Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9007 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9007 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2240/2022 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato RAGIONE_SOCIALE (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA della COMM.TRIB.REG. delle MARCHE n. 733/2021 depositata il 22/06/2021; Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/02/2024 dal
Consigliere NOME COGNOME;
RILEVATO CHE
con la sentenza n. 733/04/2021, depositata in data 22/06/2021 e non notificata, la Commissione Tributaria Regionale delle Marche, confermava la sentenza di primo grado che aveva rigettato il ricorso proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE avverso l’avviso di accertamento ICI relativo alla annualità 2007 emesso dal Comune di Porto Sant’Elpidio;
1.1. come emerge dalla sentenza impugnata i giudici di appello rigettavano la eccezione di nullità dell’atto impositivo ritenendo che lo stesso era stato legittimamente emesso dal Comune nell’ esercizio del potere di autotutela sostitutiva e ritenevano corretta la stima dell’area di cui all’avviso di accertamento alla luce dei criteri posti dall’art. 5, comma 5, del d.lgs. 504/1992;
avverso detta sentenza la società contribuente propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrati con memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ.;
il Comune di Porto Sant’Elpidio resiste con controricorso;
CONSIDERATO CHE
1. con il primo motivo la società ricorrente deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’ art. 67 d.P.R. 600/1973 per avere i giudici di appello ritenuto legittima la condotta dell’ente impositore il quale aveva e messo il medesimo accertamento ICI, senza annullare il precedente. Lamenta che la Commissione tributaria regionale non aveva adeguatamente esaminato la censura con cui era stato eccepito che la sostituzione dell’ avviso notificato nel 2011 era intervenuta senza che lo stesso fosse stato precedentemente annullato, in tal modo violandosi il divieto di doppia imposizione in dipendenza del medesimo
presupposto. Soggiunge che i giudici di merito non avevano affatto valutato se il Comune avesse correttamente esercitato il proprio diritto/dovere di sostituire in autotutela l’ avviso di accertamento emesso nel 2011, perché carente di motivazione, con quello recante identica pretesa tributaria notificato il 21 giugno 2012. Rileva che, del resto, risultava documentalmente provato che il Comune non aveva affatto annullato l’ avviso emesso nel 2011, tant’è che la C.T.P. di Ascoli Piceno aveva disposto l’ annullamento dell’ atto de quo in quanto a ciò non aveva provveduto l’ ente impositore;
con il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 5, comma 5, del d.lgs. 504/1992 non avendo i giudici di merito considerato che la misura del valore venale in comune commercio doveva essere tassativamente ricavata dai parametri vincolanti previsti dalla suddetta norma, criteri violati in quanto la Commissione tributaria regionale non avevano tenuto conto degli ulteriori oneri di urbanizzazione e di bonifica -il cui ammontare già nel 2006 si conosceva, seppure in linea di massima – voci tassativamente previste dalla legge come rilevanti ai fini della individuazione del valore venale dell’ area edificabile. Precisa che sin dal 2006 era emerso che l’originario piano di bo nifica era inadeguato e che in assenza dei necessari lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione il valore venale dell’area risultava, già all’epoca dei fatti, sensibilmente ridotto;
il ricorso deve essere respinto per le ragioni appresso specificate; 4. il primo motivo è privo di fondamento;
4.1.va osservato che la società ricorrente, nel lamentare la violazione del divieto della doppia imposizione di cui all’art. 67 d.P.R. 600/1973, assumendo che il Comune, prima di emettere il secondo avviso di accertamento relativo all’ anno 2007, non aveva annullato il precedente, da un lato sollecita una indagine di merito certamente preclusa in questa sede e, per altro verso, in violazione del principio
di autosufficienza, non allega tutti gli elementi da cui desumere la fondatezza di tale contestazione, limitandosi a richiamare meri stralci dei propri scritti difensivi nonchè un mero stralcio della sentenza n. 229/01/2012 della C.T.P. di Ascoli Piceno da cui sarebbe dato desumere quanto dedotto;
4.2. occorre, peraltro, evidenziare che della sentenza da ultimo indicata vengono riprodotti solamente una parte della motivazione ove si parla esclusivamente di ‘cessazione della materia del contendere’ quanto all’impugnazione dell’ accertamento ICI 2007 ed il dispositivo dove è detto testualmente: ‘dichiara cessata la materia del contendere nei ricorsi riuniti; per quanto occorrer possa annulla l’avviso che è dichiarato già ritirato…..’, statuizioni, specie quest’ultima, che non confermano in alcun modo l a tesi di parte ricorrente in ordine alla circostanza che il primo atto impositivo del 2011 non sarebbe stato annullato già in precedenza dall’ente impositore;
il secondo motivo è infondato;
5.1. va evidenziato che i giudici di appello hanno fatto corretta applicazione dei criteri posti dall’art. 5, comma 5, del d.lgs. 504/1992 avendo provveduto a detrarre dal valore dell’ area quale risultante dal valore di acquisto originario (euro 20.725.140,00) i costi di urbanizzazione primaria e di bonifica quantificati in euro 9.700.000,00 ed ulteriori importi forfettariamente stabiliti in ragione dell’ andamento del mercato immobiliare;
5.2. osserva preliminarmente il Collegio come, sulla base del principio di necessaria e completa allegazione del ricorso per cassazione ex art. 366 n. 6 cod. proc. civ. (valido oltre che per il vizio di cui all’art. 360, comma primo, n. 5 cod. proc. civ. anche per quelli previsti dai nn. 3 e 4 della stessa disposizione normativa), il ricorrente che denunzia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, non può limitarsi a specificare soltanto la singola norma di cui, appunto, si denunzia la violazione, ma deve indicare gli elementi
fattuali in concreto condizionanti gli ambiti di operatività di detta violazione (cfr. Sez. L, Sentenza n. 9076 del 19/04/2006, Rv. 588498);
5.3. siffatto onere sussiste anche allorquando il ricorrente affermi che una data circostanza debba reputarsi comprovata dall’esame degli atti processuali, con la conseguenza che, in tale ipotesi, il ricorrente medesimo è tenuto ad allegare al ricorso gli atti del processo idonei ad attestare, in relazione al rivendicato diritto, la sussistenza delle circostanze affermate, non potendo limitarsi alla parziale e arbitraria riproduzione di singoli periodi estrapolati dagli atti processuali propri o della controparte. È appena il caso di ricordare come tali principi abbiano ricevuto l’espresso avallo della giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte (cfr., per tutte, Sez. Un., Sentenza n. 16887 del 05/07/2013), le quali, dopo aver affermato che la prescri zione dell’art. 366, n. 6, cod. proc. civ., è finalizzata alla precisa delimitazione del thema decidendum , attraverso la preclusione per il giudice di legittimità di porre a fondamento della sua decisione risultanze diverse da quelle emergenti dagli atti e dai documenti specificamente indicati dal ricorrente, onde non può ritenersi sufficiente in proposito il mero richiamo di atti e documenti posti a fondamento del ricorso nella narrativa che precede la formulazione dei motivi (Sez. Un., Sentenza n. 23019 del 31/10/2007, Rv. 600075), hanno, poi, ulteriormente chiarito che il rispetto della citata disposizione del codice di rito esige che sia specificato in quale sede processuale nel corso delle fasi di merito il documento, pur eventualmente individuato in ricorso, risulti prodotto, dovendo poi esso essere anche allegato al ricorso a pena d’improcedibilità, in base alla previsione del successivo art. 369, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ. (cfr. Sez. Un., Sentenza n. 28547 del 02/12/2008 (Rv. 605631). Con l’ulteriore precisazione che, qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito e si trovi nel fascicolo di parte, l’onere della sua allegazione può esser
assolto anche mediante la produzione di detto fascicolo, ma sempre che nel ricorso si specifichi la sede in cui il documento è rinvenibile (cfr. Sez. Un., Ordinanza n. 7161 del 25/03/2010, Rv. 612109, e, con particolare riguardo al tema dell’allegazione documentale, Sez. Un., Sentenza n. 22726 del 03/11/2011, Rv. 619317);
5.4 nella violazione di tali principi deve ritenersi incorsa la società ricorrente con il motivo d’impugnazione in esame, atteso che la stessa, ha omesso di fornire alcuna idonea e completa indicazione (né alcuna adeguata localizzazione negli atti nel processo) circa gli atti processuali e i documenti (e il relativo contenuto) – essendosi limitata ad indicare solamente meri ‘stralci’ – comprovanti il dedotto errore in ragione dell’ omessa valutazione di dati decisivi ai fini della determinazione del corrett o valore venale dell’ area de qua , con ciò precludendo a questa Corte la possibilità di apprezzare la concludenza delle censure formulate al fine di giudicare la fondatezza del motivo d’impugnazione proposto;
5.5. peraltro, a fronte di un accertamento di fatto contenuto nella sentenza, la società ricorrente muove delle censure generiche lamentando, del tutto apoditticamente, che gli ulteriori oneri, peraltro nemmeno adeguatamente specificati ed indicati, dovevano essere quantificati ma una simile contestazione è inammissibile sotto il profilo della violazione di legge, perché mette in discussione l’accertamento del giudice di appello fondato, comunque, su criteri legali;
5.6. una tale contestazione è priva di fondamento alcuno anche quale eccepito vizio motivazionale, in ragione dei limiti fissati dalla novella all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.: posto che l’esame della questione di fatto (effettiva incidenza di ulteriori oneri) non è stata omessa dal giudice di merito, la ricorrente finisce per contestare le conclusioni raggiunte dalla C.T.R. sotto il profilo dell’insufficienza motivazionale, il che è ormai precluso in sede di legittimità (Cass. S.U. n. 8053 del 07/04/2014; conf. Cass. n. 21257
del 08/10/2014; Cass. n. 23828 del 20/11/2015; Cass. n. 23940 del 12/10/2017; Cass. n. 22598 del 25/09/2018). Invero, le critiche della contribuente si risolvono, contrapponendo differenti valutazioni del bene, nella inammissibile richiesta di riesame nel merito della causa;
5.7. va, infine, rilevato che del tutto priva di pregio è la censura relativa alla violazione del disposto di cui all’art. 115 cod. proc. civ. in quanto la ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza, non specifica in alcun modo sulla base di quali emergenze processuali, il valore degli ulteriori oneri di emergenti dal progetto di variante del 2016 -asseritamente già rilevanti all’ epoca dell’ imposizione -sarebbe risultato non contestato;
5.8. invero i fatti allegati da una parte possono considerarsi “pacifici”, esonerando la stessa dalla necessità di fornirne la prova, solamente quando l’altra parte abbia impostato la propria difesa su argomenti logicamente incompatibili con il disconoscimento dei fatti medesimi, ovvero quando si sia limitata a contestarne esplicitamente e specificamente taluni soltanto, evidenziando in tal modo il proprio non interesse ad un accertamento degli altri. (La S.C. ha espresso il principio in controversia avente ad oggetto il rimborso parziale dell’Iva versata dal contribuente, in cui la convenuta amministrazione finanziaria si era limitata a rimettersi al giudice, nel primo grado del processo, mentre in grado di appello aveva contestato i fatti posti dal contribuente a fondamento della sua pretesa). (Sez. 5 – , Ordinanza n. 23862 del 29/10/2020, Rv. 659532 – 01);
conseguentemente il ricorso proposto dalla contribuente deve essere rigettato e la stessa va condannata al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore del Comune di Porto Sant’Elpidio liquidate come da dispositivo;
6.1. ricorrono i presupposti processuali per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, che ha aggiunto
il comma 1quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto;
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente a rifondere al Comune di Porto Sant’Elpidio le spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 6.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge, se dovuti; ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione