Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13645 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13645 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3969/2021 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (DMSNTN48P16A662D);
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende;
-controricorrenti- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. PUGLIA SEZ.DIST. LECCE n. 1248/2020 depositata il 24/06/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
NOME COGNOME impugnava il diniego dell’Agenzia contro la sua istanza di rimborso del credito IVA per il 2005 proposta nel 2014, avendo ricevuto per la stessa operazione avviso di liquidazione dell’imposta di registro.
La Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Brindisi con sentenza n. 320/2016 rigettava il ricorso, osservando che il silenzio dell’Amministrazione valeva quale rifiuto e non assenso, come dedotto invece dal contribuente, mentre le questioni di merito dedotte con la memoria illustrativa erano inammissibili perché estranee alla originaria causa petendi (relativa alla formazione del silenzio accoglimento).
L’appello del contribuente veniva a sua volta rigettato dalla Commissione Tributaria Regionale (CTR) della Puglia con la sentenza in epigrafe.
La CTR osservava che non vi era stata violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunziato in quanto il ricorso era stato proposto sul presupposto che si fosse formato il silenzio – assenso sull’istanza del contribuente e su tale questione il primo giudice aveva deciso, ritenendo che si fosse trattato, invece, di silenzio – rifiuto. Inoltre, non vi era stata omessa pronuncia sulla violazione del principio di alternatività dell’IVA e dell’imposta di registro, posto che mai nei motivi di impugnazione era stata proposta tale questione che costituiva, quindi, motivo nuovo; oltretutto, il motivo era sfornito di qualsiasi supporto probatorio, perché il contribuente non aveva dimostrato di aver corrisposto, a fronte della stessa cessione di beni, sia l’IVA sia l’imposta di registro.
Avverso questa pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il contribuente che si è affidato a due motivi.
Ha resistito con controricorso l’Agenzia delle entrate.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 21 comma 2 del d.lgs. n. 546/1992, 19 e 30 del d.P.R. n. 633/1972 e
113 c.p.c., lamentandosi, in sostanza, che tanto i giudici di prime cure quanto i giudici d’appello avevano mal interpretato la domanda proposta con l’atto di impugnazione del silenzio serbato dall’Amministrazione sulla sua istanza di rimborso: sebbene il silenzio fosse stato qualificato come ‘assenso’, la domanda aveva come causa petendi l’inammissibile duplicazione di imposta tra IVA e imposta di registro.
1.1. Il motivo è inammissibile.
1.2. In disparte la carenza di autosufficienza del motivo, che non trascrive per intero l’atto introduttivo cosicché non si è in grado di valutare pienamente la doglianza (in particolare, laddove si afferma che la questione della duplicazione di imposta era stata dedotta sin dal ricorso iniziale), la censura riguarda l’interpretazione data dal giudice alla domanda di merito, sindacabile in sede di legittimità unicamente sotto il profilo del vizio della motivazione e nei ristretti limiti del vigente art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (Cass. n. 34762 del 2024); infatti, nel caso in cui venga in considerazione l’interpretazione del contenuto o dell’ampiezza della domanda, tali attività integrano un accertamento in fatto, tipicamente rimesso al giudice di merito, insindacabile in cassazione salvo che sotto il profilo della correttezza della motivazione della decisione impugnata sul punto (Cass. n. 2373 del 2008).
Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., « omessa valutazione della prova», violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., laddove la CTR ha ritenuto che il secondo motivo d’appello, relativo alla duplicazione di imposta, fosse sfornito di qualunque supporto probatorio; il ricorrente osserva che, invece, era stata prodotta documentazione contabile che dimostrava i pagamenti IVA (registrazione fatture, F24), che la CTR aveva omesso di considerare, mentre, con
riguardo al registro, era stato rateizzato l’importo recato dalla cartella di pagamento relativa all’imposta di registro.
2.1. Il motivo è inammissibile.
2.2. In primo luogo, il rigetto del secondo motivo d’appello ha una duplice ratio perché la CTR ha considerato la questione relativa alla doppia imposizione, prima che infondata per mancanza di prova, « motivo nuovo, ed in quanto tale inammissibile in questo grado di giudizio ». Come noto, q uando la sentenza assoggettata ad impugnazione sia fondata su diverse rationes decidendi , ciascuna idonea a giustificarne autonomamente la statuizione, la mancata impugnazione di una di esse ovvero il rigetto della censura mossa contro una di esse determina l’inammissibilità del gravame, per l’esistenza del giudicato sulla ratio decidendi non censurata nel primo caso (Cass. n. 13880 del 2020) ovvero per sopravvenuta carenza di interesse nel secondo (Cass. n. 5102 del 2024).
2.2. Inoltre, va rammentato che secondo la giurisprudenza di questa Corte « una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione » (Cass. n. 6774 del 2022; Cass. n. 1229 del 2019; Cass. n. 27000 del 2016). Né la denunzia ex art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c. dell’omessa considerazione dei documenti asseveranti i pagamenti IVA (fatto sostanziale) può avere miglior sorte se ricondotta al cd. ‘travisamento della prova’, perché secondo le Sezioni Unite « Il travisamento del contenuto oggettivo della prova –
che ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio -trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, laddove ricorrano i presupposti richiesti dall’art. 395, n. 4, c.p.c., mentre -se il fatto probatorio ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e, cioè, se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti -il vizio va fatto valere ai sensi dell’art. 360, n. 4, o n. 5, c.p.c., a seconda che si tratti di fatto processuale o sostanziale » (Cass. sez. un. n. 5792 del 2024).
Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato e le spese, liquidate come in dispositivo, vanno regolate secondo soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.200,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito; ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 26/02/2025.