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Doppia imposizione: residenza fiscale e lavoro estero

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria in un caso di doppia imposizione, confermando il diritto al rimborso per una lavoratrice che, pur iscritta all’anagrafe italiana per parte dell’anno, aveva il centro dei propri interessi vitali e professionali in Francia. La Corte ha stabilito che la residenza di fatto e il luogo di svolgimento dell’attività lavorativa prevalgono sulla registrazione anagrafica formale ai fini della convenzione contro la doppia imposizione.

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Pubblicato il 19 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Doppia imposizione: quando la vita reale batte la burocrazia

La gestione della fiscalità per chi lavora all’estero è un terreno complesso, spesso segnato da incertezze. Un recente caso di doppia imposizione ha portato la Corte di Cassazione a fare chiarezza su un punto cruciale: nella determinazione della residenza fiscale, contano di più i dati formali, come l’iscrizione anagrafica, o la situazione di fatto, ovvero il luogo dove si svolge la propria vita? Con l’ordinanza n. 22217/2025, la Corte ha fornito una risposta netta, favorendo un’interpretazione sostanziale che guarda al centro degli interessi vitali del contribuente.

I Fatti di Causa

Una lavoratrice dipendente, impiegata presso un istituto bancario italiano, ha trascorso gran parte dell’anno d’imposta 2014 lavorando in Francia per più di 183 giorni. In virtù della sua permanenza e del fatto che in Francia si trovava il centro dei suoi interessi familiari ed economici (avendo lì acquistato casa con il coniuge), ha richiesto all’erario italiano il rimborso delle ritenute operate sulla sua retribuzione, invocando la Convenzione Italia-Francia contro la doppia imposizione.

L’Opposizione dell’Amministrazione Finanziaria

L’ente impositore ha negato il rimborso, basando la sua posizione su un dato formale: la contribuente risultava iscritta all’anagrafe della popolazione residente in Italia per quasi nove mesi di quell’anno, avendo formalizzato l’iscrizione all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero) solo a settembre. Secondo l’Amministrazione, questo era sufficiente a considerare la sua residenza fiscale in Italia. Inoltre, contestava la validità della documentazione francese come prova dell’effettivo pagamento delle imposte in Francia.

La Decisione della Corte sulla doppia imposizione

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria, confermando le decisioni dei giudici di merito. I giudici hanno stabilito che, ai fini della Convenzione, la residenza fiscale va individuata nel luogo in cui il contribuente ha il proprio centro di interessi vitali, professionali e familiari. La tardiva iscrizione all’AIRE non è un elemento decisivo se la realtà dei fatti dimostra chiaramente che la vita del soggetto si svolge prevalentemente in un altro Stato.

Le Motivazioni

La Corte ha fondato la sua decisione su diversi pilastri argomentativi. Innanzitutto, ha dato prevalenza agli elementi di fatto: la stabile attività lavorativa in Francia per oltre 183 giorni, la convivenza con il marito, l’acquisto dell’abitazione familiare e il rientro in Francia dopo brevi periodi in Italia. Questi fattori, nel loro complesso, dimostravano in modo inequivocabile che il centro degli interessi della lavoratrice era in Francia.

In secondo luogo, i giudici hanno sottolineato che, secondo la Convenzione Italia-Francia, la nazionalità del datore di lavoro (in questo caso, una banca italiana) è irrilevante se l’attività è svolta presso una stabile organizzazione nell’altro Stato. Infine, la certificazione ufficiale dell’autorità fiscale francese, che attestava i redditi dichiarati e l’assenza di pendenze, è stata ritenuta prova sufficiente sia della residenza fiscale francese sia dell’avvenuto assolvimento degli obblighi tributari in quel Paese, escludendo il rischio di una doppia imposizione.

Le Conclusioni

Questa ordinanza rafforza un principio di fondamentale importanza per i lavoratori transfrontalieri: la sostanza prevale sulla forma. La residenza fiscale non è determinata da una semplice iscrizione anagrafica, ma da un’analisi complessiva della vita di una persona. Per i contribuenti, ciò significa che è essenziale poter documentare con precisione dove si concentra il proprio centro di interessi vitali. Per l’Amministrazione Finanziaria, è un monito a non fermarsi a dati puramente formali, ma a considerare la realtà effettiva dei rapporti economici e personali del cittadino per evitare di incorrere in una illegittima doppia imposizione.

La tardiva iscrizione all’AIRE è decisiva per determinare la residenza fiscale?
No, la Corte ha stabilito che la tardiva iscrizione all’AIRE non ha rilevanza decisiva se la prova dei fatti dimostra che il centro degli interessi vitali, personali e professionali del contribuente si trova stabilmente in un altro Stato.

Cosa prevale per stabilire la residenza fiscale in caso di conflitto tra due Stati?
Prevale il luogo dove il contribuente ha il proprio centro di interessi vitali, inteso come il luogo di stabile attività professionale, la disponibilità di un’abitazione e la presenza dei legami familiari. Questi elementi sostanziali sono più importanti della residenza anagrafica formale.

Una certificazione dell’autorità fiscale estera è sufficiente a provare il pagamento delle imposte?
Sì, la Corte ha ritenuto che una certificazione ufficiale dell’autorità fiscale estera, attestante i redditi dichiarati e l’assenza di pendenze, costituisce prova sufficiente del pagamento delle imposte in quello Stato e della residenza fiscale, ai fini dell’applicazione delle convenzioni contro la doppia imposizione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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