di provenienza.
Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e (o) falsa applicazione de ll’art. 1, comma 354, legge n. 244 del 2007 e dell’art. 13 d.lgs. n. 545 del 1992 e conseguente profilo di
illegittimità, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., della sentenza della Corte d’appello di Torino, nella parte in cui non ha ritenuto integralmente applicabile la norma ultima cit. espressamente individuata dal legislatore come parametro per la determinazione dei compensi spettanti ai giudici componenti delle sezioni regionali della Commissione tributaria centrale provenienti dalle Commissione tributarie regionali o provinciali.
Assumono che la fonte legislativa richiamata dalla finanziaria del 2008 implica che si debba riconoscere sia il compenso variabile sia il compenso fisso e che la non cumulabilità prevista dal d.m. del 2009 non trova riscontro in alcuna previsione positiva o negativa.
Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano la violazione dell’art. 1, comma 354, l egge n. 244 del 2007 nell’applicazione del d.m. 4/03/2009, nonché del principio di legalità in senso sostanziale, contraddittorietà del decreto, violazione dei principi di eguaglianza e di proporzionalità nel quadro de ll’art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c.
Viene censurata sotto altro aspetto la sentenza impugnata e cioè nella parte in cui non si è ritenuto sussistere disparità di trattamento economico tra i giudici applicati (provenienti dalle Commissioni tributarie regionali o provinciali) ed i componenti assegnati (provenienti dalla Commissione tributaria centrale) per effetto dell’omesso riconoscimento del compenso fisso.
È criticato l’operato riferimento al compenso attribuito solo sul presupposto della titolarità dell’ufficio e senza alcun riferimento all’attività giurisdizionale effettivamente svolta, in tutto assimilabile a quella dei componenti assegnati.
Con il quinto motivo di ricorso così intestato: «In subordine. Disapplicazione dell’art. 1, comma 354, della legge n. 244 del 2007, per come interpretata dalla Corte di appello di Torino per contrasto con il Diritto dell’Unione Europea. In ulteriore subordine, questione non manifestamente infondata e rilevante di legittimità
costituzionale dell’art. 1, comma 354, della legge 244 del 2007, per come interpretata dalla Corte di appello di Torino, per contrasto con gli articoli 3, 36 e 111 della Costituzione, il diritto della Unione Europea, nonché all’art. 117, co. 1, Cost., relativamente all’art. 6 CEDU.» era chiesta la disapplicazione de ll’art. 1, comma 354, della legge n. 244 del 2007 o, in ulteriore subordine, l’ elevazione di questione di legittimità costituzionale.
I motivi, da trattare congiuntamente in quanto intrinsecamente connessi, sono infondati. Il quinto motivo di ricorso, consistente in una richiesta, proposta in via subordinata, nel caso di rigetto del ricorso, di rimessione degli atti alla Corte Costituzionale, ritenendo sussistente i ricorrenti una disparità di trattamento è stato rinunciato, se ben si interpreta quanto scritto, alla pag. 3, nella memoria depositata dalla difesa dei ricorrenti per l’adunanza camerale.
L’ istanza di remissione degli atti alla Corte Costituzionale presentava, in ogni caso, insufficienti profili di denuncia di illegittimità costituzionale giusta la giurisprudenza della Corte Costituzionale in punto di emolumenti dei giudici tributari, esulanti dal concetto di retribuzione (si veda, da ultimo, Corte Costituzionale sentenza n 27 del 28/01/2022)
Ciò posto deve ribadirsi quanto già affermato da questa stessa Corte con l ‘unica sentenza resa sui ricorsi indicati dalla difesa dei ricorrenti ai fini di un’eventuale trattazione congiunta (Cass. n. 8514 del 24/3/2023, nel ricorso R.g. n. 24883 del 2019, non massimata ufficialmente).
La detta sentenza resa in controversia del tutto identica, eccettuato il numero dei ricorrenti, poiché nel detto giudizio vi era un solo attore, costituisce il provvedimento sulla cui base la motivazione di questa ordinanza è condotta.
Per mera completezza espositiva si rileva che altre due controversie, di identico contenuto, sono state dichiarare
inammissibili rispettivamente con decreto del consigliere delegato in data 10/07/2023 per il ricorso R.g. n. 19421 del 2019 proposto da NOME COGNOME e con decreto n. 28892 del 18/10/2023 sul ricorso R.g. n. 1361 del 2020 proposto da NOME COGNOME di estinzione a seguito di proposta di definizione accelerata.
Avverso i detti due decreti di estinzione non risulta proposta l’opposizione di cui all’art. 391 c.p.c., l’unico rimedio esperibile, secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass n. 10131 del 15/04/2024 Rv. 670777 -01), con conseguente loro stabilizzazione.
6. Occorre ricordare che con d.P.R. n. 636 del 26/10/1972 (Revisione della disciplina del contenzioso tributario), le Commissioni tributarie di cui al regio decreto legge n. 1639 del 7/08/1936, convertito nella legge n. 1016 del 7/06/1937 e successive modificazioni (Commissioni che erano nate già nei primi decenni dell’Unità d’Italia, come organi amministrativi), furono riordinate in: Commissioni tributarie di primo grado, con sede e competenza territoriale identica a quella dei Tribunali, Commissioni tributarie di secondo grado, con sede nei capoluoghi di provincia, e una Commissione tributaria centrale.
In particolare, la Commissione tributaria centrale aveva sede in Roma ed era composta dal Presidente, dai Presidenti di sezione e da sei membri per ogni sezione. Il numero delle sezioni era fissato e poteva essere variato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro per le finanze di concerto con il Ministro di grazia e giustizia.
Con la riforma del 1972 l’elenco dei tributi su cui erano competenti le commissioni tributarie fu notevolmente ampliato (e ulteriori ampliamenti intervennero negli anni successivi). Furono cambiate anche le modalità di nomina dei componenti, spettante al Presidente del Tribunale per le Commissioni di primo grado e al Presidente della Corte d’appello per quelle di secondo grado; metà
delle nomine avveniva su designazione dei consigli comunali, per le Commissioni di primo grado, e del Consiglio provinciale, per quelle di secondo grado; l’altra metà sulla base di elenchi formati dall’Amministrazione delle finanze (ma il Tribunale e la Corte d’appello potevano richiedere elenchi alle camere di commercio e agli ordini professionali degli avvocati, dottori commercialisti, ragionieri e ingegneri). Infine, furono modificate le norme di procedura, avvicinandole maggiormente a quelle del processo civile. Con la riforma del 1972, le Commissioni tributarie, pur continuando a rivestire la qualifica di organi amministrativi, vennero inserite in un sistema propriamente giurisdizionale. Tali modifiche portarono la Corte costituzionale a qualificare le Commissioni tributarie come organi giurisdizionali (v. sentenza n. 287 del 27/12/1974 con riguardo non solo alle nuove Commissioni tributarie, così come «revisionate» dalla legge di riforma, ma anche alle preesistenti commissioni).
Successivamente, con l’approvazione del nuovo processo tributario di cui al d.lgs. n. 545 del 1992 (Ordinamento degli organi speciali di giurisdizione tributaria ed organizzazione degli uffici di collaborazione in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge n. 413 del 30/12/1991) e al d.lgs. n. 546 del 31/12/1992 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413) fu ulteriormente accentuato il carattere giurisdizionale delle commissioni tributarie (per la prima volta il legislatore definiva le Commissioni tributarie come giudici esercenti un’attività giurisdizionale, e, come tali, venne riconosciuto loro il potere di emettere sentenza) con maggiori garanzie di indipendenza per i componenti, anche grazie all’introduzione di un organo di autogoverno, e norme di procedure ancor più vicine a quelle del processo civile. La nomina dei componenti, effettuata sulla base di criteri specificamente indicati, non determinava la
costituzione di un rapporto di pubblico impiego (si trattava, in altri termini, di giudici onorari), prevedendosi per detti componenti un compenso fisso mensile e un compenso aggiuntivo per ogni ricorso deciso. Con la riforma del 1992 la Commissione tributaria centrale venne soppressa e cessava di funzionare il 31/12/1995 (art. 42, comma 3, del d.lgs. n. 545 del 1992). Dal 1/01/1996 si insediarono le Commissioni tributarie provinciali e regionali, in luogo delle Commissioni tributarie di primo e di secondo grado, pure soppresse (art. 42, commi 1 e 2).
La Commissione centrale restava, dunque, in carica, solo per la definizione dei ricorsi pendenti fino all’anno 1996.
La legge finanziaria 2004 (legge n. 350 del 24/12/2003) stabilì, quindi, che «Le controversie concernenti il trattamento economico per l’esercizio delle funzioni di cui al decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, che comunque non configura mai attività di pubblico impiego, sono devolute alla competenza del giudice ordinario» (art. 3, comma 121).
In seguito, al fine «di ridurre le spese a carico del bilancio dello Stato e di giungere ad una rapida definizione delle controversie pendenti presso la Commissione tributaria centrale», c on l’art. 1, comma 351, della legge n. 244 del 2007 (Legge finanziaria per l’anno 2008), a decorrere dal 1 /05/2008, il numero delle sezioni della Commissione tributaria centrale venne ridotto a ventuno, con sede presso ciascuna commissione tributaria regionale del capoluogo di ogni regione e presso le commissioni tributarie di secondo grado di Trento e di Bolzano, alle quali vennero riassegnati i procedimenti pendenti.
Si previde espressamente che: «A tali sezioni sono applicati come componenti, su domanda da presentare al Consiglio di presidenza della giustizia tributaria entro il 31 gennaio 2008, i presidenti di sezione, i vice presidenti di sezione e i componenti delle commissioni tributarie regionali istituite nelle stesse sedi »
ed ancora che: «I presidenti di sezione ed i componenti della Commissione tributaria centrale, nonché il personale di segreteria, sono assegnati, anche in soprannumero rispetto a quanto previsto dall’articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 636, su domanda da presentare, rispettivamente, al Consiglio di presidenza della giustizia tributaria ed al Dipartimento per le politiche fiscali entro il 31 gennaio 2008, a una delle sezioni di cui al primo periodo. Ai presidenti di sezione, ai componenti e al personale di segreteria della Commissione tributaria centrale trasferiti di sede ai sensi del periodo precedente non spetta il trattamento di missione »; «in difetto di domande, il Consiglio di presidenza della giustizia tributaria provvede d’ufficio entro il 31 marzo 2008»; «qualora un componente della Commissione tributaria centrale sia assegnato ad una delle sezioni di cui al primo periodo, ne assume la presidenza».
Come correttamente ricostruito dalla Corte d’Appello di T orino, la composizione delle sezioni delocalizzate della Commissione tributaria centrale vedeva, quindi, chiamati a svolgervi le funzioni sia componenti già incardinati nel ruolo della Commissione tributaria centrale (che ivi erano dunque assegnati a domanda ovvero d’ufficio, ossia trasferiti, ancorché senza trattamento di missione) sia componenti incardinati nel diverso ruolo delle Commissioni tributarie regionali – poi anche provinciali, v. infra (che ivi erano soltanto applicati).
Ancora successivamente, al fine di ridurre il contenzioso della Commissione tributaria centrale di contenere la durata dei processi tributari nei termini di durata ragionevole, il d.l. n. 40 del 25/03/2010 convertito, con modificazioni, in legge n. 73 del 22/05/2010 (Disposizioni urgenti tributarie e finanziarie), disponeva, all’art. 3 bis , lett. a), che il Consiglio di presidenza della giustizia tributaria provvedesse, entro il 30/09/2010, su domanda da presentare al medesimo Consiglio entro il 31 luglio 2010,
all’applicazione presso le sezioni regionali della Commissione tributaria centrale «anche dei presidenti di sezione, dei vice presidenti di sezione e dei componenti delle commissioni tributarie provinciali istituite nelle sedi delle sezioni stesse».
Il termine previsto per l’esaurimento dell’attività della Commissione tributaria centrale veniva successivamente differito al 31 dicembre 2013, dall’art. 29, c omma 16 decies , del d.l. n. 216 del 29/12/2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 14 del 24/02/2012; da ultimo, è stato differito al 31 dicembre 2014, dall’art. 9, comma 2, d.l. n. 150 del 30/12/2013 convertito con modificazioni dalla legge n. 15 del 27/02/2014. Per completezza si ricorda che, a partire dal giorno 16/09/2022, in attuazione della legge n. 130 del 31/08/2022, n. 130, le Commissioni tributarie provinciali e le Commissioni tributarie regionali sono state sostituite dalle Corti di giustizia tributaria di primo grado e di secondo grado.
Per quanto in questa sede rileva, il dato testuale tanto dell’art. 1, comma 351 bis della l. n. 244 del 2007 quanto del d.l. n. 40 del 2010 è chiaro nel riferimento ad una «applicazione» presso le sezioni regionali della ex Commissione tributaria centrale.
E, del resto, ciò è del tutto in linea con lo scopo della normativa sopra ricordata che stato quello di definire i procedimenti già pendenti dinanzi alla Commissione tributaria centrale.
Quanto alla remunerazione dei giudici «applicati», va osservato che la l. n. 244/2007 stabiliva, all’art. 1, comma 354, che: «A decorrere dal 1° maggio 2008 i compensi dei presidenti di sezione e dei componenti della Commissione tributaria centrale sono determinati esclusivamente a norma dell’articolo 13 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, facendo riferimento ai compensi spettanti ai presidenti di sezione ed ai componenti delle commissioni tributarie regionali».
La richiamata disposizione di cui all’art. 13 del d.lgs. n. 545 del 1992, nel testo risultante a seguito delle modifiche apportate
dall’art. 11, comma 1, lettera a) del d.l. 8 agosto 1996, n. 437, convertito con modificazioni dalla legge n. 556 del 24/10/1996, prevedeva (e prevede ancora) che: «1. Il Ministro delle finanze con proprio decreto di concerto con il Ministro del tesoro determina il compenso fisso mensile spettante ai componenti delle commissioni tributarie (comma, poi, ulteriormente modificato dall’art. 1, comma 1, lettera o), numero 1), della Legge 31 agosto 2022, n. 130). 2. Con il decreto di cui al comma 1, oltre al compenso mensile viene determinato un compenso aggiuntivo per ogni ricorso definito, anche se riunito ad altri ricorsi, secondo criteri uniformi, che debbono tener conto delle funzioni e dell’apporto di attività di ciascuno alla trattazione della controversia, compresa la deliberazione e la redazione della sentenza, nonché, per i residenti in Comuni diversi della stessa regione da quello in cui ha sede la commissione, delle spese sostenute per l’intervento alle sedute della commissione. Il compenso è liquidato in relazione ad ogni provvedimento emesso».
In esecuzione della legge finanziaria del 2008, è stato, quindi, emanato il d.m. 4/03/ 2009 che, all’art. 1, comma 1, ha previsto che il compenso fisso mensile spettante: «a decorrere dal 1° maggio 2008 e fino al 31 dicembre 2009, a ciascun componente della commissione tributaria centrale, è determinato nella misura di: a) Euro 415,00 per il presidente della commissione tributaria centrale; b) Euro 363,00 per il presidente della sezione; c) Euro 363,00 per il presidente della sezione regionale, come individuato ai sensi dell’articolo 1, comma 2, del decreto ministeriale in data 20 marzo 2008; d) Euro 337,00 per il presidente del collegio, come individuato ai sensi dell’articolo 1, comma 3, del decreto ministeriale in data 20 marzo 2008; e) Euro 311,00 per il componente della sezione regionale».
Al comma 2 il d.m. ha previsto che: «I compensi di cui al comma 1 non sono tra loro cumulabili» ed all’art. 1, comma 3, ha
stabilito che: «Ai componenti delle commissioni tributarie regionali e quelle di secondo grado di Trento e Bolzano, applicati anche alla sezione della commissione tributaria centrale, spetta il trattamento più favorevole, senza possibilità di cumulo tra i compensi stabiliti per i rispettivi incarichi».
Ha quindi fissato, all’art. 2, per i componenti, anche applicati, della Commissione tributaria centrale il compenso aggiuntivo per ogni ricorso definito.
Il suddetto d.m. 4/03/2009 (intervenuto prima del d.l. n. 40 del 2010) non faceva, ovviamente, riferimento ai componenti delle Commissioni tributarie provinciali applicati (previsti, appunto, dal d.l. n. 40 del 2010).
L’Amministrazione finanziaria ha comunque utilizzato il medesimo criterio di cui al d.m. 4/03/2009 per tutti i giudici applicati (e cioè sia a quelli originariamente previsti sia a quelli di cui alla normativa del 2010) per una evidente parità di trattamento.
Del resto, una integrazione ex post del bacino da cui attingere per l’applicazione alle sezioni della Commissione tributaria centrale, in assenza di disposizioni di segno contrario, non poteva che comportare l’estensione anche a tale categoria di giudici applicati della disciplina prevista dal legislatore della finanziaria del 2007 e quindi dal d.m. del 2009.
9. Tanto chiarito, va evidenziato quanto segue.
Non può revocarsi in dubbio che la scelta del legislatore di sopprimere la Commissione tributaria centrale e di sostituirla, per la definizione dei procedimenti già pendenti dinanzi alla prima, con le ventuno sezioni nei capoluoghi di Regione o Provincia autonoma sia stata una scelta determinata dalla contingente necessità di ridurre le spese a carico del bilancio dello Stato e di giungere ad una rapida definizione delle controversie pendenti (v. sul punto Sez. U n. 13722 del 31/05/2017).
Nell’ambito del sopra ricordato intento il legislatore non ha creato nuovi organi di giustizia amministrativa, ma ha riorganizzato le sezioni della Commissione tributaria centrale, riducendone il numero e stabilendo che le stesse avrebbero avuto sede presso le ventuno Commissioni tributarie regionali.
Anche l’istituto dell’applicazione è stato introdotto per far fronte alla suddetta necessità, essendo stati chiamati a svolgere le funzioni delle sezioni delocalizzate sia componenti già incardinati nel ruolo della Commissione tributaria centrale (che ivi erano dunque assegnati, ossia trasferiti) sia componenti incardinati nel diverso ruolo delle Commissioni tributarie regionali o, in un successivo momento temporale, provinciali (che ivi erano soltanto applicati).
Del resto, proprio con riguardo alla giustizia tributaria, una applicazione per ragioni di necessità è stata prevista dall’art. 24, lett. mbis) d.lgs. n. 545/1992, introdotto dall’art. 16 quater , comma 1, lett. e) del d.l. 28 dicembre 2001 n. 452, convertito con modificazioni dalla legge n. 16/2002 secondo cui, in caso di necessità, il Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria dispone «l’applicazione di componenti presso altra commissione tributaria o sezione staccata, rientrante nello stesso ambito regionale, per la durata massima di un anno».
Si tratta, con ogni evidenza, del ricorso ad un istituto (quello dell’applicazione) che non recide il rapporto con la Commissione tributaria di appartenenza, che -infatti -prosegue.
In termini generali, tale istituto si distingue dal «comando», in quanto non comporta la prestazione del servizio presso Amministrazione diversa da quella di appartenenza e ancor più dal «distacco», in quanto non comporta la prestazione del servizio presso un diverso Ente.
Ed infatti, con l’applicazione si dispone unicamente la temporanea ed eccezionale utilizzazione del dipendente a mansioni
della stessa qualifica o anche di qualifica diversa, sempre però della medesima carriera, presso diverso organo o ufficio della medesima Amministrazione (cfr., al riguardo, quanto al pubblico impiego, l’art. 31 del d.P.R. n. 3 del 10/01/1957, non abrogato dal d.lgs. n. 165 del 30/03/2001).
E tuttavia, connotato comune tra applicazione, comando e distacco è quello di non comportare alcuna soluzione di continuità nel rapporto di servizio: dato, questo, confermato dalla circostanza che in tutti e tre i casi l’onere economico per il personale grava comunque sull’Amministrazione di appartenenza.
Ne deriva, allora, che rapportando l’indicato principio alla situazione qui in esame, dalla applicazione non deriva alcuna soluzione di continuità nel rapporto di servizio (onorario) ed i giudici tributari applicati continuano ad appartenere, durante l’applicazione, al ruolo della Commissione tributaria di provenienza con mantenimento della titolarità del posto e della funzione presso la Commissione di appartenenza e pertanto continuano da questa a percepire il compenso fisso.
Chiarito il quadro normativo di riferimento, occorre precisare, quanto al trattamento economico dei giudici tributari «applicati», che, ai sensi del ricordato art. 13, comma 2, d.lgs. n. 545 del 1992, l’applicazione temporanea dei componenti delle Commissioni tributarie regionali o provinciali alle sezioni regionali della Commissione tributaria centrale dà diritto a percepire il compenso aggiuntivo per ogni ricorso definito.
La questione che si pone è se tale applicazione comporti anche il riconoscimento del (doppio) compenso fisso reclamato.
Secondo la Corte territoriale dirimente ai fini della risoluzione di tale questione è l’art. 8, comma 3, d.lgs. n. 545 del 1992; tale disposizione, nel disciplinare le incompatibilità operanti con riguardo agli organi giurisdizionali tributari, sancisce il principio
secondo cui «nessuno può essere componente di più commissioni tributarie».
Pare evidente, ad avviso dei giudici di merito, che, se è fatto espresso divieto di assumere contemporaneamente le vesti di componente di diverse commissioni tributarie, allora -logicamente -deve escludersi la possibilità di percepire più volte il gettone fisso mensile riconosciuto in ragione dell’appartenenza a ciascuna commissione.
12. In realtà, l’applicazione dei componenti delle Commissioni tributarie regionali o provinciali alle sezioni regionali della Commissione tributaria centrale non determina affatto l’assunzione contemporanea di un secondo ufficio e, dunque, non determina, in deroga al sistema e al divieto di cumulo contenuto nel d.lgs. n. 545 del 1992, la titolarità anche dell’ufficio di componente della Commissione centrale.
Ed allora, il rinvio che l’art. 1, comma 354, ultimo periodo fa all’art. 13 del d.lgs. n. 545 del 1992 quanto alla determinazione del compenso dei presidenti di sezione e dei componenti della Commissione tributaria centrale deve essere interpretato in modo sistematicamente coerente alle premesse sulla composizione delle sezioni regionali della Commissione tributaria centrale ed all’istituto dell’applicazione come sopra delineato.
Così, anche a prescindere dalla previsione di cui all’art. 8, comma 3, del d.lgs. n. 545 del 1992, va escluso che sussista il diritto a percepire il richiesto ulteriore compenso fisso, attesa l’unicità del rapporto funzionale a base dello stesso, restando fermo, in capo ai ricorrenti, il diritto normativamente previsto dalla legge a percepire «il trattamento più favorevole, senza possibilità di cumulo, tra i compensi stabiliti per i rispettivi incarichi».
Non è, infatti, il richiamo all’art. 13 contenuto nell’art. 1 , comma 354, della legge n. 244 del 2007 che comporta automaticamente l’attribuzione sia del compenso fisso, sia di quello
variabile, ma la portata e il significato del suddetto richiamo non possono prescindere dall’istituto dell’applicazione, dal momento che il legislatore del 2007 ha disciplinato la composizione delle sezioni regionali della Commissione tributaria centrale proprio facendo riferimento a tale istituto e senza prevedere che i giudici tributari applicati diventassero in deroga al sistema e al divieto di cumulo contenuto nel d.lgs. n. 545 del 1992 -titolari anche dell’ufficio di componenti della Commissione centrale.
Ciò rende irrilevanti i rilievi con i quali i ricorrenti criticano la sentenza impugnata per aver affermato che le sezioni regionalizzate sono solo una diversa modalità organizzativa della vecchia Commissione tributaria centrale, dovendo ribadirsi che nessuna nuova titolarità è stata assegnata né è stata introdotta deroga alcuna al divieto di cumulo legislativamente previsto.
Ritenere che l’art. 1, comma 354, della l egge n. 244/2007, tramite il rinvio all’art. 13, abbia attribuito ai componenti applicati il diritto a conseguire il doppio compenso (sia quali componenti della Commissione tributaria regionale o provinciale, sia quali componenti della sezione regionale della Commissione tributaria centrale) non solo non risulta legittimato dal tenore letterale della disposizione (che fa riferimento ai «compensi dei presidenti di sezione e dei componenti della Commissione tributaria centrale», senza alcuna esplicita indicazione di un doppio compenso per gli applicati), ma introduce nel sistema una nota distonica rispetto allo scopo, questo sì espresso, di «ridurre le spese a carico dello Stato».
13. Il d.m. 4/03/2009, allora, senza essere contrario alla norma primaria, si inserisce in modo del tutto coerente in tale quadro normativo e sistematico là dove, in premessa, considera dichiaratamente «la necessità di attribuire ai componenti delle sezioni regionali della commissione tributaria centrale il medesimo trattamento economico spettante ai componenti delle commissioni
tributarie regionali» (in tal senso correttamente intendendo la finalità di equiparazione esplicitata dal legislatore con il rinvio all’art. 13 del d.lgs. n. 545 del 1992).
Del pari è in sintonia con il sistema il d.m. nella parte in cui ha determinato i compensi fissi utilizzando quale parametro quello delle Commissioni tributarie regionali, modulandoli inoltre in ragione delle funzioni svolte (Presidente della Commissione tributaria centrale, Presidente della sezione, Presidente della sezione regionale, Presidente del collegio e componente della sezione regionale) ed anche quando ha previsto per i componenti delle Commissioni tributarie regionali e di secondo grado di Trento e Bolzano, applicati anche alle sezioni della Commissione tributaria centrale, il trattamento più favorevole, senza possibilità di cumulo, al fine di non generare disparità di trattamento, in coerenza con l’istituto della applicazione in generale e del d.lgs. n. 545 del 1992.
14. Né può dirsi che tale previsione abbia determinato una disparità di trattamento tra i componenti delle sezioni regionali della Commissione tributaria centrale applicati e quelli assegnati: ognuno di essi percepisce il compenso fisso connesso alla titolarità dell’ufficio in cui è incardinato e il compenso variabile in ragione dell’attività concretamente svolta.
L’esercizio di funzioni, separate e aggiuntive rispetto a quelle già svolte, è congruamente compensato dal riconoscimento del compenso variabile (previsto in relazione ad entrambi gli incarichi svolti, in quanto collegato al numero delle sentenze depositate) e l’unico profilo eventuale di disparità di trattamento – che si sarebbe verificato là dove, ad esempio, un componente della Commissione tributaria regionale fosse stato nominato Presidente della sezione regionale o Presidente del collegio (con corrispondente compenso fisso maggiore) – è stato superato proprio dal d.m. 4/03/2009 che ha previsto il diritto al più favorevole tra i due compensi.
Al contrario, una mancata previsione in tal senso avrebbe determinato una disparità di trattamento tra giudici in servizio presso le sezioni regionali in quanto i componenti applicati sarebbero stati compensati in maniera diversa da quelli ‘effettivi’ ivi assegnati (percependo questi ultimi un compenso fisso e uno variabile mentre gli applicati due compensi fissi: uno per l’incarico presso la Commissione tributaria di provenienza e uno come applicati presso la Commissione tributaria regionale).
In conclusione, deve affermarsi che, presupponendo l’applicazione alle sezioni regionali della Commissione tributaria centrale dei componenti delle Commissioni tributarie regionali e provinciali, l’unicità dell’ufficio, non può che derivarne anche una congruente disciplina dei compensi, che non possono essere duplicati, ma solo adeguati alle concrete funzioni esercitate dal giudice tributario, anche in ossequio al principio ribadito dal legislatore di contenere la spesa pubblica.
Da tanto consegue che il ricorso deve essere rigettato.
In ordine alle spese di lite di questa fase di legittimità ritiene il Collegio che, in considerazione delle pronunce favorevoli in sede di merito al momento dell’instaurazione della lite in una con l’avere comunque i ricorrenti confidato in un tessuto normativo di non eccelsa chiarezza, sussistano i presupposti di legge, di cui all’art. 92, comma 2, c.p.c., anche alla luce dell’ interpretazione resa dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 77 del 7/03/2018, per disporne la compensazione.
Deve, infine, attestarsi la sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, comma 1, quater del d.P.R. n. 115 del 30/05/2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Compensa le spese processuali.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti e in favore del competente Ufficio di merito , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Corte di