Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 61 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 61 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 02/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24987/2015 R.G. proposto da:
COGNOME, COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (ADS80224030587) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. TOSCANA n. 458/2015 depositata il 13/03/2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30/11/2023 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME e NOME COGNOME ricorrono, con quattro motivi, avverso la sentenza in epigrafe, con cui la Commissione tributaria regionale della Toscana, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto i ricorsi dei contribuenti avverso gli avvisi di accertamento recuperanti a tassazione, per l’anno 2007, maggiori ricavi imputati alla società RAGIONE_SOCIALE, ritenuta non
svolgere attività di mutualità prevalente e riqualificata come società di fatto riferibile ai due soci amministratori COGNOME e COGNOME
Resiste l’Amministrazione con controricorso.
Il Pubblico ministero ha depositato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 2729 cod. civ., nonché 39 del D.P:R. 26 ottobre 1972, n. 633’.
Lamentano i contribuenti che la CTR abbia attribuito pieno valore probatorio alle dichiarazioni rese alla Guardia di Finanza da una parte dei soci, mere dichiarazioni di terzi che avrebbero valore puramente indiziario, e che da sole non varrebbero come prove e quindi non potrebbero validamente supportare un accertamento, disattendendo le prove documentali prodotte in giudizio dagli attuali ricorrenti.
1.1. Il motivo è infondato.
1.2. In linea teorica deve ritenersi corretto attribuire alle dichiarazione del terzo mero valore indiziario, assurgente a valore di prova solo in presenza di altri elementi di riscontro (vedi Cass. 8369/13, Cass. 908/17, Cass. 39831/21 e Cass. 32024/22); e ciò pure se trattasi di dichiarazioni plurime e concordi, come quelle in esame (vedi Cass. 31588/21).
1.3. Ha affermato a tale riguardo da questa Corte suprema (v. Cass. n. 31588 del 2021, cit.), che «Nel processo tributario, la dichiarazione di terzo sostitutiva di atto notorio non è assimilabile alla prova testimoniale, preclusa dall’art. 7 comma 4 del d.lgs. n.546 del 31 dicembre 1992 come interpretato dalle sentenze della Corte Cost. nn. 18/2000 e 395/2007, ma costituisce indizio ammissibile e utilizzabile tanto dall’Amministrazione quanto dal contribuente, nel rispetto del principio di parità delle armi di cui
all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, espressione del principio di uguaglianza ai fini dell’art.3 Cost..» e ancora che «Nel processo tributario, in tema di prova per presunzioni semplici, valgono i medesimi criteri di cui all’art. 2729 c.c. e, pertanto, non è sufficiente il fatto che le dichiarazioni di terzo sostitutive di atto notorio prodotte nel processo siano plurime e di contenuto analogo (“concordanza”) perché l’indizio in esse contenuto assurga a prova critica, essendo necessario un approfondimento da parte del giudice circa la “precisione” del fatto storico noto, desunta dalla sua contestualizzazione anche con riferimento agli ulteriori elementi di prova raccolti nel processo, nonché riguardo alla sua “gravità”, riconnessa alla probabilità della sussistenza del fatto ignoto che, sulla base della regola d’esperienza adottata, è possibile desumere da quello noto.»
Va peraltro ribadito, come precisato da questa Corte, (Cass. n. 9316 del 20/05/2020) che ‘Nel processo tributario, le dichiarazioni rese da un terzo, inserite, anche per riassunto, nel processo verbale di constatazione e recepite nell’avviso di accertamento, hanno valore indiziario e possono assurgere a fonte di prova presuntiva, concorrendo a formare il convincimento del giudice anche se non rese in contraddittorio con il contribuente, senza necessità di ulteriori indagini da parte dell’Ufficio’.
1.4. Nel caso di specie la censura non è pertinente, essendosi la Commissione regionale pienamente conformata ai principi ora esposti.
In primo luogo, come si desume dalla motivazione della sentenza impugnata, i giudici di appello hanno tratto le loro conclusioni non solo dalle dichiarazioni, pur plurime e concordanti dei lavoratori, ma dalla contestualizzazione delle stesse con le emergenze documentali acquisite, segnatamente con i documenti dell’impresa indicanti le ‘trasferte Italia esenti’, dai quali emergeva la corresponsione di indennità di trasferta senza titolo.
Inoltre, contrariamente a quanto lamentato dai ricorrenti, la CTR si è confrontata con le produzioni dagli stessi effettuate, evidenziando come da esse risultasse il rispetto meramente formale delle previsioni normative in tema di società a mutualità prevalente.
Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la ‘Violazione dell’art. 2727 e 2729 cod. civ. per violazione del divieto di doppia presunzione, nonché violazione dell’art. 2427 cod.civ.’, lamentando che sarebbe stata accertata l’esistenza di una società di fatto ricorrendo ad una doppia presunzione, ossia deducendo in via presuntiva l’assenza dello scopo mutualistico e poi da tale presunzione risalendo sempre in via presuntiva all’affermazione dell’esistenza di una società di fatto.
2.1. Il motivo è infondato.
2.2. Invero, in base alla formulazione del motivo, quella che i ricorrenti configurano come prima presunzione, ossia la fittizietà dell’inquadramento della compagine sociale come società cooperativa a mutualità prevalente, non integra una presunzione semplice che tragga da un fatto noto la conoscenza di un fatto ignoto, ma deriva da un prudente ed approfondito esame delle risultanze istruttorie, delle quali i giudici di appello offrono ampia evidenza nella motivazione della sentenza impugnata: le dichiarazioni reciprocamente riscontranti dei soci lavoratori, esclusi dalla organizzazione, dalla gestione e dalla conduzione della società attuata con sovraordinazione dal COGNOME e dal COGNOME, l’assenza di vita associativa e partecipativa, la natura meramente formale degli adempimenti amministrativi e societari posti in essere ai fini del rispetto della disciplina di favore del settore mutualistico.
2.3. Inoltre, come affermato da questa Corte (ex plurimis Cass. n. 20748 del 1/08/2019; Cass. n. 23860 del 29/10/2020; Cass. n. 27982 del 07/12/2020) il medesimo motivo, anche quale
censura alla corretta applicazione, da parte del giudice a quo, dell’art. 2729 cod. civ., sotto il profilo della ricorrenza dei tre caratteri (gravità, precisione, concordanza) individuatori della presunzione (cfr. Cass. 16/11/2018, n. 29635), è comunque infondato, laddove esso si sostanzia nella denuncia del contrasto della decisione impugnata con un principio, il cosiddetto «divieto di presunzioni di secondo grado o a catena», la cui sussistenza nell’ordinamento è stata esclusa da questa Corte, secondo cui: « a) il principio praesumptum de praesumpto non admittitur (o «divieto di doppie presunzioni» o «divieto di presunzioni di secondo grado o a catena»), spesso tralaticiamente menzionato in varie sentenze, è inesistente, perché non è riconducibile né agli evocati artt. 2729 e 2697 cod. civ. né a qualsiasi altra norma dell’ordinamento: come è stato più volte e da tempo sottolineato da autorevole dottrina, il fatto noto accertato in base ad una o più presunzioni (anche non legali), purché “gravi, precise e concordanti”, ai sensi dell’art. 2729 cod. civ., può legittimamente costituire la premessa di una ulteriore inferenza presuntiva idonea -in quanto, a sua volta adeguata -a fondare l’accertamento del fatto ignoto (Cass. n. 18915, n. 17166, n. 17165, n. 17164, n. 1289, n. 983 del 2015)».
E’ stato in particolare evidenziato che ‘In tema di presunzioni, la prova inferenziale che sia caratterizzata da una serie lineare di inferenze, ciascuna delle quali sia apprezzata dal giudice secondo criteri di gravità, precisione e concordanza, fa sì che il fatto “noto” attribuisca un adeguato grado di attendibilità al fatto “ignorato”, il quale cessa pertanto di essere tale divenendo noto, ciò che risolve l’equivoco logico che si cela nel divieto di doppie presunzioni. (Cass. n. 27982 del 07/12/2020).
2.4. Inoltre, nel caso di specie, la CTR ha evidenziato di avere ritenuto ‘presenti per contro gli elementi di una società di fatto’, desunti da una autonoma serie di elementi, dettagliatamente analizzati, operando così un accertamento positivo, fondato su dati
concreti, solo in parte coincidenti con quelli che hanno condotto alla esclusione della natura mutualistica: ‘il conferimento di beni e servizi (l’attività del COGNOME e del COGNOME), l’esercizio in comune, attraverso i servizi conferiti, di un’attività economica, la divisione degli utili e somme percepiti (…), l’esclusione dei pretesi soci dalla asserita vita partecipativa’
2.5. Né questa Corte può direttamente valutare l’efficacia probatoria dei singoli elementi esaminati dalla CTR, non essendo il giudizio di cassazione la sede per sollecitare un giudizio di merito di terzo grado, e comunque a fronte della generica contestazione della mancanza di prova degli elementi della società di fatto.
Con il terzo motivo, rubricato ‘Violazione dell’art. 23 del D.Lgs. 31.12.1992, n. 546’, si lamenta, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., l’illegittimo mutamento della causa petendi operato dall’Amministrazione finanziaria che, nelle controdeduzioni rese dinanzi ai giudici di primo grado avrebbe per la prima volta basato le proprie pretese tributarie riconducendole ad un ‘accertamento induttivo puro’ di cui all’art. 39 comma 2 d.P.R. 600/73, così innovando l’inquadramento giuridico fatto negli avvisi di accertamento.
3.1. Il motivo è inammissibile per genericità e per difetto di autosufficienza, non essendo stato trascritto, neppure nel suo contenuto essenziale ai fini della censura, l’atto di accertamento al fine di consentire alla Corte di cassazione la verifica del lamentato mutamento della causa petendi (Cass. Sez. 5, n. 28570 del 06/11/2019). Tanto meno, peraltro, risulta adempiuto l’onere di cui all’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., di specifica indicazione, a pena d’inammissibilità del ricorso, degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché dei dati necessari all’individuazione della loro collocazione quanto al momento della produzione nei gradi dei giudizi di merito (Cass. 15/01/2019, n.
777; Cass. 18/11/2015, n. 23575; Cass., S.U., 03/11/2011, n. 22726).
Il motivo, nei termini prospettati dai ricorrenti, è comunque infondato, come da corretta valutazione della CTR, che ha ritenuto non essere mutati ‘gli elementi di fatto posti a base dell’atto impositivo ed il rapporto sostanziale dedotto in giudizio’ (sentenza, pag. 9), avendo l’Amministrazione meramente adeguato le proprie difese alle contestazioni dei contribuenti sotto il profilo istruttorio.
Con il quarto motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., l’ ‘Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti’, deducendo l’omessa considerazione di documenti decisivi al fine di riscontrare l’esistenza dell’attività di mutualità prevalente.
4.1. Il motivo presenta plurimi profili di inammissibilità.
4.2. L’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., come modificato dall’art. 54, comma 1, lett. b), d.l. n. 83 del 2012, conv. in L. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico (inteso in senso storico-naturalistico), principale o secondario la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo.
4.3. A tale riguardo, si rileva che il motivo denuncia una generica non considerazione delle prove addotte dai contribuenti, non essendo quindi riconducibile al vizio denunciato come sopra identificato.
Inoltre, non indica i documenti, genericamente richiamati né ne riporta il contenuto e, quindi, non dà conto della loro asserita decisività.
Infine, la censura inoltre attinge con tutta evidenza il merito, ovvero le valutazioni in fatto delle emergenze istruttorie.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna dei ricorrenti al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M .
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 30/11/2023.