Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 17950 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 17950 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10701/2021 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE nonchè RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliate in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE rappresentate e difese dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende ex lege
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. CAMPANIA n. 4723/2020 depositata il 12/10/2020. 08/04/2025
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’ dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 712/2018 il Tribunale di Napoli Nord, in parziale accoglimento delle domande avanzate dalla società RAGIONE_SOCIALE, condannava la società RAGIONE_SOCIALE a corrispondere alla RAGIONE_SOCIALE, a titolo di risarcimento del danno, un importo pari ad euro 1.764.055,00; nella medesima pronuncia, veniva accolta la domanda di manleva proposta dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e, quindi, quest’ultima veniva condannata al pagamento della somma di cui sopra quale risarcimento del danno in favore di RAGIONE_SOCIALE
Con atto di liquidazione n.2018/007/SC/000000712/0/003 l’Agenzia delle Entrate chiedeva alla RAGIONE_SOCIALE il versamento dell’imposta di registro, pari ad euro 52.949,00 applicata l’aliquota del 3% prevista dall’ art.8, comma 1, lett. b) tariffa allegata al d.P.R. 131/1986 e, con ulteriore avviso di liquidazione n.2018/007/SC/000000712/0/005, in forza della medesima disposizione normativa chiedeva alla società RAGIONE_SOCIALE l’ imposta per la registrazione della sentenza emessa dal Tribunale di Napoli Nord che aveva accolto la richiesta di manleva, per un importo complessivo pari ad euro 105.871,00.
La CTP di Caserta, con la sentenza n. 1991/05/2019, pronunziando sui ricorsi (riuniti) proposti dalle due società contribuenti avverso i suddetti avvisi, rigettava entrambe le impugnazioni e la CTR Campania, con sentenza n. 4723/10/2020 in data 12 ottobre 2020, confermava la sentenza di primo grado.
Contro detta sentenza propongono ricorso per cassazione, sulla base di due motivi, la società RAGIONE_SOCIALE (incorporante per fusione la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE
L’Ufficio resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso le società ricorrenti deducono, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’art. 8, comma 1, lett. b) della tariffa allegata al d.P.R. n. 131/1986, assumendo che i giudici di merito, erroneamente, avevano escluso l’applicabilità dell’imposta di registro in misura fissa, non considerando che la sentenza riguardava un credito nascente da operazioni soggette ad IVA, come confermato dal tenore della medesima pronunzia del Tribunale di Napoli Nord ove era stato evidenziato che la condanna riguardava ‘i costi certi di manutenzione straordinaria per mantenere in efficienza il sistema’.
Con il secondo motivo lamentano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione o falsa applicazione dell’art. 21, comma 1, d.P.R. n. 131/1986, osservando che i giudici di merito avevano, con ragionamento erroneo, ritenuto corretto l’oper ato dell’ufficio che aveva ritenuto che l’imposta del registro del 3% sull’importo di euro 1.764.055,00 fosse dovuta due volte, stante la doppia statuizione di condanna. Rilevano che, secondo le medesime indicazioni dell’amministrazione finanziaria, nel caso in cui in un atto siano presenti più disposizioni di contenuto economicamente apprezzabile, occorre assoggettare a tassazione autonomamente le singole disposizioni, salvo che per le singole disposizioni ricorra, come nel caso in esame, un rapporto di necessaria derivazione; osservano che, nel caso in esame, avrebbe dovuto trovare applicazione l’ art. 21, comma 2, d.P.R. n. 131/1986, sicchè l’imposta de qua avrebbe dovuto essere corrisposta solo con riferimento alla disposizione che avrebbe determinato la imposizione più onerosa. Deducono che i giudici non avevano considerato che la domanda di manleva avanzata dalla RAGIONE_SOCIALE non era assoggettabile ad autonoma tassazione in quanto facente parte della
base imponibile costituita dalla prestazione/domanda principale proposta dalla RAGIONE_SOCIALE (condanna al risarcimento del danno), ciò determinando, senza alcun dubbio, una illegittima doppia imposizione. Assumono che, sotto altro verso, occorreva considerare che la domanda di manleva poteva rientrare, per via analogica, fra le eccezioni di cui all’articolo 21, comma 3, TUR dovendosi intendere la stessa con una forma di accollo.
Il ricorso deve essere rigettato per le ragioni appresso specificate.
Il primo motivo è inammissibile.
4.1. Va osservato che l’avviso di liquidazione impugnato ha ad oggetto una richiesta di pagamento dell’imposta di registro determinata in misura proporzionale, ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. b), della prima parte della Tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, rispetto ad una sentenza contenente una statuizione di condanna al pagamento di una somma a titolo di ‘risarcimento del danno’.
L’art. 8 della tariffa, Parte I, allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, stabilendo l’imponibilità degli «atti dell’autorità giudiziaria ordinaria e speciale che definiscono anche parzialmente il giudizio, compresi i decreti ingiuntivi esecutivi», prevede chiaramente che il tributo de quo inerisce direttamente all’atto presentato per la registrazione, che prende in considerazione in funzione degli effetti giuridici ed economici che è destinato a produrre e del quale l’Ufficio ha l’onere di accertare il contenuto tipico, che deve essere individuato, ai fini dell’imposizione, tenendo conto della sua natura e dei conseguenti effetti che appunto è destinato a produrre nel mondo giuridico.
La corretta applicazione del principio di alternatività invocato presuppone che, in presenza della registrazione di una sentenza di condanna al pagamento di somme, venga verificato, preliminarmente, se quelle stesse somme si riferiscano o meno a prestazion i di beni o servizi soggette all’imposta sul valore aggiunto. Ai sensi dell’art. 1, d.P.R. n. 26 ottobre 1972, n. 633 sono operazioni
imponibili IVA «le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese o nell’esercizio di arti e professioni e sulle importazioni da chiunque effettuate». L’art. 3 definisce prestazioni di servizi le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d’opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere, quale ne sia la fonte. Secondo l’orientamento della Corte di giustizia europea (sentenza 15 aprile 2021 C846/2019 e altre pronunce), ai fini dell’assoggettamento a Iva di un’operazione, deve esservi « (…) la sussistenza di un ‘nesso diretto’ tra servizi o reso e controvalore ricevuto quale elemento che caratterizza ai fini IVA il corrispettivo di una prestazione, dovendosi accertare che le somme versate costituiscano l’effettivo corrispettivo di una specifica prestazione fornita nell’ambito di un rapporto giuridico in cui avviene uno scambio di reciproche prestazioni» (Cass. n. 2040/2022).
Dal quadro normativo innanzi delineato deriva l’operatività nel nostro sistema tributario del principio della cd. alternatività tra IVA e imposta di registro, che esclude l’applicabilità dell’imposta di registro in misura proporzionale per la registrazione di atti relativi ad operazioni che risultano già assoggettate ad IVA. La corretta applicazione di tale principio presuppone, dunque, che, in presenza della registrazione di una sentenza di condanna al pagamento di somme, venga verificato, preliminarmente, se quelle stesse somme si riferiscano o meno a prestazioni di beni o servizi soggette all’imposta sul valore aggiunto.
4.2. Poste tali premesse, il motivo suindicato è da ritenere privo di fondamento alcuno in quanto le società ricorrenti, a fronte di una doppia conforme, lungi dal prospettare una vera e propria violazione di legge, nel rilevare che andava considerato che la condanna riguardava ‘i costi certi di manutenzione straordinaria per mantenere in efficienza il sistema’ (e, quindi, il pagamento di somme
dovute nell’ambito di un contratto di cessione di beni, soggetto ad IVA) censurano la sentenza impugnata contrapponendo, in modo inammissibile, una propria alternativa lettura alla motivata interpretazione del contenuto della pronunzia oggetto di registrazione operata dal giudice del merito.
Il secondo motivo è infondato.
5.1. Osserva questo Collegio che la sentenza appare corretta in diritto anche nella parte in cui, nel rigettare il relativo motivo di censura, ha affermato che le due domande (quella di risarcimento del danno e quella di manleva) erano venute in rilievo nel medesimo giudizio ‘accidentalmente’, in quanto ben potevano essere azionate autonomamente, avendo differenti presupposti di fatto e diritto, escludendo, altresì, l’applicabilità delle disposizioni in tema di accollo di cui all’art. 21, comma 3, d.P.R. 13 1/1986.
5.2. Un rapporto di connessione fra dette domande non può infatti cogliersi nella relazione, pur esistente, tra più “disposizioni” aventi diverso titolo e funzione e collegate soltanto per volontà delle parti. 5.3. E’ stato condivisibilmente affermato che le statuizioni contenute in una sentenza pronunciata dal giudice ordinario, con le quali sia accolta la domanda di risarcimento proposta dall’attore nei confronti del convenuto e quella di rivalsa proposta da quest’ultimo nei confronti di un terzo chiamato in causa, sono tra loro autonome ed indipendenti, con la conseguenza che ciascuna di esse è soggetta all’imposta di registro, come se fosse un atto distinto, non trovando applicazione l’art. 21, secondo comma, del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, il quale presuppone che le diverse statuizioni siano oggettivamente connesse, per volontà della legge o per la loro intrinseca natura, laddove nella specie sussiste una mera connessione soggettiva od occasionale. (vedi Cass. Sez. 5, 17/03/2008 nonché in senso conforme Cass. 10789/2004; e Cass. 10180/2009)
Sussiste un orientamento, risalente e consolidato di questa Corte, secondo cui per ritenere necessariamente connesse e derivanti più disposizioni contenute nello stesso atto, occorre che non si possa concepire l’esistenza dell’una se si prescinde dall’altra, e non basta che la volontà delle parti le abbiano considerate come reciprocamente coordinate e concepite come conseguenza le une dalle altre. La connessione, cioè, deve essere assolutamente necessaria per esigenza obiettiva del negozio giuridico e non già una connessione voluta dai contraenti; deve sussistere “una oggettiva necessità giuridica e contrattuale di connessione o compenetrazione, a nulla rilevando l’esistenza di una mera connessione soggettiva” (vedi, con riferimento dalla disciplina previgente di analogo tenore, Cass. 20.3.1972, n. 844 e Cass. 5.7.1973, n. 1886).
Sotto il profilo terminologico, invero, basti il richiamo all’avverbio “necessariamente” utilizzato dal legislatore proprio per escludere che la connessione tra più disposizioni rilevante ai fini e per gli effetti di cui all’ art. 21 cit. possa essere quel la che trovi la sua fonte nella mera volontà delle parti e non in una imprescindibile e oggettiva esigenza indotta dalla natura stessa delle disposizioni.
Sotto altro profilo va considerato che l’imposta di registro è denominata ‘imposta d’atto’ per indicare che si tratta di un tributo che si commisura all’atto sottoposto a registrazione, e trova applicazione in occasione della stipula o della formazione di atti a contenuto economico, in quanto assunti dal legislatore come indici di capacità contributiva. Quando un documento (come una sentenza) contenga più “atti”, ciascuno espressione di capacità contributiva, è normale e ragionevole che l’imposta si applichi distintamente ad ognuno di essi. Alla suddetta regola può fare eccezione solo il caso in cui più atti risultino così intrinsecamente connessi tra loro da risultare rivolti alla realizzazione di una vicenda giuridica unitaria ed inscindibile, perché nell’ipotesi così formulata la connessione tra gli atti risulta tale da non consentire di ritenere ciascuno di essi
espressione di autonoma capacità contributiva (Cass. 10789/04, cit., in motivazione). Nel caso in esame è da ritenere corretta la tesi della CTR per cui ci si trova in presenza di un atto che contiene più disposizioni che non derivano necessariamente -per la loro intrinseca natura – le une dalle altre, per cui ciascuna di esse andava soggetta ad imposta come fosse un atto distinto. Orbene, ancorché l’evento storico – materiale che ha originato le domande proposte nella stessa causa e le correlate condanne sia il medesimo, diversi sono i rapporti giuridici che sottendono quelle azioni e, quindi, il fondamento delle statuizioni che le hanno accolte. I capi del provvedimento giurisdizionale non derivano per loro natura intrinseca gli uni dagli altri, come si verificherebbe in ipotesi di condanna emessa contro più soggetti solidalmente obbligati al risarcimento del danno. Al contrario, nella fattispecie in questione, ognuno dei destinatari subisce la condanna per titolo proprio, l’uno rappresentato dall’inadempimento del rappor to contrattuale inter partes che determina l’obbligo di risarcire il danno, l’altro da un distinto rapporto di garanzia. Non esiste, perciò tra la causa principale e la causa dipendente un rapporto di stretta derivazione giuridica tale da consentire la propagazione degli effetti della pronunzia emessa nella prima nell’ambito dell’altra (contesto questo proprio del litisconsorzio necessario) perché tra azione di condanna ed azione di rivalsa esiste solo una sequenza processuale, ancorché consequenziale, che lascia immutate le rispettive posizioni confluite in unico procedimento per ragioni di economia processuale e di riequilibrio degli interessi lesi.
Del resto, in ogni caso di litisconsorzio facoltativo, quale quello in oggetto, pur nell’identità delle questioni, permane l’autonomia dei rispettivi titoli, dei rapporti giuridici e delle singole ” causae petendi “, con la conseguenza che esse, per loro natura scindibili, restano distinte ed autonomamente tassabili. L’imposta non colpisce – infatti
la sentenza in quanto tale, ma il rapporto od i rapporti in essa racchiusi.
5.4. Va, infine, rilevato che la tesi secondo cui dovrebbe trovare applicazione l’art. 21, comma 3, d.P.R. citato trattandosi sostanzialmente di un accollo di debito collegato ad altre disposizioni, costituisce prospettazione priva di fondamento alcuno in quanto non vi è prova che sussistesse un accollo frutto di accordo contrattuale inter partes , né appare possibile una interpretazione analogica, trattandosi di norma eccezionale di stretta interpretazione. Ed, ancora, l ‘ affermazione che la manleva costituiva ‘un onere connesso al risarcimento del danno’ e che era configurabile una ‘responsabilità diretta di RAGIONE_SOCIALE chiamata a tenere indenne la RAGIONE_SOCIALE, rappresenta un tentativo di rilettura in fatto preclusa in questa sede, peraltro, con allegazioni prive del requisito di autosufficienza.
In conclusione il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna le società ricorrenti al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida in favore dell’Ufficio nella somma di euro 6.000,00 oltre spese prenotate a debito; visto l’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione