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Doppia imposizione: basta residenza estera per rimborso

Un lavoratore italiano residente negli Emirati Arabi Uniti ha chiesto il rimborso di imposte trattenute in Italia su un incentivo all’esodo. La Corte di Cassazione ha confermato il suo diritto, stabilendo che, ai fini delle convenzioni contro la doppia imposizione, è sufficiente che il reddito sia soggetto alla potestà impositiva dello Stato estero di residenza, senza che sia necessario dimostrare l’effettivo pagamento delle imposte in quel Paese. La sola residenza fiscale estera, provata con apposito certificato, basta per escludere la tassazione italiana.

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Pubblicato il 19 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Doppia Imposizione e Residenza Estera: Non Serve Pagare le Tasse, Basta la Potestà Impositiva

La gestione della fiscalità internazionale è un tema cruciale per i lavoratori che si spostano all’estero. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 994/2024) ha fornito un chiarimento fondamentale sul tema della doppia imposizione, stabilendo un principio di grande rilevanza pratica: per ottenere il rimborso delle tasse pagate in Italia non è necessario dimostrare di aver effettivamente versato le imposte nel Paese di residenza, essendo sufficiente che tale Paese abbia il potere di tassare quel reddito.

I Fatti del Caso: Un Lavoratore tra Italia ed Emirati Arabi

Il caso esaminato riguarda un contribuente, assunto da una grande società italiana e successivamente distaccato per lavoro prima in Turchia e poi negli Emirati Arabi Uniti (EAU). Il lavoratore aveva trasferito all’estero il suo intero nucleo familiare, risultando cancellato dall’anagrafe italiana e quindi fiscalmente residente negli EAU.

Al momento della cessazione anticipata del rapporto di lavoro, il suo datore di lavoro italiano, in qualità di sostituto d’imposta, ha operato le ritenute fiscali sulle somme erogate a titolo di incentivo all’esodo. Il lavoratore ha quindi richiesto il rimborso di tali somme, sostenendo che, in base alla Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e EAU, quel reddito dovesse essere tassato esclusivamente nel suo Paese di residenza. L’Amministrazione Finanziaria ha negato il rimborso, eccependo che il contribuente non aveva fornito la prova di aver effettivamente pagato le imposte negli EAU, condizione ritenuta necessaria per evitare fenomeni di “doppia non imposizione”.

La Decisione della Corte sul Principio della Doppia Imposizione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria, confermando le decisioni favorevoli al contribuente dei giudici di merito. I giudici hanno chiarito due aspetti fondamentali: l’interpretazione delle convenzioni internazionali e l’onere della prova della residenza fiscale.

L’Interpretazione delle Convenzioni Internazionali

Il punto centrale della decisione si basa sull’interpretazione letterale delle convenzioni contro la doppia imposizione. Secondo la Corte, queste convenzioni hanno lo scopo di ripartire la potestà impositiva tra gli Stati contraenti. Quando una convenzione stabilisce che un reddito è “imponibile soltanto” in uno Stato (in questo caso, quello di residenza del lavoratore), ciò significa che l’altro Stato (l’Italia) perde il diritto di tassarlo.

Non è richiesto un pagamento effettivo dell’imposta nel Paese estero. Ciò che conta è la “soggezione astratta” alla potestà impositiva di quello Stato. Se lo Stato di residenza ha il diritto di tassare quel reddito, anche se poi decide di non esercitarlo (ad esempio, per una politica fiscale di favore), l’Italia deve comunque astenersi dall’imposizione per rispettare il trattato. Pretendere una prova del pagamento effettivo aggiungerebbe un requisito non previsto dalla norma convenzionale.

L’Onere della Prova della Residenza Fiscale

L’Amministrazione Finanziaria contestava anche la mancanza di un idoneo certificato che attestasse l’assoggettamento a imposta negli EAU. La Corte ha respinto anche questa argomentazione, precisando che il certificato di residenza fiscale richiesto dalle convenzioni serve a dimostrare che il contribuente rientra nella definizione di “residente” di uno Stato contraente, non a certificare un avvenuto pagamento. Poiché il lavoratore aveva ampiamente documentato la sua residenza negli EAU, anche attraverso la cancellazione dall’anagrafe italiana, il suo status di residente fiscale estero non era in discussione e il certificato prodotto era sufficiente.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha fondato la sua decisione su un orientamento ormai consolidato. Le finalità delle convenzioni bilaterali sono quelle di eliminare la sovrapposizione dei sistemi fiscali nazionali e agevolare l’attività economica internazionale. Interpretare le norme nel senso di richiedere un effettivo prelievo fiscale nell’altro Stato sarebbe contrario a tale scopo.

Richiamando numerosi precedenti, la Cassazione ha ribadito che la corretta interpretazione delle norme pattizie non richiede l’effettivo assoggettamento a imposta nell’altro Paese per ottenere il rimborso in Italia. È sufficiente la sola “imponibilità fiscale” astratta. La Corte ha inoltre specificato che l’incentivo all’esodo, a differenza del TFR, ha natura immediata e transattiva, legata alla risoluzione anticipata del rapporto. Pertanto, si considera un reddito prodotto nel momento in cui viene erogato, ovvero quando il contribuente era pacificamente residente all’estero.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza consolida un principio di certezza giuridica per i lavoratori italiani all’estero e per le aziende che operano a livello internazionale. Le conclusioni pratiche sono significative:

1. Prevalenza del Testo Convenzionale: Per stabilire dove un reddito debba essere tassato, prevale il testo della Convenzione contro la doppia imposizione. Se la Convenzione assegna la potestà impositiva esclusiva allo Stato di residenza, l’Italia non può tassare quel reddito.
2. Irrilevanza del Pagamento Effettivo: Il contribuente non è tenuto a dimostrare di aver pagato le tasse nel Paese estero per ottenere l’esenzione o il rimborso in Italia. È sufficiente dimostrare di essere fiscalmente residente in quel Paese e che il reddito rientra nel campo di applicazione della Convenzione.
3. Valore del Certificato di Residenza: Il certificato di residenza fiscale emesso dall’autorità estera è il documento chiave per attestare il proprio status e beneficiare delle tutele convenzionali.

Per evitare la doppia imposizione, è necessario dimostrare di aver effettivamente pagato le tasse nel Paese estero di residenza?
No. Secondo la Corte di Cassazione, per ottenere il rimborso delle imposte in Italia è sufficiente che il reddito sia astrattamente soggetto alla potestà impositiva dello Stato estero di residenza, come previsto dalla convenzione. Non è necessario provare l’effettivo pagamento dell’imposta in tale Stato.

Quale documento è sufficiente per provare la propria residenza fiscale all’estero ai fini del rimborso?
Il certificato di residenza fiscale rilasciato dall’autorità fiscale estera è sufficiente per attestare la residenza ai sensi della convenzione e per soddisfare le condizioni per il rimborso, senza dover certificare anche la concreta tassazione o il prelievo fiscale.

Come viene considerato fiscalmente un “incentivo all’esodo” per un lavoratore residente all’estero?
L’incentivo all’esodo ha natura immediata e transattiva, legata alla risoluzione anticipata del rapporto di lavoro. Si considera un reddito prodotto nel momento in cui viene erogato. Se in quel momento il contribuente è residente all’estero, la sua tassazione seguirà le regole previste dalla convenzione contro la doppia imposizione applicabile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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